Andrea Zanzotto: cent’anni in tre movimenti

Cento anni fa, il 10 ottobre 1921, nasceva Andrea Zanzotto. Oggi nella sua Pieve si conclude il convegno internazionale Zanzotto, un secolo. Da Pieve di Soligo al mondo, con l’inaugurazione del restauro della casa paterna alla Cal Santa: è solo uno dei tantissimi appuntamenti che, occasionati dal Centenario, si avvicenderanno di qui alla fine di novembre un po’ in tutto il mondo (per proseguire, poi, anche l’anno venturo). Ma è giusto che il «mondo» – cui si rivolgeva il poeta con la sarcastica ode appunto Al mondo, nella più vulnerante delle sue raccolte, La Beltà, perché «esistesse buonamente»: «Su, bello, su. // Su, münchhausen» – riprecipiti oggi, per l’ennesima volta, nel luogo-Luogo: la terra-big bang dalla quale tutto è cominciato, e nella quale tutto ricomincia sempre.

Nel 2009, alla vigilia dell’uscita dell’ultima raccolta di Zanzotto, Conglomerati, usciva per le Edizioni dell’asino una classica raccolta di conversazioni dedicate al Veneto che amiamo (da poco ripubblicata in e-book) nelle quali Goffredo Fofi, insieme a Gianfranco Bettin e Nicola De Cilia, interrogava il poeta (con Fernando Bandini, Luigi Meneghello e Mario Rigoni Stern) sul rapporto con la sua terra. E lui, dopo aver citato naturalmente Leopardi, rispondeva così: «Io, l’ho già detto, non ho mai creduto del tutto nella natura, anche se l’ho sempre amata; nel rapporto tra natura e cultura ho sempre sentito sia la bipolarità sia la continuità. Mi chiedo se lo stupro che si sta facendo della natura sia da imputare a un tipo di cultura, evidentemente aberrante, o a un male segreto della natura stessa, tale da aver permesso che da lei originasse questo tipo d’uomo». E aggiungeva: «Oggi abbiamo un paesaggio in cui sembra prevalere la fabbrichetta velenosa, la puzzolente discarica, l’orribile intasamento del traffico per strade sempre più insufficienti e pericolose – nonostante i passanti e le rotonde – a causa dei continui treni di TIR e per l’assatanata velocità di tutti… Ma anche continuano a esistere nonostante tutto i meravigliosi colori delle piante, anche infestanti se si vuole, anche in anticipo magari sulla stagione, ma felici, come i gialli topinambur, che se ne infischiano di ogni ordine coatto di giardini…».

Fra i tanti eccellenti fotografi che hanno incontrato il fotogenicissimo Zanzotto, un vecchio amico di Fofi come Vincenzo Cottinelli (al quale spetta il memorabile ritratto che custodisce il «Meridiano» delle Poesie e Prose scelte, pubblicato nel 1999) ha avuto l’intuizione di incorniciarlo della sua terra, appunto, e di farlo per così dire “di sponda”: in prima battuta ritraendo, in sua vece, quell’alter ego che fu per lui Antonio «Nino» Mura (1892-1988), il «Duca della rosada di Rolle» come lo aveva incoronato Giovanni Comisso: erculeo e immarcescibile reduce della Grande Guerra e «super Es» del poeta (così Stefano Dal Bianco) che fa capolino un po’ in tutte le sue raccolte poetiche, dalla Beltà in poi. Con le sue sorprendenti profezie Nino è il protagonista di un libro segreto, di Zanzotto, per tanti anni rimasto fra le sue carte per vedere la luce solo nel 2005, stampato dai tipi “di famiglia” della Bernardi. I Colloqui con Nino riportano i suoi detti e motti, come quelli di un Piovano Arlotto del Ventesimo Secolo: tutta un’enciclopedia di credenze e rimedi contadini, sull’amore fra uomini e donne, sulle macchie solari l’energia nucleare l’inquinamento la guerra la corsa allo spazio e insomma tutto lo scibile (non esclusa una puntata sull’uguaglianza che fa gridare qualcuno alla nascita del «marxismo-ninismo»). Su queste pagine alita un ancestrale rigoglio panico: quello che vi soffia, perfettamente pagano, è il respiro di Dioniso. E a questo magnifico fuoriformato dà un respiro ulteriore l’occhio di Cottinelli: che, fotografatolo nell’86, ci presenta un Nino allora novantaquattrenne, ancora mattatore sulla scena, con quel suo gesto sovrano che ci accoglie in un tuffo planante nel “suo” luogo di sogno, nella sua Carte du Tendre.

Su questi luoghi della Heimat è poi tornato, Cottinelli, quando (a partire dal bellissimo libro d’artista Il sogno del giardino) dalla sua originaria vena ritrattistica è passato a una stagione nella quale i “personaggi” sono divenuti, direttamente, gli spiriti silvani che abitano i paesaggi. E qui omaggia la memoria dell’amico poeta associando, alle proprie immagini, i versi che le hanno evocate: a partire dal metafisico profilo delle Prealpi, quel «mai mancante neve di metà maggio» che, ha spiegato Zanzotto nella conversazione con Marco Paolini riportata nel bellissimo film Ritratti di Carlo Mazzacurati, «era la semplice lettura del profilo delle nostre montagne, delle Prealpi come le vedo dalla cucina di casa – tutta una serie di M e di N – e così le ho lette».

Ma fra tutte le immagini di Vincenzo quelle che più amo sono contenute nella terza serie di questo lotto. Realizzate a Desenzano nel 1993, sono state pubblicate nel volume Personaggi, in occasione di una mostra di Cottinelli tenutasi a Praga nel 2014. È come se la figura iridescente di Zanzotto «che legge poesie a belle ragazze» (così suona la didascalia confidenziale del fotografo) – come quel personaggio da fumetto che nella «pozione magica» era caduto da piccolo – fosse definitivamente imbibita dei succhi più vitali del paesaggio che l’ha nutrita; l’irresistibile teatralità della sequenza è “mossa”, allora, non in senso tecnico bensì esistenziale se non, addirittura, ontologico. La poesia di questo stanziale per antonomasia che fu l’uomo Zanzotto, il cui «rigoroso immorare in luogo» celebrava Gianfranco Contini introducendo al Galateo in Bosco, vive il paradosso di essere la più “in movimento” immaginabile («la sua poesia di movimento mi torna tutta in memoria», diceva Dino Campana di quella di Dante nella Verna degli Orfici). Lo ha detto lo stesso Zanzotto, una volta, tornando su una delle poesie più esplosivamente “liriche” della Beltà (quella che comincia «Bimbo, bimbo!») e ricollegandola al suo primissimo ricordo d’infanzia: «forse addirittura a un anno, un anno e mezzo… il senso di delizia che mi proveniva, andando in calesse con mio padre e mia madre che mi teneva ancora al seno…. […] le foglie che cadevano, l’autunno, il trin trin, questo andare verso… qualcosa di meraviglioso».

Oggi che torniamo all’ònfalos, alla matrice di ogni stare e di ogni andare verso, capiamo come questi due atteggiamenti, queste due attitudini, siano in Zanzotto una cosa sola. Ogni volta, in sua compagnia, andiamo qui.

Andrea Cortellessa

Uno

Mai mancante neve di metà maggio
Chi vuoi salvare?
Chi ti ostini a salvare?

da Leggende, in Meteo (1996)

Ammirata, eminente erba di Dolle,
moltofiore moltocielo moltarugiada,
a te umilio ogni altro pregio
a te dispongo ogni creante-creato.

da Profezie o memorie o giornali murali X, in La Beltà (1968)

dal cielo è questo scrigno di paesi
dormenti tra le presenze oscure
e feconde dei monti,
dal cielo è l’ordine tenace e leggero
delle viti sui colli

da Dal cielo, in Vocativo (1957)

Ora non più una, mille vigne […]
su verso il sublime

Profezie o memorie o giornali murali VIII, in La Beltà

e il pigro verdeggiare
d’uve tra argille e nubi
[…]
Tenerissima valle
che un filo di frescura apre a ricetto
di fragole e di gocciole,
alluso lume di mattina
[…]
Sovrabbondano i colli.

da Dove io ti vedo I, in Vocativo

Ormai m’apparve il senso dell’estate,
serena è forse l’ombra tua
tra quelle del paese dei ciliegi piovosi,
alla sorgente s’accordano i boschi,
foglia con foglia ombra con ombra
la mia stagione è tutta qui

da Ore calanti III, in Elegia e altri versi (1954)

Due

Nino, la più bella profezia
non può mettere boccio che nei clinami di Dolle,
dove tu, duca per diritto divino
e per universa investitura,
frughi gli arcani del tempo e della natura,
e – più conta – dai cieli stessi derivi il tuo vino
ché le tue vigne con lo stellato soltanto
confinano e col folto degli stellanti fagiani.

da Le profezie di Nino, in La Beltà

… il tuo vino è uno schiaffo al medico
è un calcio allo stento alla sofisticazione…

da Fine delle sofferenze contadine, in La Beltà

… profetizzi che nelle tue cantine
presto ci troveremo in compagnia – che summit! –
sceltissima e con cento e cento “ombre”
conosceremo sempre più profonde
le profondità del tuo valore
tradizionalista a sera all’alba novatore:
questo è lo zenit d’ogni tua profezia.

da Le profezie di Nino

fotografie da Colloqui con Nino, a cura di Andrea Zanzotto (2005)

Tre

Tutte le fotografie sono di ©Vincenzo Cottinelli

Vincenzo Cottinelli

(Brescia, 1938) ha lavorato con le agenzie Grazia Neri a Milano e Opale a Parigi.
Fotografa da sempre in modo analogico e in bianco e nero. Ha pubblicato fra l’altro su: Io Donna, La Repubblica delle Donne, Linea d’Ombra, Diario, The European, Yediot Aharonot, Literary Monthly of Israel, Le Monde, The Independent, Frankfurter Allgemeine Zeitung, Graphis New York.

Oltre 70 copertine di libri sono state realizzate con suoi ritratti dell’autore o fotografie emblematiche: fra gli altri, in Italia per Longanesi, Einaudi, Feltrinelli, Mondadori (otto Meridiani) e nel mondo per Hanser Verlag, Penguin Books, Random House, University of Chicago Press, University of Toronto Press, WAB Warszawa.

Oltre 50 le mostre personali in Italia; all’estero negli Istituti Italiani di Cultura di Vienna, Berna, Londra, Tel Aviv, l’Avana, Praga; a Parigi nella Galerie Tour de Babel e Atelier l’Oeil Vert.

Nove libri fotografici (per Contrasto, La Quadra, Vallardi, L’Obliquo): 'Sguardi', 1995; 'Volti dell’impegno', 1998; 'Philobiblon', 2001; 'Tiziano Terzani - Ritratto di un amico', 2005; 'La domenica, arabo', 2005; 'Il Sogno del Giardino', 2012; 'Visages de la culture italienne', 2013; 'Personaggi', 2015; 'L’invenzione della quercia', 2019.

Ha fondato e dirige la galleria senza scopo di lucro "La Stanza delle Biciclette” (autori esibiti fra gli altri: Luigi Ghirri, Randa Mirza, Chris Steele-Perkins, Antonella Gandini, Pietro Masturzo, Monika Bulaj, Giorgio Bertelli).

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