Koan mediatico

03/11/2023

Riporto una piccola storiella che ha quasi i tratti di un koan zen, affermazione o domanda enigmatica capace di ribaltare il senso comune, l’abituale percezione delle cose. Chiamiamola, se così possiamo dire, un koan mediatico o, per restare a latitudini a noi più prossime, un apologo nell’epoca del totalitarismo massmediologico.

Diversi decenni fa, il governatore della California, Jerry Brown, invitò Ivan Illich ad apparire con lui in televisione e ad accettare un posto nell’amministrazione dello Stato. Illich, quando ricevette l’invito, andò su tutte le furie. Trasgredendo alla sua abituale pacatezza viennese, iniziò a gridare che Brown voleva distruggerlo. I presenti, che non erano certo uomini di potere o faccendieri senza scrupoli, rimasero allibiti. Non comprendevano una simile reazione davanti all’offerta che gli avrebbe permesso di avere finalmente una visibilità e la possibilità di far parte della classe dirigente di un grande stato americano. Peter Lamborn Wilson, stupefatto, chiese a Illich perché non volesse apparire nei media. Illich lo guardò, altrettanto stupito, e rispose “non voglio scomparire nei media”.

Glossa

La società della comunicabilità totale, riassumibile nel debordiano tutto ciò che è buono appare e tutto ciò che appare è buono, è il non-luogo della disintegrazione finale di tutto quel che è reale. Ogni forma di vita reale, caratterizzata da una singolarità non riducibile, viene sussunta in un immaginario ready-made, la cui durata è pari a quella di uno scroll (frazioni di secondo). Accettare la struttura dell’odierna società spettacolare significa autodistruggere la propria singolarità. Solo al prezzo di questa scomparsa, della scomparsa della propria unicità, si può assumere una notorietà, una visibilità. Quanto più si è uniformi all’immaginario ready-made, tanto più si è visibili. Quel che è, dunque, visibile è solo un guscio vuoto, modellato nel conio di una comunicazione omogeneizzante e sottomessa alle regole del mercato. Chi sostiene il contrario mente, sapendo di mentire. Oppure è un idiota.

Scolio

Nell’epoca della visibilità virtuale totale solo l’invisibilità sembra essere in grado di custodire la realtà. Quel che non è toccato dai grandi flussi mediatici può, infatti, conservare una propria singolare realtà. Una virale condivisione instagram può distruggere per sempre qualsiasi luogo, tradizione, individuo. Sia, dunque, l’invisibile la sola salvezza. Ma come mettere in contatto le invisibili presenze? Quale forma di comunicazione per non farle morire di solitudine? Forse, la sola possibilità è rilasciare simulacri di realtà attraverso media intimi (libri, siti indipendenti, luoghi di incontro sottratti alle regole dell’industria culturale, all’ossessione del riconoscimento, dell’approvazione immediata). Messaggi cifrati per media che portano in sé il pegno della propria dissoluzione. Messaggi silenziosi e immagini evanescenti, momenti di una critica altrettanto silenziosa e invisibile che sospinga verso il suo oltre, verso uno spazio di invisibilità e di silenzio, in cui non resta che l’esperienza estatica dei corpi e della materia. Una critica silenziosa ed estatica per uscire dalla claustrofobica visibilità mediatica.

Immagine di copertina: Ivan Illich intervistato da Giulio Marchetti al CIDOC nei primi anni settanta. Photo courtesy of David Cayley.

Federico Ferrari

(Milano, 1969). Insegna Filosofia dell’arte all’Accademia di Belle Arti di Brera. Tra i suoi ultimi libri: “L’insieme vuoto. Per una pragmatica dell’immagine” (Johan & Levi, 2013), “L’anarca” (Mimesis, 2014; 2a ed. Sossella, 2023), “Oscillazioni” (SE, 2016), “Il silenzio dell’arte” (Sossella, 2021), “L’antinomia critica” (Sossella, 2023) e, con Jean-Luc Nancy, “Estasi” (Sossella, 2022).

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