Una linea verticale, netta come un taglio, divide a metà un volto di donna, tra luce e ombra. È come se due forze si contendessero quest’ovale e quella stessa lotta si agitasse dentro di lei, dietro le palpebre chiuse, mentre sulle labbra aleggia l’indicibile, come in un sospiro. La donna ritratta in questo chiaroscuro struggente è Rosaria Schifani, vedova di Vito, l’agente di scorta ucciso insieme al giudice Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e i suoi colleghi Antonio Montinaro e Rocco Di Cillo. A mostracela così è Letizia Battaglia, in una foto scattata a Palermo nel 1992. La lente della macchina fotografica cattura tutta la bellezza dolente e quasi sospesa, la dignità – soprattutto la dignità – e la forza di una donna che ha vissuto in prima persona una tragedia che ha scosso tutta la nazione.

Questa fotografia rappresenta un capitolo importante nella carriera di Battaglia. Dopo anni a documentare le brutalità mafiose, aveva deciso di mettere una distanza tra lei e quell’ambiente: «per vent’anni ho realizzato fotografie di un certo tipo. Ero martellata dalla sofferenza, dal dolore altrui. Non mi sono mai liberata da tutto questo, ne sono rimasta segnata, intristita e a poco a poco ho cominciato ad allontanarmi da questa città. Io non ci sono più a Palermo», così diceva in un’intervista a Gaetano Cipolla (ora raccolta in Due o tre cose che so di lei, edizioni di passaggio, Palermo 2008). Tante immagini intrise di passione e di coraggio, tante finestre sulla cruda e affascinante realtà della sua terra, la Sicilia, di cui – pur allontanandosene – non ha mai smesso di sentire la voce, perché una voce gliel’aveva data e Battaglia non ha mai smesso di usarla forte.

La mostra Letizia Battaglia. Senza fine alle Terme di Caracalla vuole essere un giusto ma impossibile compendio di cinquant’anni di lavoro. Chi l’ha conosciuta ricorda che quando arrivava sulla scena sul suo motorino, Letizia Battaglia urlava per farsi spazio in un mondo di uomini – assassini, giornalisti, politici e poliziotti – e la macchina fotografica è stato il suo megafono, ma anche un microfono da porgere, uno strumento per farsi sentire ma anche per dare risonanza, per farsi vedere e per far vedere, per fare in modo che tutti vedessero.

Promossa dalla Soprintendenza Speciale di Roma diretta da Daniela Porro, la mostra è organizzata da Electa in collaborazione con l’Archivio Letizia Battaglia e la Fondazione Falcone per le Arti. Lo spazio delle Terme, tanto imponente quanto silenzioso, amplifica l’intimità urlata delle 92 fotografie esposte che ci raccontano del fervore con cui ha cercato d’impossessarsi della sua identità, attraverso l’esplorazione di molteplici identità. Una lunga fedeltà agli emarginati, agli oppressi, alle vittime e a tutti quelli che, come lei, hanno cercato di sovvertire un ordine inaccettabile.
Ai bambini e ai matti si sentiva vicina, ne condivideva le paure e lo sguardo, e ne ha fatto soggetto privilegiato della sua opera. Adulti travestiti da fatine per il carnevale e ragazzini da gangster con una calza a coprire il viso e la pistola in mano, Battaglia li ritraeva anche come atto di denuncia verso chi ha rubato loro il futuro. Che fosse in strada o all’Ospedale psichiatrico di Via Pindemonte, il suo obiettivo li scrutava sotto la superficie, catturandone la complessa umanità. Si lasciava attraversare dalle loro occhiate oblique, provocatorie, interrogative, severe e li coglieva nei loro momenti di libertà: uno slancio verso il pallone, un bagno in mare, la timidezza di certe pose composte in cui la sofferenza psicologia ritrova la sua verità nuda.

E pensare che Battaglia ha iniziato a scattare a 34 anni, quando l’amica Marilù Balsamo le ha regalato la prima macchina fotografica: era il ’69, lavorava come giornalista e insieme all’articolo le chiedevano pure le foto, altrimenti non glielo pubblicavano. Questo dono apparentemente semplice, dettato dalla praticità, ha rivelato in lei un talento latente e straordinario. Una late bloomer e anche un’autodidatta, le cui prime prove sorprendono per la consapevolezza del punto di vista, oltre che per la composizione e l’empatia.

“Empatia” è anche una delle parole scelte per dare vita alle lettere dell’espressione “senza fine”, con l’idea di realizzare un abbecedario, o un sillabario, della personalità di Letizia Battaglia. Nelle intenzioni dei curatori Paolo Falcone e Sabrina Pisu, il volume nasce come prosecuzione e ampliamento della mostra, e le nove parole derivate dallo stesso titolo sono un tentativo per conoscere meglio le tante letizie e le tante battaglie che albergavano dentro di lei.
Chiara Barzini, scrittrice e sceneggiatrice, scrive che nel suo nome «convivono attitudini alla vita contrastanti, leggerezza e peso, gaiezza e scontro», ed ecco come in queste pagine dedicate a lei se ne ricordano i gonnelloni e i capelli colorati, la capacità di reagire, di sognare, di pensare il futuro, di anticiparlo. Si sa, parlare di dolore, di lotta, di rabbia, di morte significa sempre parlare di vita. È vita la sessualità giocosa del servizio realizzato per «Le Ore» – giornale milanese di cronaca, poi divenuto erotico –, sono vita le giovani coppie ritratte nello scambio di un sorriso o di un bacio, le anziane che cuciono o mangiano un gelato, i viaggi e le proteste, l’ironia di una donna fotografata adagiata in una carriola, a prendere il sole nuda mentre sullo sfondo un uomo zappa la terra, i ritratti agli amici e la maternità esplosiva di sua figlia Patrizia che partorisce Marta.

Tutta l’opera di Letizia Battaglia è vita, un’opera che non si esaurisce alle sue fotografie, ma che si espande all’attivismo, all’editoria, alla politica, al costante impegno civile. Camminando tra i supporti di cristallo che elevano e incorniciano le foto in mostra, un’altra parola che viene in mente è “avventura” e tante ne aspettano ancora a questa donna che continua a ispirare coraggio più che nostalgia. «Ha il privilegio quasi inumano di continuare di avere ancora un avvenire»: nelle parole della nipote Marta Sollima c’è una profonda verità. L’eredità di Letizia Battaglia si espande ben oltre le cornici delle sue fotografie, è una testimonianza dell’indomabile spirito di chi sceglie di confrontarsi con l’ingiustizia e di fare luce negli angoli più bui della società. È un monito a essere indomiti e a restare umani.

Letizia Battaglia. Senza fine
Roma, Terme di Caracalla
fino al 5 novembre 2023
catalogo a cura di Paolo Falcone e Sabrina Pisu
Electa, 2023
pp. 224, € 32
In copertina: Letizia Battaglia. Graziella. Via Pindemonte. Ospedale Psichiatrico. Palermo, 1983