Mistero Blanco

25/10/2023

Sono anni che m’interrogo su Giovanni Blanco. Artista sfuggente, incollocabile.

Delle sue doti tecniche se ne accorge pure un cieco. Non conosco altri pittori – e dire che ne conosco – che come lui si sono rifiutati di mettere le proprie qualità a rendimento. Con la sua bravura non ci vuole poi molto. Ci si guarda intorno. Si capisce che aria tira e non tira. Si fanno puntate. Si aspetta, si vede quali numeri escono. Si persevera, ci si amministra. Ci si guadagna uno spazio, un margine. Perfezionandosi ci si dosa. Questione di calibratura, spesso. Soprattutto: ci si rende strategicamente riconoscibili. E il riconoscimento – prima o poi – arriva.

Giovanni ha fatto e continua a fare il contrario. Non si amministra, non si dosa, non si calibra: non calcola. Lascia i calcoli ai contabili e dipinge. La sua ricerca non s’è posta confini di tutela mercantile. I confini che si pone non sono aprioristici. Sono i confini del desiderio dell’artista, della sua volontà e capacità di cattura, i confini dell’istante ghermito e precipitato in figura. Confini di volta in volta da verificare, da superare.

Giovanni Blanco, Melanconia, 2019, olio su tela, 80 x 60 cm

In ogni confine palpita il germe dello sconfinamento.

La ricerca di Blanco è pittorica nel senso più ampio: formale ed esistenziale, fisica e metafisica. Voglio dire ch’egli fa sì che il dato linguistico venga compenetrato da altro, da qualcosa di più cogente, da un’imperiosa bussola interiore.

Dalla bellezza? È bellezza la parola giusta?

Ammesso lo sia, la bellezza, nel suo caso, implica relazione e salvazione. L’artista entra in relazione con la cosa. Ci entra davvero. Ci lotta, ci amoreggia. I suoi strumenti pittorici sono propaggini di una mano che a sua volta è un’estensione dell’occhio. I suo stati d’animo sono – con una formula che piace a Edgar Degas – «stati d’occhio». L’occhio di Giovanni è partecipe, accudente. Esso scava. Esso scarta. Esso salva.

Giovanni Blanco, Senza titolo – come un autoritratto, 2016, acrilico su cartone, 20 x 25 cm

L’occhio di Giovanni salva la forma delle cose affinché i suoi intangibili succhi non evaporino o – se evaporano – lascino sulla pelle delle immagini un’increspatura o una corrosione o un sapore o il solco di una tensione. Una tensione affine al sale che – disidratandola – stira la pelle rigata delle lacrime. Ho scritto sale ma avrei potuto scrivere salsedine, scorgendo una persistenza di moti marini ad agitare la figura nell’indurirsi materico della pittura.

La bellezza è un mistero.

Un fascinoso mistero Giovanni Blanco non smette di esserlo. Una cosa però l’ho afferrata: la sua opera è un catalogo di salvataggi pittorici. Un catalogo di bellezze intercettate isolate intensificate. Bellezze custodite nello scrigno della pittura.

Di sconfinamento in sconfinamento, di slittamento in slittamento, la ricerca di Blanco non s’è infrigidita né essiccata. L’artista gioca la sua partita dischiudendo spazi, coniandone, spazi di preservazione. Meglio: spazitempo.

Autoritratto (estate 2021), olio su tela 121 x 80 cm

Spazitempo tra somiglianza e apertura. Rettifico: aperture. Aperture dell’identità all’alterità. L’alterità scompaginatrice, non una né numerabile. L’alterità plurale che sottrae per ampliare. L’alterità essenza occulta dell’identità.

Spazitempo tra presenza e assenza. Assenza: abisso onnifago da cui la figura non si emancipa, non può, perlomeno nessuna figura che si voglia a prova di tempo.

Orli frananti, ustorie evanescenze: spazitempo.

Individuazioni, indistinzioni.

Salvazioni, salpazioni.

Oblò, oblio.

Artista sfuggente, Giovanni Blanco, pittore che sfugge a inquadramenti, incollocabile ergo imprevedibile ma intellegibile.

Intellegibile: Blanco mira all’universale che mal digerisce le mistificazioni, le fumose complicazioni, le supercazzole dell’arte che cavalca l’onda per ridursi a schiuma.

Niente costa come la semplicità strappata dalla cava particolare della complessità con le unghie della nostra più sanguinante umanità.

L’umanità che traspare e traspira nelle tele di Giovanni è accogliente: accoglie chi la guarda e ciò che, in linea di principio, la intacca. Il negativo lo tramuta in principio attivo. È umanità che concresce – erogena – nell’umidità.

La vita ci taglia.

Giovanni Blanco, Rosso Costantino, 2022, olio su tela, 30 x 25 cm

Come resta sulla mano di Lady Macbeth, come resta sulla chiave che apre la stanza degli orrori di Barbablù, il sangue resta sulla lama dell’artista.

L’arma blanca non è immacolata.

Nel 2016 Giovanni Blanco ha pubblicato Il mestiere dellinutile, un breviario in cinquanta esemplari numerati che raccoglie pensieri che vanno dal 2008 all’anno di stampa. Dallo strapazzato esemplare numero 30 in mio fiero possesso trascrivo una dozzina di frammenti che propongo quali sonde nel fare di Giovanni, naturalmente, ma anche nostro. Nel suo e nel nostro fare, ergo divenire, non solo oculare.

Quel che conta è la direzione, la linea che lo sguardo è portato ad amare.

Che bello avere gli occhi quando il volto si fa nudo!

Il disegno impugna il fuoco per sottrarlo al caos.

È tempo di restituire al tempo la forma delle cose.

Mi dico: fermare il tempo per giungere alla carne, forse questo è il punto.

Per le vie della carne la pittura ricostruisce i sentimenti, li sposta altrove, in uno spazio del mondo che pochi sanno intendere.

Sclerotizzare la pittura? Forse, ma allo stesso tempo renderla altro, sfaccettarla come un cristallo, evitando qualsiasi affrettata conclusione.

Non si tratta di conoscere il metodo che conduce allarte, ma di sentire i fenomeni che scrivono il tempo delle immagini, oltre il merito della mano.

Risulta necessario far del proprio spazio vitale un focolare attivo, dinamico, oltremodo autentico.

Mutilare la ripetizione dei gesti e delle azioni, per portarsi al di là del già noto.

Listante è sempre altrove, là dove immaginiamo il confine.

Dal primo all’ultimo giorno, lo schianto feroce con se stessi.

Giovanni Blanco, Senza titolo, 2006–2019, olio su rame, 60 x 50 cm

Giovanni Blanco è un pittore generoso e lungimirante: è stato ed è lungimirante nella sua generosità seminale.

Passano cinque anni. Dieci, poi quindici. Trascorrono vent’anni di lavoro. Cosa vedi? Altrove vedi la tirchieria più o meno acclamata di ricerche esaurite da bugiardini analitici. Qui vedi ardore e slancio. Inattenuati. Qui vedi curiosità e ricettività. Inossidate. Qui vedi quella che prima chiamavo umanità.

È un fatto che questo pittore razzoli come predica. Non devia dalle vie della carne, si sforza di percepire il battito segreto dei fenomeni per trascriverne il ritmo nella lingua della pittura. Evitando conclusioni affrettate. La meritevole mano viene trattata per quel che è: umile strumento. Sovente nei suoi dipinti udiamo un boato. È lo schianto dell’artista con se stesso. Feroce.

[…]

Il testo qui riprodotto è un estratto dal saggio Mistero Blanco, contenuto nel volume Giovanni Blanco, di Jonny Costantino, edito da Salarchi Immagini (2023)

In copertina: Giovanni Blanco, Senza titolo – Historiae, 2019, inchiostri calcografici su carta (monotipo), 195 x 196 cm (particolare)

Jonny Costantino

è scrittore e cineasta. Libri recenti: "Ultraporno" (2021), "La mano bruciata. Scrittori, pittori, elezioni" (2021), "Un uomo con la guerra dentro. Vita disastrata ed epica di Sterling Hayden: navigatore attore traditore scrittore alcolista" (2020), "Nella grande sconfitta c’è la grande umanità" (con Michael Fitzgerald, 2020), "Mal di fuoco" (2016). Tra i film realizzati con Fabio Badolato (insieme sono la BaCo Productions): "Sbundo" (2020), "La lucina" (2018), "Il firmamento" (2012), "Beira Mar" (2010), "Le Corbusier in Calabria" (2009), "Jazz Confusion" (2006). Nel 2009 ha fondato le riviste "Rifrazioni. Dal cinema all’oltre" e "Rivista". Attualmente è redattore del "Primo amore" e collabora con "Antinomie". Insegna "Regia: poetiche e pratiche del cinema" presso la Scuola d'Arte Cinematografica Florestano Vancini a Ferrara e vive a Bologna.

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