Olivo Barbieri, del pensare diverso

17/11/2023

S’è aperta il 7 novembre (e resterà aperta sino all’11 febbraio) a Villa Bardini, sulla panoramicissima Costa San Giorgio che domina lo skyline di Firenze, l’antologica Pensieri diversi di Olivo Barbieri, promossa da Fondazione CR e Fondazione Parchi monumentali Bardini e Peyron, per le cure di Marco Pierini col coordinamento scientifico di Alessandro Sarteanesi. Dal catalogo edito da Magonza (152 pp. ill. col., € 45), per la cortesia dei curatori e dell’editore, si propone ai lettori di «Antinomie» l’introduzione di Andrea Cortellessa a una sua lunga conversazione col fotografo, contenuta nel catalogo.

Se è una retrospettiva, Pensieri diversi, di certo non è organizzata come toccherebbe fare a uno storico dell’arte, poniamo uno studioso di fotografia, che seguendo in ordine cronologico il percorso dell’autore si proponga di darne una sintesi “monografica”. Se Olivo Barbieri l’ha voluta intitolare come un libro celebre che ha contato alquanto, ci racconta, nella sua formazione – Pensieri diversi, appunto, di Ludwig Wittgenstein – è perché era quello, appunto, un libro risolutamente “non monografico”, che – così spiegava il suo curatore, Georg Henrik von Wright, licenziandolo nel 1977 dopo lungo meditare sulla sua organizzazione – a ogni “pensiero” pare cambiare strada. Così mirabilmente restituendo, di quel pensiero, non tanto il “meccanismo” (per dirla alla maniera di Giorgio de Chirico fatta propria una volta da Italo Calvino), bensì i diversi “giochi” che Wittgenstein di volta in volta aveva stabilito di fare: consentendoci così di assistere al suo pensiero all’opera, proprio al modo in cui i suoi “giochi linguistici” mettono a nudo la natura stessa del linguaggio.

Jatiparang Semarang Indonesia, 2013

Quei “pensieri” più o meno articolati – in genere assai brevi – si sottraevano pure (avvertiva Michele Ranchetti nel presentarne l’edizione italiana, da Adelphi nell’80) alla tradizione illustre dell’“aforisma” (dispositivo prediletto dal precedente cui più spesso si richiama questo Wittgenstein, cioè Nietzsche) in quanto, con poche eccezioni, manca loro la cadenza percussiva e autocentrata che (specie nel «filosofo col martello», appunto) ha fatto la fortuna del genere. Sono «osservazioni singole» che, vergate (come testimonia von Wright) a margine dei manoscritti più “organici” dell’autore (specie all’indomani delle Ricerche filosofiche), andrebbero lette in costante riferimento al resto della sua opera, magari per apprezzare la misura in cui da essa in effetti “divergono”, così dandole ulteriori chiavi di lettura. Considerando quanto spesso vi si parli di musica, Ranchetti le paragonava a «pause», che danno ritmo e articolazione alla «notazione filosofica di cui fanno parte».

Se però il lettore dei Pensieri diversi di Wittgenstein, che non abbia sotto mano i suoi libri, deve ricollegare a memoria i suoi “pensieri” alla trattazione cui si riferiscono, chi visiti la mostra omonima di Barbieri e/o legga questo libro avrà sotto gli occhi le immagini (nel tempo vicine o remote) che hanno ispirato i suoi; e con più comodo avrà allora modo di commisurare i propri “pensieri diversi” con quelli del loro autore. Ogni immagine si rivela così, per un verso, il precipitato dei “pensieri” di chi a suo tempo l’ha realizzata; e per l’altro l’attivatore dei “pensieri” di chi oggi la osserva. Ivi compreso, si capisce, lo stesso autore: che quasi sempre, a distanza di tempo, vede le proprie stesse immagini in una luce del tutto “diversa” da quella originaria.

Alps geographies and people, 2019

Dice Wittgenstein in un “pensiero” del 1930: «Chi è soltanto in anticipo sul proprio tempo, dal suo tempo sarà raggiunto». Per poche righe dopo aggiungere: «la cultura del progresso deve avere il suo poeta epico in anticipo». Chi pensa diverso, in altri termini, non solo lo fa diversamente dai suoi contemporanei, ma anche rispetto a sé stesso: solo après coup potrà realizzare quello che davvero significa il suo lavoro. Dice Wittgenstein nel ’31: «io penso effettivamente con la penna, perché la mia testa spesso non sa nulla di ciò che la mano scrive». È vero anche per un fotografo-pensatore come Barbieri: che magari solo a distanza di vent’anni “legge” le proprie stesse intenzioni d’antan, alla luce di quanto nel suo percorso è seguito, e così le “capisce” davvero.

Per dirla col Wittgenstein del ’38: «nella corsa della filosofia vince chi sa correr più lentamente. Oppure: chi raggiunge il traguardo per ultimo». Se il photoreporter si fa vanto della propria tempestività, nel raggiungere per primo il luogo dei fatti, l’anti-reporter per antonomasia che è Barbieri in certi casi magari è stato anche tempestivo nel raggiungerlo, un certo fatto, e nel fotografarlo: ma solo a distanza di anni si è fatto un’idea dell’immagine realizzata in quel momento. Non solo: succede spesso che questa idea, a una certa altezza del suo percorso, venga superata (o dialetticamente sussunta) da un “pensiero diverso” che ulteriormente le subentra (ancora Wittgenstein, 1940: «ciò a cui mi oppongo è il concetto di un’esattezza ideale che ci sarebbe dato, per così dire, a priori. In momenti diversi sono diversi i nostri ideali di esattezza; e nessuno di essi è il supremo»). Che poi è un altro modo, se si vuole, d’intendere l’Unzeitgemässe, l’«inattuale» nietzschiano: ogni tempo sta per sé stesso ma è insieme compendio, di come è diventato ciò che è, e prefigurazione di quanto diverrà a venire.

Yumbu Lakhang Tibet, 2000

A ciascuno di noi può toccare quello che (come racconta nel ’37) capitava a Wittgenstein: «mi succede la stessa cosa che capita a chi si sforza invano di richiamare un nome alla memoria; si dice in questi casi: “Pensa a qualcosa d’altro, e poi ti verrà in mente” – e così ho dovuto di continuo pensare ad altro perché mi potesse venire in mente ciò che avevo a lungo cercato». Questa sorta di serendipity concettuale, diciamo questo buscar l’oriente per l’occidente, è in effetti movenza tipica di Barbieri: che, viaggiatore instancabile, magari “realizza” solo in Indonesia quello che davvero “cercava” quindici anni prima a Las Vegas… Le fotografie restano quelle, si capisce; a mutare è lo sguardo che le contempla; e che finalmente – per dirla con un altro pensatore che gli ha salato il sangue, Walter Benjamin – fa così esperienza del loro «momento di conoscibilità». Si potrebbe dire – non so se l’interessato sarebbe d’accordo – che è solo a partire da quel momento, in effetti, che una “fotografia” diventa effettivamente un’“immagine” (alla dialettica fra questi due concetti Barbieri torna con insistenza, come si vedrà).

Anche la forma dialogica con la quale Barbieri ha voluto commentare il suo lavoro in questa occasione può risultare funzionale alla sua diversità di pensiero: è capitato più volte, durante le nostre conversazioni dei mesi scorsi, che nel “pensare ad altro” – per esempio a come rispondere a una mia domanda più o meno indiscreta, e più o meno sensata – gli sia venuta in mente, di contro, un’osservazione preziosa che riguardava tutt’altra serie di immagini-pensiero (vere denkbilden, per dirla sempre con Benjamin). Rimettere tutto in una sequenza si spera coerente, per comporre lo scritto presente, è stato davvero un lavoro a quattro mani; ed è stato per me un privilegio cercare di accordarmi – musicalmente, azzarderei – al continuo “divergere” dei suoi pensieri.

Zhanjiang China, 2000

Perché è in momenti come questi che le immagini si rivelano per quello che in effetti sono sin dall’inizio: delle macchine del tempo. Non solo perché per realizzarle occorre un certo lasso di tempo (l’atto fotografico di cui ha parlato Philippe Dubois: in tempi analogici, certo, ma concettualmente in ambiente digitale, per questo aspetto, non è poi cambiato granché); e non solo perché la fotografia è il luogo specifico che rende presente, alla nostra coscienza, qualcosa che – più o meno tempo fa – «è stato». Ma perché, davanti a un’immagine, il “pensiero” di allora fa cortocircuito col “pensiero” di adesso, e con esso compone un’immagine dialettica. Pre-figurando quello che non è dato sapere, oggi: cioè i nostri “pensieri” di domani.

Site specific Firenze

Olivo Barbieri. Pensieri diversi
Villa Bardini, Firenze
a cure di Marco Pierini, coordinamento scientifico di Alessandro Sarteanesi
fino all’11 febbraio 2024

catalogo
Magonza, 2023
152 pp., 45 €

Tutte le immagini riprodotte nell’articolo sono di © Olivo Barbieri. In copertina: Site specific Roma

Andrea Cortellessa

(Roma, 1968) critico e saggista. Insegna Letteratura italiana contemporanea all’Università di Roma Tre; nel 2018 ha tenuto la «cattedra De Sanctis» al Politecnico di Zurigo. Ha pubblicato saggi, curato testi e realizzato trasmissioni radiofoniche e televisive, spettacoli teatrali e musicali. È nella redazione del «verri» e collabora ad «Alias», «Il Sole 24 ore», «Tuttolibri», «doppiozero», «Le parole e le cose2» e altre testate.

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