Caro Jean-Luc,
“chi scrive risponde” dicevi, diceva, subito aggiungendo, me ne ricordo bene, “chi scrive risuona”, determinando così, come se niente fosse, un programma, il più esigente di tutti – quello che verrà considerato come assoluto a partire dall’esperienza di scrittura dei romantici di Jena.
A Jena, un giorno, ci sono andato, non in pellegrinaggio, ma, tieniti forte, per un convegno sulla nozione di patria! Fu comunque bello ritrovarmi in quella città, e quel che vorrei dirti, Jean-Luc, è che non ci sono molti pensatori o scrittori che potrebbero rispondere di tutto quello che questa città porta con sé, che potrebbero rispondere di un tale nome: il romanticismo speculativo grazie al quale è apparsa nella storia del pensiero, il comunismo reale sotto cui si è assopita per lunghi anni e la disoccupazione in cui si trova oggi.
Mi pare che a tutta questa storia il tuo pensiero risponda, e che lo faccia, per così dire, pazientemente, attraverso approcci che si succedono e si intersecano, andando a toccare diverse questioni senza mai guardare dall’alto in basso, senza mai metterle a distanza o ingabbiarle: i punti che hai affrontato restano liberi e nell’esserci che, dall’interno del tuo pensiero, irradia tutto quel che esso tocca o lo tocca; nessuno spazio per la superbia o l’obitorio e nessun spazio nemmeno per quel che troppo spesso, davvero troppo spesso, cerca di rinchiudere il concetto nella rigidità altera di un rapporto alla verità che si esibisca in quanto tale.
Per me, tu sei l’incarnazione della filosofia, la filosofia in persona, sei la persona a cui penso quando mi presentano come filosofo e io rifiuto tale titolo. Ma questa confessione non deve pesarti, perché deriva da una forza che è in te e che agisce come un grimaldello sempre pronto ad aprire nuovi spazi: basta piedistalli, per favore, e basta articolazioni prefabbricate o verità già date. Il fatto che la verità non possa essere presentata, già data, e che essa abbia consistenza solo nel movimento che ce la sottrae, è proprio quello che, con grande costanza, continui a ripeterci, insistendo sempre e sempre di nuovo su ciò che ci rende capaci di liberarci dalla pesantezza della presenza.
A quest’ultima hai opposto la venuta, ed è forse questa una delle tue parole-chiave, se ci fosse una parola che possa imporsi a tutte le altre, ma, come sappiamo, una tale parola non esiste. Tra le parole, poiché esse appunto rispondono del senso, esiste una sorta di disponibilità assoluta: sono come i figli della venuta, ma, in quanto tali, non ereditano nulla e il loro destino, anche questo l’hai detto tu, è quello di passare attraverso le nostre voci, che sono tutte diverse tra loro: il modo in cui l’infinità del lessico si infiltra nell’infinita dispersione delle voci e come tutto ciò si distribuisca sfuggendo senza fine, questo è il canto.
In ogni caso, è così che io percepisco la tua poetica della venuta, e questo mi aiuta a scrivere, a leggere e, soprattutto, a vivere. Un giorno mi hai anche detto che la filosofia “non ha labbra”, spero non ti disturbi se ti dico che si potrebbe definire il tuo tentativo come il desiderio di dargliene.
Ti saluto con particolare fervore nel giorno del tuo compleanno.
Il tuo amico,
Jean-Christophe
In copertina: Caspar David Friedrich, Due uomini davanti alla luna, ca. 1825-30 (New York, Metropolitan Museum of Art)