Scegliendo tra le decine di scritti sparsi di Mario Praz, Giuseppe e Giovanni Balducci hanno pubblicato per Aragno due volumetti (Misteri d’Italia e Omelette soufflée à l’antiquaire. Elogio degli antiquari) che riportano a due settori specifici (il gusto e il costume da un lato, l’antiquariato dall’altro) propri di colui che, oltre che insigne scrittore, anglista, traduttore, saggista e critico letterario e d’arte, è stato appassionato collezionista, bibliofilo e accanito filosofo dell’arredamento. E proprio a proposito della difficoltà di definirlo e del rischio di fermarsi a celebrarne le qualità di anglista e critico interveniva per tempo Edmund Wilson, che coniò l’efficace epiteto “The Genie of the Via Giulia”, rivendicandone senza esitazione la qualità di ‘artista’ tout court («He should be considered as primarily an artist»)[1]. Praz ha attraversato gran parte del Novecento percorrendone viali e controviali: il primo titolo della sua bibliografia segna l’esordio nel 1915 (dunque all’età di 19 anni), l’ultimo testo pubblicato in vita, il n. 2642 dedicato a Joyce, è del 14 marzo 1982, e precede di pochi giorni la data della morte.
Mentre Misteri d’Italia ha una storia editoriale lineare (fu pubblicato in tre parti nel ’58 sul “Borghese”, il settimanale di Leo Longanesi, per il secondo, che ha un titolo leggero e spiritoso seguito da un sottotitolo nettamente esplicativo, Omelette soufflée à l’antiquaire. Elogio degli antiquari, le cose si fanno più complicate. Il volume comprende due testi: In lode degli antiquari, edito in “Bolaffi Arte-Antiquariato” nel 1978, con il titolo Elogio degli antiquari. Omelette soufflée à l’antiquaire, ma che riprende un testo primariamente pubblicato sul “Corriere della Sera” nel ’42[2] (poi incorporato in Motivi e figure[3], e successivamente posto a prefazione di Lettere sull’antiquariato di Mario Praz a Luigi Magnani)[4]; l’altro è I miei amici antiquari, anch’esso edito nel ’78 in “Bolaffi Arte-Antiquariato”. Questo per dire che ricostruire l’iter degli scritti di questo autore non è sempre semplice; le vicende editoriali, le trasmigrazioni e gli adattamenti del testo sugli antiquari riconfermano appieno il modus operandi di un intellettuale che regolarmente riprendeva i propri testi per ricollocarli in contesti diversi e più appropriati. Di fatto si tratta del medesimo animus del suo essere antiquario e collezionista: acquistava un oggetto e lo disponeva in un punto prestabilito della sua leggendaria casa, così che il nuovo elemento entrasse in dialogo con il resto dell’arredamento, brillando di luce propria ma anche di luce ulteriore, giacché in quella precisa posizione andava a sprigionare qualità e significati che illuminavano e rivitalizzavano anche gli oggetti circostanti.
Esattamente la stessa dinamica che Praz metteva in atto al momento di operare in veste di critico letterario o di critico d’arte, quando discriminava i tratti distintivi di un elemento e ne rintracciava (dimostrandole) le ascendenze più lontane, identificando – con dovizia di dettagli – la persistenza di pattern e motivi. Cosa che, tra l’altro, gli propiziò la devozione più completa da parte di un giovane Alberto Arbasino, che lo seguì su questa strada. Per Praz le cose vengono da lontano e mantengono in se stesse memoria del tempo trascorso, una convinzione che rimase il pilastro della sua attività e rende testimonianza della sua fede assoluta nella tradizione[5].
Il titolo Misteri d’Italia potrebbe indurre a un accostamento con i testi raccolti in Lettrice notturna[6], accomunati da un «alone metafisico» che negli anni successivi alla guerra sarebbe andato ad attenuarsi notevolmente, come Praz ebbe a dichiarare anche nell’intervista televisiva Mario Praz, l’ombra della parola,registrata all’uscita di Voce dietro la scena: un’antologia personale, nel 1980 (l’intervista è accessibile nel sito teche.rai.it).
Questi misteri però non hanno nulla di soprannaturale, e invece si riferiscono ad aspetti del costume che a Praz restano del tutto alieni e sui quali fa calare una implicita quanto inappellabile censura. Tra le lettere collocate dall’autore nella sezione “Mad Letters” del proprio archivio, sceglie e riporta quella ricevuta da un candidato al concorso di Inglese per le scuole, che chiede all’«Illustre Maestro» un parere sulle modalità con cui era stato condotto il concorso. L’uomo resta molto deluso dalla risposta del ‘Maestro’, declassato nella missiva successiva a «Egregio Signore» per la supponenza e il cipiglio da lui lasciati trapelare nel liquidare il quesito. Il secondo pezzo riporta con evidente raccapriccio annotazioni sulla pochezza delle conversazioni e sui tratti di malcostume romano. Il terzo ‘mistero’ riguarda la natura. È risaputo che Praz era sommamente attratto dall’artificiale e non avesse alcun interesse per la ‘natura’. Ma forse mai come in questo testo la sua convinzione viene espressa in modo tanto definitivo. La vista di brughiere, foreste o deserti conduce lo studioso (aduso all’amenità e all’equilibrio del paesaggio toscano) a riflessioni nelle quali vibra un moto di sacro terrore panico: «influssi diabolici non meno che divini occupano queste solitudini totali. La vita vegetativa delle piante e delle cose è aliena e ostile alla umana».
E veniamo al titolo spiritoso. In quest’occasione Praz si ispirò a un vecchio libro di ricette, sul quale lesse di un’omelette soufflée à l’antiquaire, scoprendo una certa analogia tra il mondo della culinaria e quella dell’antiquario: «che cos’è infatti, il più delle volte, l’arte di vendere un oggetto antico se non un frullare, uno sbattere, un volatilizzare sapientemente il poco uovo e la copiosa chiara, finché gl’ingredienti, montati e secondati dal calore del forno, assumono quella caratteristica forma a sgonfiotto che arieggia le mongolfiere?». Da rilevare, per inciso, che a tale parallelismo si era indotto anche il Croce della Storia della età barocca, circostanza notata da Praz che, in calce alla propria copia (1929) tuttora conservata nella sua biblioteca, tra le fittissime annotazioni a matita non manca di segnalarne il relativo passo. Non si era ancora materializzata la stroncatura crociana alla Carne, la morte e il diavolo, ma Praz aveva già preso le distanze da don Benedetto e ne leggeva con evidente disappunto il granitico ripudio del barocco.
Con Omelette soufflée à l’antiquaire torniamo al fatto che la sua passione per l’antiquariato faceva un tutt’uno con quella per la casa, anzi ne era la ragione e La casa della vita (pubblicata da Mondadori nel ’58) ne dà esemplarmente conto. La sua casa-museo e la sua biblioteca (nel Palazzo Primoli), della quale di recente è stata completata la catalogazione, nonché i suoi archivi, costituiscono un vero e proprio monumento lasciato a futura memoria, a disposizione di coloro che considerano i libri, i quadri, le statue e tutti gli oggetti come depositari dello spirito di chi li ha scelti e posseduti. Essi non abitano «il paese non ancora scoperto dal cui confine nessun viaggiatore ritorna»[7], su di essi la morte non ha potere e anzi l’energia vitale viene a crescere con il trascorrere del tempo, che viceversa sfibra e sfinisce le creature viventi.
Per questo aspetto Praz mostra evidenti affinità con Vernon Lee, l’amica inglese autrice di Genius Loci: Notes on Places (1899), conosciuta fin dal ’20 e verso la quale si è sempre riconosciuto debitore per lo stile saggistico. In Music and Its Lovers (1932) la scrittrice distingue il passato ‘morto’ (Passé Mort) dal passato reso ‘vivente’ (Passé Vivant) dalla memoria affettiva (affective memory), cioè quella capacità di trattenere e ravvivare tracce di emozioni o sentimenti passati per evitare il dolore e provare attrazione per il piacere. Di tale testo restano tracce esplicite anche nel saggio a lei dedicato e collocato ad apertura di Voce dietro la scena.
La capitale restò il luogo a lui più propizio. «A Roma io mi sento più a mio agio che tra la fredda bellezza dei palazzi fiorentini», scriveva all’amico Bruno Migliorini nel ’19, quando Palazzo Ricci in Via Giulia e Palazzo Primoli in via Zanardelli erano ancora di là da venire.
La deplorazione di chi non avesse buon gusto in fatto di arredamento era senza appello, cosa che non poteva che sconcertare. Per esempio questo effetto faceva a Emilio Cecchi. Nella Filosofia dell’arredamento Praz riprende un’affermazione dell’amato Charles Lamb, sul fatto che ci sono «uomini che pigliano a prestito e uomini che danno a prestito» e la modificava così: «Io mi azzarderei a proporre una distinzione originaria ancor più fondamentale: uomini che tengono alla casa e uomini che non ci tengono affatto»[8]. Nessuna meraviglia perciò che entrando nella «casa della vita», Wilson avvertisse presenze nascoste per lui ma che riprendevano vita all’avvicinarsi dello scrittore. «Il gesto di chi arreda una casa è dunque paragonabile a un gesto di consacrazione, non solo di civilizzazione» osserva Giorgio Ficara nell’introduzione al «Meridiano» dedicato a Praz[9].
Dunque la passione per la home, che qui assume il valore aggiuntivo di quello spazio domestico amatissimo dell’infanzia e della giovinezza che i drammi familiari ad un certo punto gli preclusero per sempre. Il culto della home lo avvicina fatalmente agli antiquari e di molti diventa amico: solo loro, infatti, possono riportarlo concretamente a contatto con il passato, quel mondo lontano e perduto, così incomprensibile «ad un’età facilona come la nostra»[10]. Racconta di qualche acquisto di oggetti stile Impero di cui fu collezionista: «da Mario Barsanti acquistai una statua d’Amore che spezza l’arco … [che viene] collocata in mezzo al secondo ingresso del mio appartamento»[11]. Arriva del resto a confessare che «darebbe molte delle sue ricerche filologiche per una di quelle grandi trovate di negozianti d’antichità»[12] e racconta aneddoti e avventure di mercanti d’arte dei quali riconosce e apprezza la perizia e le abilità, qualità difficili da acquistare e degne di ogni ammirazione, superiori in genere a quelle degli studiosi. Forse anche per questo fu guardato con sospetto dalla maggior parte dei colleghi e i suoi libri ebbero fortuna e risonanza molto più all’estero che in Italia.
In questi testi è dunque del tutto evidente quella peculiarità singolare che Wilson definì una volta per tutte il ‘prazzesco’, una somma di erudizione, grottesco ed eccentrico, una mescolanza di puro e di impuro, un’inclinazione verso gli aspetti più morbosi della realtà, tutte cose di cui Praz era pienamente consapevole se già nel ’33, da Manchester, ringraziava Migliorini di una certa «cartolina prazziana» ricevuta.
La sua prossimità con il mondo dell’antiquariato si spiega dunque anche per quella sua passione per la concretezza della materia in ogni sua forma, una passione che per lui si realizza compiutamente nell’edificazione della home, che è proprio il luogo nel quale l’anima del proprietario acquista la sua più autentica veste corporea e ne presenta la più piena definizione.
Mario Praz
Misteri d’Italia
a cura di Giuseppe Balducci
Aragno, 2022, 53 pp., € 10
Omelette soufflée à l’antiquaire. Elogio degli antiquari
a cura di Giovanni e Giuseppe Balducci
Aragno, 2023, 75 pp., € 15
[1] E. Wilson, The Genie of the Via Giulia, in Id., The Bit Between My Teeth: A Literary Chronicle of 1950-1965, poi in Friendship’s garland. Essays presented to Mario Praz on his seventieth birthday, a cura di Vittorio Gabrieli, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura 1966, pp. 5-17.
[2] Id., Una scoperta nell’ultima Tule, “Corriere della Sera”, 29 ottobre 1942.
[3] Id., Motivi e figure, Torino, Einaudi, 1945, con il titolo De’ professori d’anticaglie.
[4] Lettere sull’antiquariato di Mario Praz a Luigi Magnani (1952-1981), a cura di Bianca Riccio, con la collaborazione di Sabina De Vito, prefazione di M. Praz, Torino, Allemandi, 1996.
[5] Il principio è enunciato espressamente ad esempio in L’arte squisita di Max Beerbohm, “Il Tempo”, 2 giugno 1956, poi in Cronache letterarie anglosassoni (vol. IV, Edizioni di Storia e Letteratura 1966), in Il patto col serpente. Paralipomeni di La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica (Mondadori 1972) e più di recente in Bellezza e bizzarria. Saggi scelti, a cura di Andrea Cane, con un saggio introduttivo di Giorgio Ficara, Milano, «I Meridiani» Mondadori, 2002.
[6] Id., Lettrice notturna, Roma, Casini, 1952.
[7] Amleto, III, I, nella traduzione di Praz (W. Shakespeare, Tutte le opere, a cura di M. Praz, Firenze, Sansoni 1933, p. 699).
[8] M. Praz, La filosofia dell’arredamento, Roma, Documento, 1945, p. 22.
[9] Giorgio Ficara, Mario l’Epicureo, introduzione a M. Praz, Bellezza e bizzarria, cit., p. XIX.
[10] M. Praz, Scultura dell’Ottocento [1973], in Id. Perseo e la Medusa, Milano, Mondadori 1979, p. 176.
[11] Id., Omelette soufflée à l’antiquaire, cit., p. 29.
[12] Ivi, p. 15.
In copertina: Progetto per camera da letto, scuola di Charles Percier, 1785–1838 ©The Metropolitan Museum of Art, New York