Le città sono posti pieni di scritte. Sui muri, certo. E non solo. In Collezione di sabbia Italo Calvino (ragionando su quello che è stato forse il maggior “scritturologo” del secolo scorso, Armando Petrucci) descriveva Roma – la città dove s’era trasferito in quel 1980 – come il palinsesto di scritte per antonomasia: alle scritte dell’Impero, incise sulla pietra a perenne memoria di chi aveva Imperato, si sovrapponevano – al suo tempo come al nostro – le stratificazioni variopinte dei graffitari. Ma (a differenza di Petrucci) non piacevano troppo, a Calvino, né queste né quelle: tutte e due, come pure la pubblicità, forme di scrittura che impongono d’essere lette (o almeno percepite) a chi invece vorrebbe girarsene per i fatti suoi, e leggere (se proprio gli va di leggere) solo quello che gli va. Mentre «se oggi l’epigrafia romana ci attrae è perché i suoi messaggi richiedono da parte nostra una decifrazione che è in qualche misura un dialogo, una partecipazione libera: la loro forza intimidatoria è estinta».

A Roma, Calvino arrivava da Parigi: la città dove nel Maggio, dodici anni prima, la scritta sul muro s’era fatta guerriglia semiotica, rivolta intellettuale, poesia-corpo in atto. Lui, appollaiato in disparte a Square de Chatillon, prendeva appunti in silenzio. Erano parole quelle forse non da leggere, ma da vivere (ad ogni buon conto, si saprà poi, certe battute fulminanti lette allora su quei muri le aveva scritte non la collettività anonima dei rivoluzionari, bensì un singolo autore – colui che dell’anonimato e del neutro, et pour cause, s’era fatto apostolo teorico e, come in questo caso, performer –, Maurice Blanchot). Certo in quell’altra città, da Lautréamont («la poesia deve essere fatta da tutti, non da uno») a Breton passando per l’Apollinaire di Zone, i muri potevano vantare ormai un discreto curriculum. Ma anche dalle nostre parti un poeta che a sua volta aveva sciacquato i panni nella Senna, Aldo Palazzeschi, aveva scritto la poesia definitiva sulla città come labirinto di segni scritti, La passeggiata (nell’Incendiario, Edizioni futuriste di Poesia, 1913), riportando semplicemente quello che un bel giorno, a Firenze, aveva letto a via Garibaldi: una poesia-cinema («a prose kinema», proclamerà di lì a poco Ezra Pound) che era anche un dizionario di immagini.

Il libro pubblicato da Luca Massaro, che ha per titolo appunto Dizionario Vol. 1 (Art Paper Editions 2023, 223 pp., € 25), come spiega Federica Chiocchetti nel testo che lo accompagna (e che riportiamo – per la cortesia dell’editore e degli autori – nell’originale in italiano inedito, come l’altro testo regalato al libro da Franco Berardi Bifo), è l’esito di un lavoro decennale e, in votis, solo l’inizio di quello che, alla maniera di Roman Opalka, potrebbe occuparlo tutta la vita. Lui lo chiama Dizionario perché funziona, per queste immagini, un po’ come una stele di Rosetta; ma è anche un Atlante dei luoghi che (volenti o nolenti: ci perdoni Calvino) leggiamo mentre li viviamo. E allora, pure, il diario di tutti noi. Forse Lautréamont aveva ragione.

Andrea Cortellessa

L’artista italiano Luca Massaro ha costruito un solido corpus di lavori intorno allo «spazio invisibile che separa un’immagine dalla sua didascalia, le fotografie dalle parole, nelle loro diverse forme di produzione, traduzione e trasmissione». Attraverso un eclettico uso di fotografie, parole, sculture, installazioni e libri d’artista, fatti propri attraverso tecniche di manipolazione pubblicitaria, presi in prestito dal panorama accelerato dei mediascape urbani e online, come la proliferazione di dispositivi retroilluminati, la ripetizione di loghi e leitmotiv grafici, il suo lavoro gioca con l’ibridazione conflittuale degli iconotesti oggi.

Dieci anni fa Massaro instaurava il suo legame con le parole nello spazio pubblico e nel paesaggio, raccolte inizialmente in una sorta di enciclopedia fotografica, il suo primo libro Foto Grafia (Danilo Montanari Editore 2015). Con il suo nuovo lavoro multimediale Dizionario Vol. 1 fa un ulteriore passo avanti. Se la voce di un dizionario ha perso la sua autonomia linguistica ed è diventata accessoria all’immagine mentale del termine che definisce, come una didascalia, Massaro esaspera questo concetto costruendo un dizionario multivolume in cui parole e voci sono sostituite da immagini di parole indicizzate in ordine alfabetico. Per il Volume 1, queste immagini-parole sono state fotografate nello spazio pubblico e principalmente, ma non esclusivamente, nel paesaggio urbano, dal 2012 in Europa, Giappone, Nord, Centro e Sud America.

Dizionario è un progetto a lungo termine: ogni dieci anni l’artista pubblicherà un volume che raccoglie circa 1000 nuove immagini accumulate nel decennio precedente dal suo archivio personale. Questo archivio verbo-visivo, un incontro di segni, livelli e trasparenze, che crea un’immagine astratta dal linguaggio, viene utilizzato come matrice per la fabbricazione di nuove opere su vari materiali.

Attraverso processi vettoriali e d’ibridazione di grafico e fotografico, commerciale e semiotico, i volumi di Dizionario diventano la materia prima per interventi artistici site-specific, dove le parole fotografate sono esposte fuori contesto, stampate su cartelloni pubblici, dipinte su acciaio zincato, fuse nel ferro, generando quasi un secondo dizionario scultoreo. In questo modo il progetto di Massaro diventa un organismo semiotico che interroga e in qualche modo resiste ai valori culturali e socio-politici delle immagini e dei testi che infestano la nostra psiche e permeano una visione del mondo condivisa.

Federica Chiocchetti

La poesia rifulge nel frammento

A Bologna, dove vivo, si è costituito da qualche tempo un movimento per l’emancipazione della poesia. Non ho idea di chi siano, non li conosco. Ma li immagino, naturalmente, ad uno ad uno.

Che fanno questi svitati di emancipatori della poesia? Attaccano dei fogli A4 sui muri cittadini, e su ciascun foglio c’è una piccola poesia.

Talvolta bellissima, talvolta meno, ma chi sono io per giudicare la poesia?
In alcuni quartieri della città questi foglietti rimangono così esposti alla pioggia ed al sole, intatti però, e pieni di parole.

Ce n’è uno poco lontano da casa mia, in via Goito, che dice:

Ho lasciato fuori la spazzatura

c’erano i resti della cena,

le scadenze non rispettate,

la mia pigrizia.

Ho incartato tutta la mia gratitudine per il sole

senza stropicciarla troppo.

L’ho avvolta di pazienza carta velina e bucce d’arancia.

Ci ho messo il sottofondo del televisore

che fa compagnia di notte

il libro che non finisco mai sul comodino,

ci ho messo tutto l’amore per i lampioni gialli

la mattina a piazza Marina

il pane al cioccolato.

Ho lasciato fuori la spazzatura con tutte le emozioni

con cui ho giocato a vivere

credendo per un secondo

di poterla tenere per sempre.

Lo so lo so che non dovrei parlare di Bologna, ma di Reggio Emilia, ma sempre di manifesti si tratta, e sempre di poesia. Strappati, certo, manifesti strappati volevo dire. E la poesia che vi ho appena detto è tutta bella attaccata al muro, integra, pulita, spiaccicata lì sul muro marroncino.

Ma in altri quartieri no. In altre strade ci abitano cittadini forse amanti dell’ordine o detestatori intemerati della poesia che strappano il foglietto A4 certo con rabbia con le loro unghiette.

E allora in vicolo Posterla c’è un foglietto che recita così:

Poet
imprta
e ti sc ivo?
m oetico
h nte
n i occhi
ali ribuivo ma
tue bbra
par onavo
ros che luto ricevere.
so stata fo
e t ilegge, come fossi mio.

I cittadini amanti dell’ordine forse non lo sanno, ma la poesia se ne frega degli strappatori.

Sì, la poesia rifulge nel frammento, brilla come promessa di amori inimmaginabili e doloranti cuori.

Tutti ricordano naturalmente Mimmo Rotella (cosa lo dico a fare?) un pittore che, nato a Catanzaro girava il mondo per strappare coloratissimi manifesti altrui. La sua arte consisteva in questo: nel suscitare accostamenti impensati grazie all’arte dello strappamento.

Rotella strappava manifesti negli anni ’60 e ’70, anni ingenui diciamo, anni in cui si credeva che alla fine in fondo in fondo una coerenza il mondo ce la doveva avere, e prima o poi magari fra tanto tempo potremo vedere libertà e uguaglianza albeggiare nel mondo.

Ora sappiamo che non accadrà mai, sappiamo che non c’è alcuna speranza di un futuro migliore, sappiamo che forse questo è il tempo in cui l’abisso ci inghiottirà definitivamente, anzi per essere precisi ci sta già inghiottendo.

Eppure ci sono poeti.
Essi strappano, talora, e tal’altra sono strappati.
Adoro i poeti strappati.
Ad esempio in vicolo Posterla c’è un foglietto su cui si legge:

Il sole quando scende
Rico
E

E invece in via Goito c’è un foglietto lindo lindo che dice:

Mi osservi nuda
di spalle.
So che ti piace
il mio mandolino
lo trovi così bello
che ti rende allegro
sorridente e birbantello.

Ecco, stamattina mi sono svegliato di pessimo umore, anzi per essere del tutto sincero ho pensato se sarebbe meglio per me impiccarmi con una bella corda al balcone qui, che dà sulla piazzetta, oppure se sia meglio ingerire una quantità eccessiva di pillole calmanti per calmarmi ben bene e per sempre.

Però ci sono questi frammenti rifulgenti di pubblicità strappata che non è più pubblicità ma finalmente pittura, finalmente poesia.

Finalmente poesia.

Finalmente.

Franco Berardi Bifo

(Testo scritto in occasione di Spazio Libero, installazione pubblica collettiva curata da Ilaria Campioli & Daniele De Luigi in via Reggio Emilia, Maggio 2020. Courtesy dell’Autore e del Comune di Reggio Emilia.)

In copertina: Luca Massaro, Dizionario Vol.1, Art Paper Editions, 2023

Franco Berardi Bifo

ha studiato con Luciano Anceschi all’università di Bologna. Ha partecipato all’esperienza di Radio alice e tra il 1975 e il 1981 ha curato (si fa per dire) la rivista A/traverso, che tutto era fuorché curata. Dopo ha scritto diversi libri, pubblicati in molti paesi. L’ultimo si chiama “Disertate”.

Federica Chiocchetti

è direttrice del museo di Belle Arti di Le Locle (MBAL) in Svizzera. Scrittrice, curatrice e insegnante specializzata nella fotografia e nella letteratura. Attraverso la sua piattaforma Photocaptionist collabora con istituzioni internazionali tra cui Jeu de Paume, Aperture e Foam. Ha conseguito un dottorato in”‘Photo-Texts: Critical Intersections in Histor”’, presso la London’s University of Westminster. Ha vinto un certo numero di residenze (Fondation Michalski, Cité internationale des arts), e premi (Kraszna-Krausz Best Photography Book, Vienna Photo Book Dummy) e nel 2016 è stata nominata tra le "16 curatrici donna che stanno rivoluzionando le cose” da Artnet, dopo la sua mostra”‘Feminine Masculin”’ alla London Art Fair (2016), ‘Peter Henry Emerson: Presented by the Author’, mentre era Art Fund Curatorial Fellow di fotografia presso il Victoria and Albert Museum (2015) e ‘Amore e Piombo: The Photography of Extremes in 1970s Italy’ alla Brighton Photo Biennial/Photoworks (2014). Con il suo alter ego di Candida Desideri, scrive brevi racconti e poemi in prosa, pubblicati nel libro “Nachbilder: Eine Foto Text Anthologie” ’ edito da Spector Books, Zurich University of the Arts e Fotomuseum Winterthur (2020) e Der Greif (2015).

Luca Massaro

è un artista e fotografo che lavora con Immagini e Parole. I suoi progetti sono stati pubblicati a livello internazionale (Aperture, Art Paper Editions, i-D, FOAM, MOUSSE, M Le Monde, Danilo Montanari, Purple Magazine, Skinnerboox..) ed esposti in mostre collettive e personali: tra le altre, l'Istituto Italiano di Cultura (Montevideo), Viasaterna (Milano), MBAL (Le Locle), Gibellina Images (Gibellina), Triennale (Milano), PhMuseum (Bologna), MAR Museum (Ravenna), Museo Degli Eremitani (Padova), BACO Contemporary Art (Bergamo), Peckham 24 (Londra), Matèria (Roma), Printed Matter (New York), Photo Weekend (Dusseldorf), Palazzo Del Governatore (Parma Capitale Europea della Cultura), Fotografia Europea Festival (Reggio Emilia). Il suo lavoro è presente in collezioni private e istituzionali, come Museo MBAL, Regione Emilia Romagna Arte Contemporanea, Fondazione Benetton (Premio Nascimben), Fondazione Orestiadi, Istituto Italiano di Cultura Montevideo, e recentemente ha vinto la commissione pubblica Triennale Museum x Gibellina Images. Dal 2020 è rappresentato da Viasaterna. La monografia “Dizionario Vol. 1” (2012-2022), pubblicata nel febbraio 2023 da Art Paper Editions, è stata esposta e presentata a livello internazionale ed è stata selezionata tra i migliori PhotoBooks del 2023 a Photo España e Les Rencontres d'Arles.

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