Il mese scorso ha inaugurato la mostra Luca Locatelli. The Circle. Soluzioni per un futuro possibile. aperta alle Gallerie d’Italia di Torino fino al prossimo 18 febbraio. Mauro Zanchi ha intervistato per Antinomie la curatrice, Elisa Medde.
MAURO ZANCHI: Cosa significa per te il termine “circolarità” e come hai costruito la mostra The Circle. Soluzioni per un futuro possibile, collegando le ricerche e le immagini di Luca Locatelli alla complessità dei temi trattati: dalla transizione ecologica, all’economia circolare, al riciclo tessile, alla riconversione delle aree industriali dismesse, alla geotermia?
ELISA MEDDE: Per me l’idea di circolarità è un paradigma culturale, quasi una impostazione mentale. È il tentativo di rigettare un’idea di linearità che prevede l’accumulo, il progresso continuo, questo orizzonte irraggiungibile nel quale la crescita deve essere infinita. Capire che non è così, che non funziona e che non può funzionare così, serve a costruire sistemi virtuosi nel quale le risorse vanno in ricircolo, non si accumulano, vengono utilizzate, vengono messe al servizio della comunità, della popolazione e di chi opera. La grande sfida di questa mostra, la grande domanda di questo progetto, è: come facciamo a parlare di questi temi, per natura complessi, in un tempo e in un luogo in cui l’approfondimento e l’esperienza attiva sono trascurati? Siamo molto abituati a un atteggiamento passivo e di intrattenimento anche in contesto museale. Come facciamo a creare una mostra intesa come un’esperienza di uno spazio espositivo, che possa avere una valenza estetica e che possa portare a un grande pubblico dei termini naturalmente complessi in una maniera un po’ più accessibile? Il senso è stimolare un’attivazione, stimolare una conversazione e una riflessione. La mostra è costruita su diversi livelli: c’è primo livello visivo, molto importante, al quale seguono diversi livelli di approfondimento testuale ed esperienziale, con le infografiche statiche ed interattive di Federica Fragapane e le informazioni alle quali si può accedere poi anche al di fuori del contesto con i QR code. C’è anche la presenza di un’installazione in suolo pubblico che porta i temi di mostra in giro per la città. Mi sono chiesta come possiamo fare a portare questi temi al di fuori della nerditudine, al di fuori di un contesto nel quale è a uso consumo e beneficio di chi già ne fa parte – diventando poi autoreferenziale? Come si fa a curare una mostra di questo tipo, che ha il suo perno intorno alla funzione della fotografia? Questa è stata la sfida e per me il grande fascino di un progetto come questo.

MZ: Quindi il gioco di collegare tutte le esperienze precedenti di Locatelli in questo progetto circolare come è avvenuto?
EM: Dal punto di vista curatoriale è avvenuto tutto in maniera abbastanza naturale, perché abbiamo sempre pensato all’idea del cerchio come un’idea guida. La mostra inizia con l’approccio all’idea di circolarità attraverso una metafora, che per Luca è l’Islanda. L’Islanda rappresenta il territorio nel quale è presente una grande sinergia tra la forza dirompente della natura – che ha permesso a questa terra di avere un grandissimo potenziale energetico – e una volontà politica sociale, culturale, comunitaria, di sfruttarla verso una direzione di sostenibilità. In queste prime sale si approfondisce l’idea del geotermico e l’idea di come la forza della natura possa andare in sinergia con lo sviluppo tecnologico, con la techné, invece che esserne in contrasto o conflitto. Nella sala centrale della mostra si parla poi di riuso di aree minerarie dismesse, del riciclo dei materiali, del rapporto tra uomo e tecnologia, del grandissimo ruolo che la cultura e le comunità possono giocare nell’interazione e nell’implementazione di questi paradigmi. Come si fa a trasformare un acciaieria dismessa in un parco culturale che ospita uno dei rave più importanti d’Europa e non spreca un kw/h di energia perché rimette tutto in circolo, o a rendere fruttuoso il riciclo delle reti da pesca abbandonate in mare trasformandole in filati d’eccellenza? Verso la conclusione del percorso di mostra si arriva a parlare del mare, a parlare dell’acqua, a ricordarci che le pratiche e i comportamenti che avvengono sulla terra (soprattutto per quanto riguarda la produzione industriale) non sono l’unico aspetto del problema. In realtà l’acqua racchiude tutto, ci connette e ci può ricordare che l’ecosistema funziona solo se tutte le componenti sono allineate, se vanno verso la stessa direzione. Ed in questo senso la chiusura del cerchio è rappresentata dalla fotosintesi clorofilliana, il processo più semplice e complesso, più efficace e funzionale che esiste in natura.

MZ: Alla fine si cerca di catturare lo sguardo degli spettatori, però serve anche che avvenga il contrario, ovvero che i fruitori diventino magneti per attirare quello che si desidera far arrivare a loro, i temi presenti nelle immagini.
EM: Questo è il risultato che entrambi abbiamo cercato di ottenere con questo percorso, un po’ in un processo di cross pollination, no? È come funziona con gli insetti. Gli insetti sono attirati dalle piante, dai fiori, dal polline. Vanno, si nutrono, e contemporaneamente mettono in circolo un sistema. Quello che succede qua, idealmente, è simile: chi passa per queste sale, chi vede la mostra, viene attirata dalle immagini, dalle esperienze visive che ci sono, e in qualche modo questo innesca dei processi. Si offre e condivide conoscenza, e questa conoscenza fa venire delle domande, delle riflessioni. È una mostra indubbiamente complessa, ricca di informazioni, di dati, con molteplici livelli di approfondimento. Non è un argomento scontato e quindi quello che davvero entrambi abbiamo cercato di ottenere è proprio una sorta di ecosistema nel quale si possa tornare. Se chi fruisce è attirato, ha il tempo di processare, ha il tempo di essere curioso e ha la possibilità di approfondire quanto si vuole. Le possibilità di approfondimento sono offerte, ma lasciate alla volontà di chi visita: quanto vuoi leggere in sala, quanto vuoi leggere sul sito, quanto vuoi approfondire con i QR code, quanto vuoi interagire con le infografiche. Richiede un’attivazione ed una volontà personale forte, che noi abbiamo voluto innescare attraverso la visione delle immagini.

MZ: Ovviamente il sistema del capitalismo attuale vuole guadagnare o al limite risparmiare energia attraverso nuove idee o invenzioni tecnologiche. E in questa circolarità non si creano effetti collaterali?
EM: Se una visione circolare è veramente circolare, non ci trovo pericolosità. Ma ovviamente necessita di essere completamente circolare anche e soprattutto da un punto di vista politico – e qui sta sicuramente un nodo profondo, rappresentato dal ruolo del capitalismo. Un’idea di circolarità funzionale all’accumulo di capitale mi sembra un ossimoro, ricorda un po’ le convergenze parallele. La questione delle risorse è fondamentale. Il capitalismo e il colonialismo occidentale sono nati, cresciuti, si sono arricchiti, sull’idea che il mondo fosse un’ostrica da usare e abusare ad libitum: sul pensiero che moltissime aree del pianeta terra siano fondamentalmente miniere a cielo aperto di materie prime, persone, ambienti, spazi. Ecco questo è ciò che penso vada smantellato, distrutto. La crescita non è infinita, i consumi devono calare, la ricchezza non va accumulata ai fini dell’accumulo di potere. Credo che le storie raccontate in questa mostra servano anche a porsi domande in questo senso, chiedersi quali sono i limiti, cosa funziona meglio e cosa meno. Una circolarità possibile o è di tutti o non è di nessuno – ed al suo centro sta la redistribuzione della ricchezza e la giustizia sociale. Un aspetto fondamentale di questa storia che racconta Luca per me è anche riportare la responsabilità di pratiche economiche e produttive in ambito industriale. In qualche modo, a un certo punto, ci hanno convinto, o ci siamo convinti, che se avessimo smesso di usare le cannucce di plastica avremmo salvato il pianeta, le tartarughe e altre forme viventi nei mari, o se avessimo smesso di usare i sacchetti di plastica tutto si sarebbe risolto. È ovvio che il coinvolgimento delle singole persone, di tutte e di tutti, è fondamentale, ma ci sono processi per i quali la responsabilità di buone pratiche e di nuove pratiche è a livello politico, sociale, industriale. Quindi in qualche modo si ribilancia questa conversazione e si innesca quella trasformazione del pensiero per cui ognuno di noi si mette a pensare a che cos’è l’accumulo, che cos’è lo spreco e quali sono le pratiche intorno a noi che promuovono accumulo e spreco rispetto a pratiche che invece promuovono la condivisione o promuovono iniquità e una redistribuzione, una restituzione. Questo è profondamente politico, e a mio parere assolutamente necessario.

MZ: Da critica della fotografia, puoi provare a sintetizzare come Luca Locatelli tratta gli argomenti e le questioni politiche, sociali, etiche, ecologiche, e come li traduce formalmente nelle sue ricerche e opere?
EM: Il lavoro di Luca è profondamente documentario, si innesca sicuramente in quella che è stata sempre la sua pratica di artigiano della fotografia che racconta le storie. Quello che fa da un punto di vista formale con questo nuovo progetto è sicuramente misurarsi con un piano narrativo più contemporaneo: qua entriamo nelle strategie narrative del post documentario, entriamo in un contesto nel quale si introduce un piano di speculazione e di interpretazione della realtà e di quello che ci circonda, in cui sicuramente la sua posizione, il suo punto di vista, è innegabilmente molto più visibile, manifesta. E questa è una cosa che io trovo interessante, non soltanto da un punto di vista di crescita e di sperimentazione, ma proprio perché, al netto del tutto, il fondamentale ruolo del documentario, sia esso speculativo, sperimentale, transmediale, necessita di uno sviluppo continuo. Inoltre, necessita di una fluidità nella creazione delle strategie narrative e visive, delle quali abbiamo incredibilmente bisogno. Il fatto che Luca Locatelli decida di mettersi in gioco e di espandere il proprio campo di ricerca visiva, lo trovo assolutamente degno di nota. Da un punto di vista curatoriale, ma per me non è stato difficile curare una mostra di fotografie in questo senso, ho un profondo interesse nella funzione della fotografia e nei suoi contesti, in “cosa ne facciamo delle immagini”. Per me la grande sfida è stata parlare delle storie di queste fotografie all’interno della mostra. Se io avessi voluto, se noi avessimo voluto semplicemente allestire delle immagini in una sala espositiva sarebbe stato sicuramente più facile. Quello che stiamo cercando di fare qua è creare un sistema ibrido, è creare un sistema che parte dalle fotografie, ma poi crea un piano di conversazione sul rapporto tra immagine e testo al quale aggiungiamo un altro livello, quello dei dati – con la presenza fondamentale delle infografiche. La mostra di fotografia diventa qui un sistema visivo, nel quale l’estetica ha forte valore di indice, contiene delle informazioni, e nel quale ogni elemento visivo ha un ruolo, un significato ben preciso, ha un valore. E quindi qui da un punto di vista curatoriale inizia a diventare interessante per una come me, abituata a gestire la complessità di argomenti del genere su carta stampata, in piattaforme portatili che sono sicuramente più semplici in questo senso, mentre all’interno di una mostra tutti i piani di approfondimento debbono avvenire contemporaneamente. Questo è sicuramente affascinante, stimolante.

MZ: Avete costruito anche un catalogo in linea con lo spirito della mostra?
EM: Nella sua forma e nel suo progetto editoriale, il catalogo edito da Skira e da Gallerie d’Italia cerca di trasmettere la struttura stessa della mostra. Abbiamo cercato di trasportare l’esperienza visiva e sensoriale che c’è all’interno delle sale nel libro. Abbiamo cercato di mettere in pratica quello di cui parliamo sia nella mostra che nel catalogo: non ci sono materiali plastici all’interno di tutta la mostra, abbiamo riciclato il più possibile i materiali di costruzione delle pareti stesse, mentre il catalogo è stato stampato su una carta prodotta da scarti vegetali – tra l’altro da una cartiera meravigliosa che abbiamo in Italia, si chiama Favini, che poi è una delle storie che Luca ha fotografato. L’immagine della macchina continua che produce la carta è qua in mostra. E la carta che abbiamo usato per stampare del catalogo è prodotta con le alghe che infestano la laguna di Venezia, che vengono raccolte e processate attraverso un procedimento da loro brevettato, che crea una carta meravigliosa, chiamata “alga carta”. E noi abbiamo usato l’alga carta per realizzare un libro di fotografia. Invece la copertina è realizzata con una carta, sempre prodotta da loro, che però si chiama “crash” ed è realizzata dagli scarti alimentari. La fotografia, l’editoria, i musei devono necessariamente interrogarsi anch’essi sulla sostenibilità dei loro processi e pratiche – per cui anche in questo senso è stata una grande opportunità per mettersi in gioco.

Luca Locatelli. The Circle. Soluzioni per un futuro possibile
A cura di Elisa Medde
Gallerie d’Italia, Torino
fino al 18 febbraio 2024
catalogo Skira / Gallerie d’Italia
In copertina: Luca Locatelli, Biosphere underwater farming #3, Italia, 2021 © Luca Locatelli