Si è da poco inaugurata alla GAM di Torino la mostra personale di Gianni Caravaggio Per analogiam, a cura di Elena Volpato. Per la cortesia dell’autrice e dell’editore pubblichiamo uno stralcio dal saggio della curatrice, tratto dal catalogo edito da Corraini Edizioni.
Completamente avvolta dall’ombra, la luna si nasconde in queste sere di pieno agosto, come una pietra nera nel buio. Nei giorni scorsi il cielo notturno è stato attraversato dalle scie luminose delle Perseidi e ora l’oscurità della luna nuova attende l’infuocarsi di altre stelle cadenti, polveri disperse di meteoriti che appariranno tra la costellazione del Cigno e quella del Drago.
Nell’universo regolato dalla legge dell’analogia, nulla avviene per caso: tutto è cosmo, tutto custodisce significati. Sta allo sguardo di chi ne legge i simboli tracciare i fili di congiunzione tra i fenomeni, la corresponsione tra l’alto e il basso, tra quanto ci sovrasta e le piccole cose di cui è composta la vita, tra l’universo attorno a noi e l’immagine del mondo che è in noi.
In questi giorni d’estate, Gianni Caravaggio si trova in Germania dove è cresciuto e dove ha appreso la lingua con cui ha iniziato a dare forma al pensiero. Parte delle sue giornate è dedicata a realizzare un’opera che sarà presente nella mostra che andiamo preparando: la coperta di un eremita, di stoffa nera, su cui sta ricamando col filo bianco un cielo stellato. Non un cielo immaginario, ma la disposizione esatta delle stelle che appariranno sopra Torino, il giorno dell’inaugurazione, il 31 ottobre 2023, alle sei della sera. In quel momento d’inizio, la volta celeste sopra la città si specchierà nella coperta posata nello spazio espositivo, tracciando invisibili raggi di congiunzione, tra il cielo e la stoffa, tra la stoffa e il cielo. L’eremita è colui che sosta nei pressi del profondo e può acquisire il senso del tutto dall’interno di una piccola cella che non è contrazione dello spazio ma espansione della mente. L’infinito sorge nell’intimità dello spirito di eremiti, filosofi e poeti, come un sentimento che si affina in un’idea, come una risonanza interiore e un riverbero che attraversa il tutto e svela la corresponsione del dettaglio con l’assoluto. Quella risonanza è l’analogia, la tensione del pensiero, λογος, verso l’alto, άνα.

Volgersi all’oltre, a ciò che sta in alto, secondo le parole del pensiero ermetico[1], modifica anche la comprensione di ciò che è più vicino e che, per metafora, sta in basso. Una semplice coperta posata a terra si fa immagine compiuta della volta celeste in una sera di fine ottobre, includendo la nostra percezione tra due specchi che si guardano e guardandosi dischiudono l’infinito. Intanto, fuori, nel giardino, all’ombra di un cespuglio, ormai dissoltasi nel buio della sera, un’opera di marmo nero inscritta nel profilo ideale di una foglia, si nasconderà allo sguardo dei visitatori. La sua presenza, un non essere, come quello della luna questa notte, esisterà per la mente più che per l’occhio, come fosse una coagulazione del buio o come se il buio tutt’attorno fosse un’emanazione del suo peso cromatico, un propagarsi nello spazio naturale della sua essenza scura, della sua densità profonda. Senza programma né intenzione, quella foglia è stata realizzata nel marmo nero proprio in questi giorni di assenza di luna e la sua forma sembra ritagliata nello spessore della notte.
Caravaggio sta ricamando un cielo in Germania e neppure questo sembra essere un accidente privo di significato. In quella terra sono nati alcuni tra i maggiori realizzatori di cieli notturni della storia dell’arte occidentale, da Albrecht Dürer ad Adam Elsheimer, fino a Caspar David Friedrich. È lì che la lingua dei poeti si è congiunta a quella dei filosofi producendo una nuova stagione del pensiero per analogiam. È Novalis che, rileggendo le argomentazioni di Fichte e Schelling alla luce di una sensibilità aperta a riconoscersi consustanziale al tutto, ha fatto rivivere nel romanticismo tedesco la radice simbolica dell’ermetismo neoplatonico. Di quel pensiero Dürer aveva inciso l’emblema nella sua Melancholia e Friedrich ne avrebbe espresso in pittura la rinnovata consapevolezza dell’infinito.

Nel 2008, Caravaggio riprodusse una diversa mappa stellare in un’opera intitolata Lo stupore è nuovo ogni giorno, tracciando, con piccoli fori su una lastra di alluminio, la posizione delle costellazioni in corrispondenza del suo luogo natale, nel giorno e nell’ora della sua nascita. Disegnò così il suo primo cielo stellato, l’origine di ogni altra possibile proiezione dell’io nello spazio abissale dell’oltre. La lastra, dai margini irregolari e dalla forma ellittica come quella di un carapace – forse involontaria memoria della tartaruga cosmica, immagine dell’universo e sostegno della terra – si mostra sollevata, come il coperchio di uno scrigno. La sostiene una sottile bacchetta che disegna la traiettoria di congiunzione tra i due cieli: quello inciso nell’alluminio e la sua impronta al suolo, disegnata dalla caduta, attraverso i fori, di una polvere bianca di talco. L’aprirsi dello scrigno del cielo, il suo offrirsi alla luce al di sopra per proiettare il buio al di sotto, è perfetta immagine dell’inizio: scissione dell’unità in un doppio contrapposto, creazione tra due valve di uno spazio di pensiero o, meglio, di riflessione, perché l’inizio coincide con una coscienza che riflette sé stessa nel concepire il mondo.
Lo stupore è nuovo ogni giorno è un’immagine di tutti gli indefiniti inizi che ripetono il primo. Variando nel titolo le parole di un frammento di Eraclito – “Il sole è nuovo ogni giorno” –, Caravaggio evoca la forza creativa di ogni moto di stupore in cui contemplazione, formazione e rispecchiamento si fondono in un unico impulso: l’indefinito riaccadere dell’incipit nel permanente divenire che è continua nascita del tutto. […]

Gianni Caravaggio. Per analogiam
a cura di Elena Volpato
GAM Torino
fino al 17 marzo 2024
catalogo
con testi di Elena Volpato, Federico Ferrari e Gianni Caravaggio
Corraini Edizioni, 2023
84 pp., 26 €
In copertina: Gianni Caravaggio, Lo stupore è nuovo ogni giorno, 2008, courtesy l’artista, photo Andrea Rossetti
[1] Cfr. Tabula smaragdina, attribuita alla figura di Ermete Trismegisto, studiata da Marsilio Ficino, pubblicata nel De Alchemia di Johannes Petreius, 1541.