Arte animale

10/11/2023

È uscito da Quodlibet L’altro RAVE. East Village Residency (248 pp., € 23), libro-catalogo che documenta IT. RAVE, residenza artistica nella campagna friulana in cui vivono animali salvati dal macello. Negli anni ha visto la partecipazione di artisti come Regina José Galindo, Igor Grubić, Liliana Moro, Ivan Moudov, Diego Perrone, Tomás Saraceno e Giuseppe Stampone. Il progetto, ideato dalle artiste Isabella e Tiziana Pers, mira a reimmaginare il ruolo dell’arte contemporanea nei confronti dell’alterità animale. Oltre alle immagini delle attività svolte, delle opere realizzate dagli artisti e dei ritratti degli animali salvati in oltre un decennio di attività, il volume comprende una conversazione di Daniele Capra e Nico Covre con le fondatrici e i testi introduttivi di Giovanni Marta e Felice Cimatti, il quale si concentra in particolare sull’opera video Inside the Circle di Adrian Paci e Tiziana Pers (dalla quale provengono alcune delle immagini di questa pagina). Per la cortesia di autore ed editore proponiamo il testo di Cimatti ai lettori di «Antinomie».

E io non sono altro che un povero cavallo giallo,
e nessuno, nessuno, potrà asciugare le lacrime dei miei occhi.
 
Julio Cortázar, Il persecutore

Piedi nudi, zoccoli, scarpe. È una fotografia scattata in un momento di pausa durante la lavorazione del video Inside the Circle, girato da Adrian Paci con Tiziana Pers all’interno del progetto RAVE. Umani e non, e la terra che tiene tutto insieme. Se è possibile un’arte animale – che non è l’arte prodotta dagli animali, che non ne fanno perché non ne hanno bisogno, perché il mondo che vivono (che è anche l’unico mondo che c’è, non esiste un animale idealista) è per loro così meraviglioso e terribile che non sentono la necessità di inventarsene un altro immaginario – ebbene quest’arte si mostra tutta in questa immagine. Sulla terra, che è la stessa per tutti, com’è unica la vita che tutti raccoglie. L’arte animale, allora, è un’arte umana che prende sul serio la sfida posta dall’animalità, cioè dalla terra. Fare un’arte all’altezza della terra, e quindi un’arte che non è altro che un modo per rimanere con i piedi, o gli zoccoli, per terra. L’arte, al contrario, ha la naturale tendenza a volare in alto, ad allontanarsi dalla terra, verso la bellezza e (soprattutto negli ultimi tempi) l’eticamente corretto. Se ora torniamo a quegli zoccoli, oppure ai tanti animali che vediamo nelle fotografie di questo libro, è evidente che per un cavallo, ad esempio, non significano nulla. In questo senso un cavallo non sa che farsene dell’arte. Tantomeno, e forse soprattutto, dell’arte che ha per oggetto gli animali. È paradossale che tanta arte contemporanea, così preoccupata di stare dalla parte giusta (contro l’antropocentrismo e a favore degli oppressi, umani e non) non si renda conto che ‘quelli’ a cui quest’arte didascalica e noiosa è dedicata, in realtà, non sono affatto interessati a diventare ‘oggetti’ artistici. Quello che quest’arte burocraticamente ‘corretta’ non comprende è che un’arte animale non è un’arte che raffigura degli animali, quanto piuttosto – ed è questo che invece succede a RAVE – un’arte che prova a prendere sul serio la sfida posta dall’animalità. Ossia la sfida della terra. Il tentativo inumano di praticare un’arte animale.

fotografia tratta dal volume L’altro RAVE (Quodlibet, 2023)

In effetti la sfida di RAVE, in fondo, è praticare un’arte che possa essere capita da un cavallo, una capra, o – e in fondo non ci allontaniamo dal campo dell’animalità – una bambina. In effetti se ne vedono, di bambini, in questo libro. Cavalli, bambini, artisti e altri animali, appunto. Nel lungo dialogo che prova a dare conto del progetto RAVE, Isabella Pers a un certo punto dice: «affronto la relazione degli esseri umani con il resto dei viventi. Da artista visiva sono interessata a indagare quello che sta intorno a noi, che percepisco come un organismo unico, in cui le infinite interconnessioni sono per me una fonte di rivelazione continua. […] In quanto artista avverto la necessità di lavorare sulle fratture e sui punti di crisi del tempo in cui viviamo». C’è tutto RAVE in queste parole: la relazione come principio guida, una relazione che – se presa sul serio – viene prima dei termini che mette in contatto. Una volta che Tiziana entra nel recinto con l’animale, non c’è più una donna e non c’è più un cavallo, c’è la relazione fra due viventi, una relazione che inquieta e turba, ché il cavallo è imponente e potenzialmente pericoloso, e la donna è nuda, al suo confronto minuta e inerme. Questa è una relazione, insensata – che ci fa una donna nuda insieme a un cavallo in un recinto? – e proprio per questo capace di generare pensiero e, forse, arte. Perché in questo caso l’evento artistico non riguarda il cavallo in quanto oggetto di una rappresentazione, è piuttosto il cavallo stesso in quanto vivente che produce l’evento artistico. L’arte di questo incontro, infatti, è indipendente dalla registrazione video dell’incontro umana-cavallo; l’evento artistico è accaduto, e l’animale ne faceva parte in modo intrinseco. E qui arte non significa altro che divenire cavallo da parte della vivente umana, e divenire umana da parte del cavallo. Come dice ancora Isabella Pers, descrivendo un progetto sviluppato con dei bambini: «abbiamo immaginato l’animalità come punto di partenza di un percorso creativo senza gerarchie tra umano o non-umano. I ragazzi hanno quindi dato forma a un nuovo sillabario, l’Abecedario Animale, che va a guardare l’animalità da un nuovo punto di vista per quanto riguarda proprio l’alfabeto che siamo soliti imparare a scuola, dove di solito c’è la C di casa o la S di sole. Gli studenti invece sono stati liberi di associare alla figura animale la parola che trovavano più adatta a descrivere la loro relazione con quell’animale, ma anche a descrivere la relazione più in generale di noi umani con le altre specie».

Adrian Paci, Inside the Circle, 2011, video, suono, bianco e nero, colore, 6’33”, courtesy of Kaufmann Repetto, Milano, New York, and Galerie Peter Kilchmann, Zurich, Paris

Che cos’è un nuovo sillabario delle relazioni bambini-animali se non la fine del sillabario, quello della S di scimmia e della C di casa? Un sillabario che non descrive il mondo com’è, ma che traccia invece i confini del mondo così come dev’essere perché sia un mondo ordinato e comprensibile, cioè un mondo del tutto a misura dell’umanità. Anche in questo caso RAVE non produce nuova arte, ce n’è davvero troppa in circolazione – e troppo insopportabilmente ‘per bene’ – bensì favorisce situazioni in cui possano accadere relazioni postumane fra viventi che il vecchio sillabario non prevedeva potessero esistere (anzi, propriamente un sillabario serve proprio a escludere che queste relazioni postumane possano darsi). Un’arte è animale proprio quando, e solo, permette all’animalità – cioè alla contingenza e all’imprevedibilità degli incontri – di svilupparsi autonomamente.

Allo stesso tempo un’arte animalesca è un’arte che non è obbligata a coinvolgere degli animali. Non è necessario che ci sia una capra, o un ragno, perché l’animalità appaia. Al contrario, tanta arte contemporanea simpatetica con gli animali in realtà non ha niente di animalesco, proprio perché costringe l’animale nella posizione – quella del vecchio sillabario stravolto dai bambini che hanno disegnato il loro nuovo Abecedario Animale – della vittima e dell’oggetto della compassione paternalistica dello sguardo umano. Un’arte animalesca non giudica né propone (questo è il compito della religione e dei preti), piuttosto progetta situazioni di disagio, ché solo dal malessere può nascere un’arte capace di rimettere in movimento gli affetti e il pensiero. È il caso di un’altra delle situazioni generate da RAVE, quella di Ivan Moudov, Stones; come dice Tiziana Pers, «nel lavoro che ha sviluppato in residenza, Stones, ha immaginato una superficie orizzontale di ghiaia apparentemente solida e stabile, che poi, quando ci si camminava sopra, cedeva lasciando sprofondare l’osservatore. In questo modo alcuni dei sassolini entravano nelle scarpe. Sotto la ghiaia, infatti, c’era uno strato di gommapiuma ad alta densità in grado di consentire questo effetto. E poi quel sassolino fastidioso va proprio a definire il ruolo dell’arte come qualcosa che ti porti via dopo il tuo incontro con l’opera, come una domanda inattesa e aperta, a cui non sai dare una risposta». È questo il punto decisivo: le occasioni offerte da RAVE non vogliono offrire nessuna ‘risposta’ al disagio, in questo caso quello di un sassolino nelle scarpe, che quelle stesse occasioni provocano. È diventato un luogo comune sostenere che quello che conta è la domanda e non la risposta. Nel caso di Stones, però, non c’era nemmeno la domanda. In effetti non è mai la risposta che conta, dal momento che la domanda implicitamente predetermina la risposta. Stones, al contrario, non si aspetta nessuna risposta da parte di chi si trova a camminare su quella superficie elastica, e quindi lo lascia libero – e sappiamo tutti quanto sia fastidiosa la scoperta della propria libertà – di sentire e pensare quel che gli capiterà di sentire e pensare quando si troverà un sassolino nelle scarpe.

Regina José Galindo, La oveja negra, 2014, performance, documentazione fotografica, courtesy of Prometeo Gallery Ida Pisani, Milano

In questo senso, come dice Tiziana Pers, «RAVE è diventato un po’ una chiave di accesso all’arte, dato che troppo spesso, purtroppo, l’arte contemporanea è respingente. L’impressione è quella di un sistema elitario che vuole restare tale, mentre invece l’idea di RAVE è l’esatto contrario e abbraccia un approccio orizzontale, che vuole parlare a chiunque e che vuole un confronto con chiunque». Un approccio orizzontale, appunto, quello del terreno dove si incontrano zoccoli, piedi, zampe palmate e così via, dove l’arte coincide con la superficie terrestre, senza troppe parole né pensieri, ché gli animali, siccome credono nel mondo, così come non sanno che farsene dell’arte rivolta a loro, non credono nemmeno nel linguaggio e nelle parole (tantomeno in quelle di chi parla di loro). Per questa sua fondamentale orizzontalità l’arte di RAVE è un’arte che non può essere elitaria, ma non perché, al contrario, voglia essere un’arte popolare; perché l’arte animale è un’arte che disattiva la distinzione fra alto e basso, elitario e popolare, impegno e disimpegno.

Si tratta di un’arte che, come possiamo vedere nel video Inside the Circle, si propone di coinvolgere direttamente l’animalità, sia quella propriamente animale sia quella dei sassi, sia quella vivente che quella non vivente. Ché l’animalità, appunto, non rientra nei sillabari, perché il sillabario è una specie di poliziotto visivo al servizio del linguaggio e del mondo, mentre l’animalità è sempre fuorilegge. Si comprende così, infine, il senso complessivo dell’esperimento dell’altro rave, quello che nessuna legge può disciplinare e proibire: «RAVE», come dice Isabella Pers, «è nata come una residenza artistica, poi è diventata un metaprogetto, all’interno del quale viene invitato ogni anno un artista a realizzare una nuova ricerca in interazione con il contesto di RAVE, condividendo cioè spazio e tempo con gli animali salvati dal macello da Tiziana grazie ad Art History». Di fatto non è RAVE che accoglie gli animali salvati da Tiziana; sono piuttosto questi stessi animali che – senza saperlo, perché l’animalità è sempre umile, così umile da non sapere nemmeno di essere umile – salvano l’arte dal rischio sempre più attuale di diventare faccenda inutile di gallerie e musei, collezionisti e visitatori, case d’asta e mercato: è l’arte che ha bisogno delle capre, non le capre dell’arte.

L’altro RAVE. East Village Artist Residency
A cura di Daniele Capra, Nico Covre
Quodlibet, 2023
248 pp., 23 €

In copertina: Adrian Paci, Inside the Circle, 2011, video, suono, bianco e nero, colore, 6’33”, courtesy of Kaufmann Repetto, Milano, New York, and Galerie Peter Kilchmann, Zurich, Paris

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