La conchiglia di Calvino

12/10/2023

Il centenario della nascita di Italo Calvino (15 ottobre 1923), come quello del presunto antipode Pasolini l’anno scorso, ha incentivato per fortuna – di là dalla tassa inevitabile delle retoriche celebrative – una messe di pubblicazioni innovative (delle quali cominceremo prossimamente a dar conto) e, il che colpisce per il parallelismo dei rispettivi pensieri per immagini, notevoli appuntamenti espositivi. La grande mostra che si apre domani alle Scuderie del Quirinale, Favoloso Calvino (a cura di Mario Barenghi, sino al 4 febbraio), reca per sottotitolo Il mondo come opera d’arte (e Palomar – la straordinaria luminaria per l’occasione allestita in Via XXIV maggio, realizzata una prima volta a Torino nel 1998 da Giulio Paolini – pare moltiplicare quel mondo in un intero firmamento di immagini); alla Loggia degli Abati del Palazzo Ducale di Genova si apre il 15 (a cura di Eloisa Morra e Luca Scarlini, sino al 7 aprile) Calvino cantafavole; mentre è già aperta da qualche settimana a Santo Stefano Belbo, nella chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo, Un figlio della civiltà delle immagini. Viaggio nei libri di Italo Calvino, a cura della Fondazione Cesare Pavese (sino al 1 aprile), che raccoglie tutte le prime edizioni dei libri pubblicati in vita dallo scrittore.

Ma per fortuna non è mancata all’appuntamento quella cenerentola che è ormai la critica “scritta”. E decisamente controcorrente è tanta critica, e tanto scritta, quella di uno dei libri più impressionanti degli ultimi anni: Calvino fa la conchiglia. La costruzione di uno scrittore (Hoepli, XVI-832 pp. ill. col. f.t., € 30), nel quale quello che da tempo è uno dei suoi migliori studiosi non solo ha utilmente raccolto saggi e interventi da lui dedicati a Calvino negli ultimi trent’anni (provvedendo anche a recuperare in parte, e assai aggiornare, le giù utilissime “voci” raccolte nel dizionario Italo Calvino pubblicato nel 1999 da Bruno Mondadori), ma li ha corredati di tutta una serie di strumenti di consultazione che del libro fanno una bussola e insieme un vero thesaurus dello scibile delle “scienze umane” del secondo Novecento: al cui centro, per tanti motivi ineludibile, l’opera di Calvino si presenta come una vera e propria rosa dei venti. Il testo-chiave che al libro dà il titolo, e che con grande acutezza Scarpa ha riconosciuto come autobiografia ideale del meno autobiografico scrittore del secolo (almeno nelle sue intenzioni, che la sua opera per fortuna disattende assai), La spirale che conclude Le cosmicomiche del ’65, allegorizza come concrescita sedimentale la “costruzione” concettuale e linguistica del suo autore. Ma altrettanto si può leggere come traslato del vorticare di immagini che ha saputo mobilitare attorno a sé il più iconofilo scrittore del secolo.

Il volume non poteva dunque non essere corredato, altresì, di due ricchi e originali inserti iconografici; e appositamente per i lettori di «Antinomie» Mimmo Scarpa – che assai ringraziamo – ha realizzato e commentato una loro sintesi, che è la migliore presentazione del libro.

A.C.

Il nome Italo Calvino significa anche, fra le molte cose, un universo di immagini riversate sulla carta. Fin da quando, bambino di tre-quattro anni, si divertiva a scombinare e a ricombinare le vignette del «Corriere dei piccoli» prima ancora di saper leggere, la sua costruzione di sé è stata anche un’autocostruzione grafica: una vicenda di suggestioni, complicità e attriti con il medium delle figure. Così, anche al libro che ho scritto su di lui ho dato un titolo – Calvino fa la conchiglia – suggerito da un’immagine. Calvino fa la conchiglia quando scrive un racconto autobiografico, La spirale, dove compare sotto la forma di un mollusco di 520 milioni di anni fa, applicato al suo scoglio e impegnato a fabbricarsi il guscio: e vuole che gli venga solido per proteggere la sua polpa, e che abbia forma armoniosa e colori limpidi in modo che lo ammiri chi lo guarda.

La spirale è del 1965. Calvino l’ha messa in ultima posizione nella raccolta Le Cosmicomiche perché gli è parsa un punto di arrivo nella sua opera, e da allora non ha più cambiato idea. Il suo vero debutto come scrittore avviene nel 1945, a guerra appena finita, mentre la morte arriva improvvisa quarant’anni più tardi, nel 1985. La spirale cade esattamente a metà del suo cammino.

Nelle sue quindici pagine, tante ne prende nella prima edizione Einaudi, La spirale è il racconto di una costruzione di sé, tema narrativo che in Calvino è costante e che ha suggerito il sottotitolo del libro, La costruzione di uno scrittore. Queste parole alludono a due vicende innestate l’una nell’altra. La prima riguarda ciò che Calvino è andato costruendo con i suoi libri e con il suo lavoro, la seconda passa in rassegna le scelte, le necessità e le contingenze attraverso le quali ha costruito – o ha accettato che le circostanze più varie costruissero – la sua persona pubblica e scrivente.

Si può dire che per tutta la vita Calvino abbia fatto una conchiglia, che per tutta la vita abbia costruito con i suoi racconti, i suoi saggi, i suoi romanzi, i suoi testi di genere inafferrabile, la gioia fisica e mentale di chi legge. Per tutta la vita Calvino non ha mai interrotto la costruzione di se stesso; a cento anni dalla sua nascita era il momento di raccontare questa storia, e di raccontarla intera. Calvino fa la conchiglia contiene anche due inserti a colori di sedici figure ciascuno, intitolati Biografia minima per immagini e Complicità grafiche. Si intuiscono facilmente i contenuti del primo, mentre le «complicità grafiche» riguardano artisti che – entrati in rapporto d’interferenza con i testi di Calvino o con lui in persona – hanno prodotto immagini che dialogano con quei testi o direttamente con lo scrittore.

Volendo ora offrire ad Antinomie (con un grazie ad Andrea Cortellessa) una sintesi del libro attraverso le immagini che lo accompagnano, viene naturale cominciare dagli anni della prima formazione di Calvino e dalla prima conchiglia-galassia che poté ammirare, desiderando magari di fabbricarsene una per conto suo: è quella che compare sulla copertina (spiegazzata e scorticata in nell’esemplare qui in mostra) dell’Universo in espansione di Sir Arthur Eddington, 1934. L’editore è Zanichelli, il traduttore è Giorgio de Santillana, che circa trent’anni più tardi darà a Calvino, con la sua conferenza Fato antico e Fato moderno, un primo spunto per scrivere Le Cosmicomiche.

Sir Arthur Eddington, L’universo in espansione, Zanichelli, Bologna 1934, copertina

Una seconda immagine, ad affiancare quella della conchiglia. Si tratta di una parola polisillabica e sdrucciola, intercapedine. Nella primavera del 1948 una giovane giornalista della «Stampa», Marialivia Serini, fa un’incursione nella casa editrice Einaudi sorprendendo ben tre scrittori che, alle rispettive scrivanie, stanno svolgendo il loro compito di redattori. Il più anziano dei tre (Cesare Pavese, classe 1908) ha sempre detestato le interviste, ma qui dovrà tollerare di vedersi anche in fotografia, per giunta a torso nudo mentre voga sul Po. Per gli altri due – Natalia Ginzburg (1916) e Italo Calvino (1923) – è la prima intervista in assoluto della loro bibliografia, mai registrata prima d’ora nelle bibliografie stesse. Nel breve colloquio con «m.l.s.» Calvino si lascia andare, confessando di avere dentro di sé un’«intercapedine».

– E del mare non sente la nostalgia?

– Sì, certi giorni soprattutto. Mi sembra che mi manchi qualcosa. Poi capisco: è il vento o il rumore delle onde, – Tace un momento. Poi ci confessa: – Qualche volta sento come un’intercapedine in me.

– Intercapedine?

– Già, difficoltà a dire quello che sento. Mi è più facile scrivere.

Solo dopo la scomparsa di Calvino sarebbe emerso che intercapedine compariva, con le stesse implicazioni psicologico-espressive di questa intervista, in un paio di racconti del 1946 rimasti inediti e perfino in una prima versione dell’incipit del suo primo libro, Il sentiero dei nidi di ragno:

Non un’intercapedine: una strada. Ma stretta e fonda che per arrivare fino in fondo al vicolo, i raggi del sole devono scendere diritti rasente le pareti fredde, tenute discoste a forza d’arcate che traversano la striscia di cielo azzurro carico.

Di esplorare quella intercapedine scomparsa dai testi a stampa, ma presente nell’intera opera di Calvino, s’incarica un capitolo del libro. E qui si può saltare a un altro testo seminale, pure nascosto, ma in un luogo dove chiunque lo avrebbe potuto scoprire.

Cesare Pavese, Poesie edite e inedite, a cura di Italo Calvino, Einaudi, Torino 1962, «Supercoralli», sovracoperta

Nel garbuglio degli abbozzi manoscritti della poesia I mari del Sud, che nel 1930 è il primo testo pienamente riuscito di Cesare Pavese, si arriva a decifrare – quasi coperto dalle parole cancellate tutt’intorno – un verso che, inalterato, arriverà fino alla redazione definitiva: «Qualche nostro antenato dev’essere». Calvino, che nel 1962 cura questa edizione integrale delle poesie di un suo maestro, fa opera di filologo esaminandone i manoscritti, e lascia intravedere una fonte del suo titolo I nostri antenati: un omaggio che è anche un guizzo autobiografico.

La grafica dei «Supercoralli», collana cui appartengono sia I nostri antenati di Calvino sia le Poesie edite e inedite di Pavese, si deve a Bruno Munari, che nel primo dopoguerra imposta sui fondi bianchi di copertina l’immagine intera della casa editrice Einaudi, che tuttora almeno in parte la connota. È cosa meno risaputa che fra le altre case editrici cui Munari collabora c’è il Club degli Editori, nato da appena quattro anni quando Calvino gli affida, nell’agosto 1964, una ristampa del Sentiero dei nidi di ragno con una nuova Prefazione che segna una svolta nella sua opera. Dal folto di quel bosco che Munari ha reso con sbavature e colature d’inchiostri ci si aspetta che sbuchi, da un momento all’altro, qualcosa di interamente nuovo.

Bruno Munari, sovracoperta per Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Club degli Editori, Milano 1964.

Le storie cosmicomiche sono la novità che nell’opera di Calvino s’impone a metà degli anni sessanta. Ti con zero, 1967, è la seconda raccolta di quelle storie, e in aperturaci sarà La molle Luna; intanto però, alla sua prima uscita nel settimanale «La Fiera Letteraria» del 27 gennaio 1966, Bruno Caruso interpreta il racconto con una delle sue monocromie – un arancio vivo, infocatissimo – dove ciascuna cosa disegnata sembra ruotare e tutte, anche se inanimate, esprimono vitalità, brama di congiungersi, fecondità, pansessualità universale.

Bruno Caruso, disegno per Italo Calvino, La molle Luna, in «La Fiera Letteraria», XLI, 3, 27 gennaio 1966, p. 17.

Nei primi anni sessanta un giovane Tullio Pericoli (classe 1936, nativo di Colli del Tronto, nelle Marche) approda a Milano e al quotidiano «Il Giorno». Dopo un collaudo con un racconto di Bassani gli viene affidato Il racconto della domenica, che di settimana in settimana porta le firme di Gadda, Arpino, Arbasino, Bianciardi, Sciascia, Soldati, Pasolini. E anche di Primo Levi, che ha cominciato a scrivere storie di fantascienza – anzi, di fantatecnologia e fantabiologia – con anni di anticipo sul suo amico Calvino.

Tullio Pericoli, disegno per Calvino, L’inseguimento, in «Il Giorno», 28 maggio 1967, p. 19 (suppl. «Il Giorno domenica», p. 2). Per gentile concessione di Tullio Pericoli.

Quando Calvino comincia a pubblicare sul «Giorno» le sue storie cosmicomiche, è naturalmente Pericoli a tradurgliele in immagini. Fra quelle che rilancia sui paginoni domenicali del «Giorno» con i suoi disegni al tratto – nel suo stile di allora, convulso e composto al tempo stesso –, eccone due che di lì a poco confluiranno in Ti con zero: L’inseguimento (28 maggio 1967) e I cristalli (11 giugno 1967). Ricorderà Pericoli: «Mi passavano per le mani … battute a macchina (probabilmente in copia unica, molto preziose).»

Tullio Pericoli, disegno per Calvino, I cristalli, in «Il Giorno», 11 giugno 1967, p. 10. Per gentile concessione di Tullio Pericoli. La citazione proviene da Silvia Ballestra, Le colline di fronte. Un viaggio intorno alla vita di Tullio Pericoli, Rizzoli, Milano 2011, p. 53.

Un mondo capovolto, un mondo impossibile reso possibile, esseri alati e alianti che fluttuano in un vuoto che potrebbe essere un cielo, e architetture antiche, capovolte, disegnate come dalla matita di un bambino attento, preciso, visionario. Pittore e scrittore a pari titolo e a titolo pieno, così Emilio Tadini interpreta L’origine degli Uccelli, una cosmicomica abbozzata da Calvino già nel 1964 ma rifinita per ben tre anni prima di essere inclusa in Ti con zero. «Linus» era la sede giusta per anticiparla.

Da tempo «Linus», prima grande rivista italiana di fumetti fondata a Milano nel 1965, teneva d’occhio uno scrittore immaginoso quale Calvino è stato sempre. Nel fascicolo di gennaio 1966 il suo direttore Oreste Del Buono recensiva Le Cosmicomiche; ora, nel luglio 1967, mette la sua sigla «O.D.B.» sotto un corsivo di presentazione, dove elogia lo scrittore per un racconto che si comporta come un fumetto, e dove elogia il pittore che qualche anno prima ha pubblicato un memorabile romanzo intitolato Le armi, l’amore.

Emilio Tadini, disegno per Italo Calvino, L’origine degli Uccelli, in «Linus», III, 28, luglio 1967, p. 29. Per gentile concessione degli Eredi Tadini e dell’Archivio Emilio Tadini e Casa Museo, Milano.

Grazie ai racconti cosmicomici Calvino è ormai entrato con l’universo in un rapporto di confidenza che è anche un rapporto di diffidenza, e farà il possibile per estenderlo al suo pubblico. Rivolgete pure all’universo – così sembra dire ai suoi lettori – la vostra attenzione e magari la vostra passione, ma guardatevi dalle sue insidie: da quelle di lui, e anche dalle mie allorché ve lo descrivo. È forse questa una delle tante morali della favola proposte dall’opera nella quale culminano i suoi anni settanta: Se una notte d’inverno un viaggiatore, 1979.

Con il titolo-annuncio L’universo è un falso, l’autore di questo libro plurimo affida la prima anticipazione di Se una notte a una rivista satirica dell’ultrasinistra, «Il Male», stampata su carta povera e specializzata in apocrifi e pastiches. Nel vedere la firma «Italo Calvino» in quella sede, parecchi avranno pensato a una duplice falsificazione. E invece…

Italo Calvino, L’universo è un falso, in «Il Male», II, 21, 6 giugno 1979, p. 14.

A Se una notte d’inverno un viaggiatore c’è chi sa rispondere a tono: nelle interviste con l’autore, quando i suoi interlocutori fanno uso di libertà e spirito, Calvino tira fuori il meglio. Questa, di Francesca Salvemini, esce il 19 luglio 1979 su «Lotta continua». Siamo nuovamente nel territorio dell’ultrasinistra, e il botta-e-risposta conclusivo era proprio da incorniciare.

Come si può poetare con tutta questa confusione? Intervista a Italo Calvino, a cura di Francesca Salvemini, in «Lotta continua», 19 luglio 1979, p. 10.

Alle volte anche i recensori sanno fare uso di libertà e di spirito. Sono passati quattro anni ed è uscito Palomar, ultima opera di Calvino pubblicata da Einaudi. Bruno D’Alfonso e Fausto Gianì, incaricati di recensirlo su «Linus», si accorgono che è in realtà un libro a fumetti, dove ogni breve disavventura del signor Palomar è una strip. Così, agiscono di conseguenza, immaginandosi un antefatto e interpretando a modo loro i brani Lettura di un’onda e Il seno nudo.

Bruno D’Alfonso e Fausto Gianì, recensione a fumetti di Palomar, in «Linus», XX, 2 (227), febbraio 1984, pp. 87-90; si riproduce la p. 87

Max Beerbohm ha fatto nel 1915 per un suo amico, in forma privata, questa caricatura dei due Henry James. «Come scrivi male!» dice il giovane James al James maturo; «Come scrivevi male!» dice quello maturo rivolto al giovane.

La caricatura è rimasta inedita a lungo. Beerbohm l’ha disegnata sul foglio di guardia di un volume prefato da James: Art and the Actor del grande attore francese Constant Coquelin, uscito in traduzione inglese nel 1915. James aveva ricavato la sua Introduction da un saggio su Coquelin che aveva scritto ventotto anni prima, nel 1887, e del quale non avrebbe permesso la ristampa senza riscriverlo di sana pianta.

Max Beerbohm, The revised and unrevised Henry James, *EC9 B3927 Z915c, Houghton Library, Harvard University, by permission.

Se ora ci si domanda cosa c’entri con Calvino questa immagine conclusiva, la risposta sarà semplice: basta indirizzarla a Calvino, e la caricatura di Beerbohm avrà valore addirittura doppio; potrà valere come caricatura di lui Calvino, che per una vita intera non ha fatto che correggersi (benché non sia giunto agli estremi di una riscrittura radicale dei testi più antichi, né avrebbe approvato un comportamento simile), e potrà valere come caricatura di una parte dei suoi critici, che contrappongono un primo e un secondo Calvino: la demarcazione è fissata di solito a metà anni sessanta, fra lo Scrutatore e Le Cosmicomiche, solitamente assegnando la colonna entrate del bilancio allo scrittore giovane, e strapazzando per suo tramite l’anziano: «How badly you write!»

Qui, a chiusura di questa sfilata di immagini, si vorrebbe suggerire che il bilancio reale di Calvino (di Calvino intero, dal principio alla fine) è più complicato e al tempo stesso più semplice. Per tutta la vita, nei modi più diversi, questo scrittore ha ripetuto che si scrive sempre per correggersi e che perciò non esiste nessuna “prima volta” per chi scrive. La differenza è che da giovane Calvino continua a dire, a se stesso e in pubblico, di non aver fatto ancora nulla di ciò che avrebbe intenzione di fare, mentre già nel 1958, a trentacinque anni appena compiuti, in una lettera a Geno Pampaloni lo sorprendiamo a esclamare: «Ma si scriveva meglio da giovani!»

Di là da questa perpetua insoddisfazione rispetto al presente di se stesso, Calvino fa la conchiglia cerca di raccontare la coerenza produttrice di potenzialità che la traiettoria di Calvino va disegnando per noi nel corso della sua vita, e la si può riassumere in una definizione che lui stesso ha dato di Elio Vittorini nel 1967, a un anno dalla scomparsa dell’amico: «promessa che continua a promettere».

Domenico Scarpa
Calvino fa la conchiglia. La costruzione di uno scrittore
Hoepli, 2023
XVI-832 pp. ill. col. f.t., € 30

In copertina: Pier Paolo Pasolini e Italo Calvino da Rosati, 1960 (foto Garolla)

Domenico Scarpa

è nato a Salerno, vive a Pisa e lavora come critico letterario, docente, curatore di testi e consulente editoriale del Centro studi Primo Levi di Torino. Ha pubblicato, tra l’altro, “Storie avventurose di libri necessari” (Gaffi, 2010), “Bibliografia di Primo Levi ovvero Il primo Atlante” (Einaudi, 2022) e ha curato nel 2019 il doppio Meridiano Mondadori delle “Opere di bottega” di Fruttero & Lucentini. Cura per Sellerio i romanzi di Graham Greene e per Einaudi le opere di Natalia Ginzburg.

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