Una vasta letteratura, dallo Zanzotto di Filò all’Emanuele Trevi di Sogni e favole, ci mostra come – prima ancora che la metonimia infinita del film vero e proprio – sia un’allegoria dell’inconscio la sala cinematografica: col suo buio i suoi bagliori le sue fantasmagorie di specchi. E nella breve prosa che introduce alla sezione Come nel film (che qui, per la cortesia dell’autrice, si presenta aumentata di un episodio inedito, il terzultimo della serie), highlight dell’ultimo libro di Vivian Lamarque (L’amore da vecchia, Mondadori 2022) – col quale prosegue la serie di antologie “visive” dai libri finalisti alla prima edizione del Premio Strega Poesia –, scopriamo come il cinema (inteso prima di tutto come “luogo”) sia ben più, nel suo caso, che il repertorio di un’aneddotica sentimentale. È invece la sede di una “scena primaria” vera e propria, quella che da sempre terremota il suo “romanzo famigliare” (volendo usare un lessico freudiano forse trasgressivo, per un’autrice intrisa di junghismo come lei). Ma è anche la metafora perfetta di un’intensione della memoria, per dirla con Paul Celan, che appunto (come nell’immagine magrittiana citata in abbrivo) intensifica e insieme distorce la sequenza dei fotogrammi psichici. Una risegmentazione interminabile che, volendo, ha per nome poesia.
Andrea Cortellessa
ai cinema di Milano quando erano 133
In certi le sedie erano di legno, facevano rumore; si poteva entrare a film cominciato, era incantato il fotogramma del ricongiungimento tra il già visto e il non ancora visto; da bambina non uscivo da casa per andare al cinema, uscivo dal cinema per andare a casa; a volte mi lasciavano schiacciare l’interruttore, lo accendevo io il cinema, la platea, la galleria. E un giorno sentii una guardarobiera chiedere a un’altra guardarobiera: ma è la figlia della cassiera? E l’altra bisbigliando rispose sì, ma adottiva (tanto io lo avevo già scoperto da sola). La maschera con la pila controllava che non mi si sedesse vicino nessuno, ma una volta uno si sedette lo stesso. I tendoni rossi di velluto ti avvolgevano come mamme. E un giorno, per caso, una mia mamma venne a comprare il biglietto dall’altra, come in un film.

COME NEL FILM LE BALLON ROUGE (1956)
Come nel film Le ballon Rouge di Lamorisse
che Parigi anni ’50 in bianco e grigio è come
il paradiso e che il bambino Pascal da un lampione
salva un palloncino rosso (unico colore)
e diventano amici stretti ma poi una squadraccia
di bambini…
Così certi fotogrammi in bianco e nero
nella nostra mente certi giorni sanguinano
come vicino alla tempia la Mémoire
di Magritte, ma in altri giorni scorrono quieti
come nel buio del cinema un bel film.

COME NEL FILM LA SPIAGGIA (1954)
Come nel film La spiaggia di Lattuada che alla stazione
c’erano le suore e Martine Carol con la sua bambina
Caterina, e sul treno che le portava al mare c’era
Raf Vallone e sulla spiaggia c’erano mutevoli
persone con loro prima ossequiose poi sprezzanti
poi ossequiose
Così succede a volte a noi con le mutevoli dosi
dell’amore e anche del sole e della pioggia,
o come il mare quando salpano i barconi che è calmo
invece era un inganno.

COME NEL FILM GIOCHI PROIBITI (1952)
Come nel film Giochi proibiti di René Clément
che il bambino Michel Dollé chiede alla bambina Paulette
Ma dove vuoi andare?
Voglio tornare da mamma e papà là sul ponte.
E lui le dice non ci sono più sul ponte.
E dove sono?
In una buca.
In una buca?
Sì.
Così vorrebbe lei il parlare solo no,
sì, o un po’. Come Chance nel film
Oltre il giardino. E a bassa voce
come i pesci dentro il mare. Intanto
i bambini rubano croci al cimitero vero
per metterle nel loro di bestioline morte
vicino al piccolo cane mitragliato.
Mitragliato sul ponte?
Sì.
Come mamma e papà?
Sì.

COME NEL FILM MAMMA ROMA (1962)
Come nel film Mamma Roma che nel finale
Ettore sul letto di contenzione sta per
morire e dice tante volte aiuto aiuto e nessuno
lo sente e mentre muore dice
non ce la faccio più mamma
Così tanti non sono sentiti da nessuno
come erba che dice acqua invano
come naufrago che invano dice terra.

COME NEL FILM UCCELLACCI E UCCELLINI (1966)
Come nel film Uccellacci e uccellini che Davoli e Totò
non riescono a evangelizzare i passeretti, ma poi Ninetto
saltella su un piede nelle caselle del gioco Campana
e Totò capisce che sono i saltelli le parole dei passeri
Così certe volte noi non con parole ma con sguardi
profondamente comunichiamo. Ma solo con alcune
anime predilette, con le altre non c’è campo.

COME NEL FILM THE DEAD (1987)
Come nel film The Dead quando nel finale la neve
di Joyce cade e cade sulle colline senza alberi,
sulle onde scure e tumultuose dello Shannon
e su tutto l’universo, su tutti i vivi e su tutti i morti
Così a volte anche su noi pecorelle ammassate
dell’universo, sulle pecorelle vive e sulle già morte.
E intanto nel film recitano i versi Lady Gregory
tu mi hai rubato l’oriente tu mi hai rubato l’occidente
e nominano guanti di pelle di pesce color madreperla
così forse sarà il colore della neve quando si posa sul mare.

COME NEL FILM IL TEMPO DEI GITANI (1988)
Come nel film Il tempo dei gitani con l’amoroso tacchino
in braccio stretto e che le lattine con il pensiero si muovono
e che il tetto della casa dall’alto lo scoperchiano e ci vedi
dentro, proprio dentro la casa, il tavolo le sedie i letti tutto
Così certe volte Jung amorosamente le picconava antichi muri
le scandagliava i sogni le scoperchiava la testa le mostrava
la buia cantina mai vista che lei aveva dentro di lei.

COME NEL FILM SCHINDLER’S LIST (1993)
Come nel film Schindler’s List che Oskar Schlindler
verso la fine affranto ripete e ripete avrei potuto
salvarne di più, di più avrei potuto, perché
non l’ho fatto? perché non l’ho fatto? quanto denaro
ho sperperato e singhiozza senza darsi pace, e mentre
Itzhak Stern gli ricorda quanti ne ha salvati, lui è inconsolabile
Così a noi a volte brevi flash illuminano
senza scampo il non abbastanza fatto nella vita
che ci era stata data, il non detto né dato, in così
tanti anni mai trovato il tempo ma perché
non l’abbiamo fatto? perché non lo abbiamo detto?

COME NEL FILM IL PIANISTA (2002)
Come nel film Il pianista che Brody nascosto
deve suonare il piano senza toccarli i tasti
ma nella sua testa il notturno lo sente lo stesso
Così noi che non possiamo toccarli più gli scomparsi
egualmente li sentiamo, proprio la loro voce identica
che ci dice vai che fai tardi, ma vero che domani ritorni?

COME NEL FILM L’ULTIMO TRENO (2003)
Come nel film L’ultimo treno (attenti ce ne sono due)
che nevicava sempre e che i soldati tossivano sempre
(in genere i registi i soldati li fanno uccidere o morire,
poco tossire) e la guerra la sentivi più forte
risuonare da quei bronchi minati
Così guardando e guardando, qua e là colpi di tosse in sala
tra gli spettatori, contagio indiretto tra polmoni lontani
e cuori vicini in una sala cinematografica
(poverino il mondo, ma la guerra non la lascerà più la terra?)

COME NEL FILM OGNI COSA È ILLUMINATA (2005)
Come nel film Ogni cosa è illuminata che la guida ucraina
Alex traducendo parla una lingua stranita lungo i fianchi della
memoria tra gli sterminati di Trochenbrod nel cominciamento
di una rigida ricerca (e c’è anche un cameo con Foer vero,
che soffia via le foglie del cimitero)
Così stranisce la lingua poesia e quando ti parla saltano
i tempi verbali e ritorna di tutto anche ritornano i morti
e anche le case del film, come quella delle bianche lenzuola
tra il giallo dei girasoli, ed è tutto un andare venire
come il cane Sem nel finale che dalla tomba del vecchio
padrone corre al sentiero poi alla tomba poi al sentiero,
ma infine non sceglie la tomba, fugge via, via, sceglie la vita,
così anche noi, la vita.

COME NEL FILM LA FAMIGLIA BELIER (2014)
Come nel film La famiglia Bélier che quando
la ragazzina non sordomuta canta a Gabriel
la canzone Je vais t’aimer subito le inizia
il primo suo sangue il suo primo sangue
Così a volte le parole che scriviamo, anche a noi
diventano sangue, sbagliano strada ci scorrono
invece che nell’inchiostro, nelle vive vene.

COME NEL FILM QUEL GIORNO TU SARAI (2021)
Come nel film Quel giorno tu sarai che all’inizio quando lavano
il pavimento dei morti e sentono piangere e cercano
con affanno e stanno per trovare la bambina e noi per paura
mettiamo le mani sul viso e guardiamo protetti dalle dita
Così quando qualcuno sta per farle del male
mette le mani sul viso la vittima ma rovesciate
come per dire alt fermati non farmi del male
come nella Cappella Sistina nel Giudizio Universale.

COME NEL FILM ARIAFERMA (2021)
Come nel film Ariaferma che va via la luce
e i detenuti mangiano mi pare polpette al sugo fuori
insieme alle guardie e che un detenuto straniero racconta
che nel loro paradiso c’è un angelo con le piume
d’oro e tutti ascoltano e bevono del vino buono
e brindano al giovane Fantaccini e poi torna la luce
e ognuno deve tornare nella sua cella riportarsi
dentro il suo tavolino
Così certe volte ci fa un dono inatteso la vita, fa niente
se breve, e noi lo custodiamo come un’infanzia
una neve, fa niente se breve.

COME NEL FILM NOSTALGIA (2022)
Come nel film Nostalgia che all’inizio Favino
compra una spugna e poi con la spugna piano
piano lava la sua mamma vecchina e ci incanta
e poi ancora più avanti quando danzando
molto timidamente sorride e noi si pensa
che bello finirà così il film?
Così nella vita tanto speriamo che bene
finisca una cosa. E nel finale del film guardiamo Oreste
che nel bel buio della notte da lontano si avvicina al suo amico
Favino. Per abbracciarlo? Per fare la pace?
