Il tempo mosso di Mario Cresci

19/07/2023

Nel vasto panorama della fotografia contemporanea ci sono artisti che hanno fatto della macchina fotografica non solo uno strumento di registrazione e di interpretazione della realtà, ma di riflessione filosofica, psicologica e antropologica. Uno di questi è Mario Cresci, la cui opera è un’incantevole fusione tra sperimentazione tecnica e ricerca teorica. La mostra al MAXXI, Un esorcismo del tempo, è un invito a immergerci nel mondo evocativo delle sue fotografie, in un dedalo di immagini che ci guidano attraverso il flusso inarrestabile della memoria.

Nato a Chiavari nel 1942, a metà degli anni Sessanta Cresci arriva in Basilicata per contribuire a realizzare il piano regolatore di Tricarico e ci rimane per oltre vent’anni, lavorando a stretto contatto con le comunità locali. È proprio a questo intenso rapporto con il territorio e le persone che la mostra rende omaggio, attraverso circa 400 fotografie vintage e una ricca documentazione archivistica. Grazie alla collaborazione con importanti istituzioni culturali italiane e ai numerosi collezionisti privati, la mostra offre una panoramica completa dell’opera di Cresci e in particolare del suo sguardo sul Meridione.

Dalla serie Interni, Barbarano Romano, 1978-1979
Collezione Fotografia MAXXI Architettura

Nella Galleria 5 del Museo prende forma il percorso pensato da Marco Scotini e Simona Antonacci: una passeggiata lenta, senza tappe in uno spazio aperto e circolare, dove muoversi liberamente e tornare sui propri passi. Un allestimento attraversato da forze centripete e centrifughe, proprio come il lavoro dello stesso Cresci, che ritorna costantemente su sé stesso, mentre i suoi molti progetti diversi prendono anche diverse direzioni. Attraverso la sua indagine mette alla prova il tempo e ne fa esperienza in tutte le sue variabili tecniche (sfocatura, sequenze, collage, grafica, riprese dello stesso soggetto in momenti differenti): uno studio che non va sottovalutato e ridotto solo alla sua dimensione operativa, perché esige profonde riflessioni che vanno oltre la fotografia. D’altra parte, e soprattutto, Cresci viaggia continuamente dal presente al passato e poi di nuovo al presente e da un mezzo all’altro, offrendo le sue immagini per numerose interpretazioni successive (sue e di altri), aprendole così anche alla dimensione del futuro.

Una delle serie più affascinanti, fra quelle esposte, è Ritratti reali, in cui le famiglie si mostrano in posa accanto alle immagini dei loro cari defunti o emigrati. Questi ritratti, realizzati con un metodo di ripresa che prevede un avvicinamento progressivo, creano un intreccio tra passato e presente, un presente che per noi è passato. Alcune di queste foto sono montate in sequenza, in forma di trittici, suggerendo una lettura verticale che invita il visitatore a riflettere sulla connessione tra le generazioni e la costruzione dell’identità.

Dalla serie Interni mossi, Barbarano Romano, 1978
Collezione Fotografia MAXXI Architettura

Altre serie di grande impatto sono Interni e Interni mossi, nelle quali sfruttando lunghi tempi di esposizione Cresci lascia che i volti delle persone sfumino, e quasi scompaiano, mentre l’ambiente circostante appare nitido. Queste fotografie, scattate nelle botteghe di Tricarico e in altri luoghi di ritrovo pubblici, catturano l’essenza stessa della temporalità. Ci trasportano in un mondo sospeso, in cui le immagini diventano un mezzo per esplorare l’identità di un luogo e delle persone che lo abitano. Anche a Barbarano Romano (ci spostiamo nel Lazio, in provincia di Viterbo), dove lavora tra il ’78 e il ’79, Cresci porta avanti la sua ricerca dentro le case con le sue Foto di foto: «un vasto ritratto collettivo – in un momento cruciale di trasformazione sociale – e una colta riflessione sulle forme di ricezione e sull’uso delle immagini», spiega Simona Antonacci nel catalogo della mostra edito da Contrasto.

Per questi motivi, il tempo fotografico di Cresci non è quello del «momento decisivo» di Henri Cartier-Bresson: una poetica che ha fortemente influenzato molta produzione fotografica del XX secolo, in cui attimi fugaci e irripetibili sono scelti e fermati dall’obbiettivo fotografico, unici tra le infinite immagini che passano davanti ai nostri occhi. Al contrario il suo tempo è denso ed esteso, accoglie al suo interno oggetti e storie, ripensandoli e dando loro nuova forma e quindi nuova vita: scoperti e riscoperti, scomposti e ricomposti, ma mai completamente integri. Un tempo aperto, quasi interrogativo. Come lo sono i ricordi, come è l’identità personale, la memoria collettiva, in poche parole la Storia di tante storie.

L’archivio della memoria, Barbarano Romano, 1978-1979
Courtesy Archivio Mario Cresci

La mostra-labirinto del MAXXI a sua volta rimodula la struttura grammaticale, concettuale e visiva del lavoro di Cresci, esaltandone la pratica creativa combinata alla riflessione teorica. Un atto di decostruzione e ricostruzione narrativa che propone non una lettura, ma diverse letture possibili in rottura con l’esperienza di fruizione fotografica a cui siamo più abituati, nel consumo delle immagini sui social. Tutti scrolliamo freneticamente video e foto sul nostro smartphone, i contenuti scorrono veloci sui nostri schermi come un incessante flusso di informazioni visive che si susseguono senza soluzione di continuità. Scorrere il feed dei social media o sfogliare le foto sul nostro telefono è diventata una consuetudine quotidiana, ma spesso ci ritroviamo a dimenticare ciò che abbiamo appena visto, spinti in avanti dal desiderio di scoprire qualcosa di nuovo, di più interessante. È un’esperienza del tempo lineare, rapidissima, progressiva e fagocitante, ma non dobbiamo scordare che non è l’unica esperienza del tempo e ben vengano un’opera e uno spazio che ci costringono a adattarci a una dimensione circolare, discontinua, lenta: dove non si distrugge, ma si conserva.

L’archivio della memoria, Barbarano Romano, 1978-1979
Courtesy Archivio Mario Cresci

Il recupero della tradizione e della memoria – che si esprima nella fascinazione per gli album di famiglia, nella celebrazione della manualità e dell’artigianato o per un modesto quanto originale presepe – non è, per Cresci, una forma di nostalgia del passato, è un atto creativo. Il superamento della linearità verso numerosi nuclei di significato, dinamici e ripetuti, rende il suo lavoro una sorta di ipertesto da leggere con le giuste parole chiave. Potrebbero essere delle linee come dei cerchi, quadrati o croci, le strutture narrative in forma di trittico, ma si può anche seguire la ricorsività dei suoi temi: gli interni carichi di storie personali, gli oggetti della cultura contadina affiancati a grafiche e composizioni contemporanee, i volti ma anche le mani, gli spazi e i manufatti.

E anche se questo si potrebbe dire del lavoro di qualsiasi artista, è innegabile il tratto di unicità di un percorso artistico nel segno della simultaneità, che può essere guardato da ogni punto, ciascuno collegato direttamente al successivo, come se il significato fosse il risultato di un rapporto creativo tra il fotografo e l’osservatore, in continuo cambiamento.

Un po’ di terra in cielo un po’ di cielo in terra, fotocollage, Tricarico-Milano 1973
Courtesy Archivio Mario Cresci

Mario Cresci
Un esorcismo del tempo
a cura di Marco Scotini con Simona Antonacci
Roma, MAXXI
Fino al 1 ottobre 2023

In copertina: Mario Cresci, Autoritratto, dalla serie Interni, Barbarano Romano 1978-1979 (Collezione Fotografia MAXXI Architettura)

Silvia Cammertoni

È dottoressa di ricerca in Studi Comparati. La sua inclinazione per la forma breve l’ha portata ad approfondire la scrittura saggistica, studiando soprattutto letteratura italiana contemporanea, critica letteraria ed estetica della letteratura. Sempre in cerca di analogie e contatti tra diverse discipline, coltiva numerosi interessi con attenzione particolare alla fotografia e alla storia della moda. Collabora con “Alias”.

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