“Non vi ricordate di essere morti”?

11/07/2023

L’assemblea degli dei – ovvero, l’accordo tra ragione e sensualità nella paura della morte

“Non vi ricordate di essere morti?” Con queste parole il botanico e anatomista Frederik Ruysch (1638-1731), in una meravigliosa e fantasiosa architettura immaginaria di Giacomo Leopardi[1], si rivolge alle sue creazioni anatomiche che lo visitano curiose. Creature, morte e preservate nella morte, tramite complessi contenitori saturati di liquore balsamico o brandy Nantic e pepe nero, oppure organi ricostruiti tramite cera, resina, talco, olio di lavanda, cinabro e pigmenti colorati[2]. Le stesse creazioni di Ruysch, ammirate dallo Czar Pietro Primo, che a distanza di circa 300 anni non saranno invece mai viste, secondo una ricostruzione di Luuc Kooijmans, dal principe olandese Willem Alexander, in visita a San Pietroburgo nel 2003. Il passaggio al Museo di Antropologia e di Etnografia della città, dove sono contenuti questi ed altri preparati anatomici, è infatti ritenuto sconveniente: sono troppo macabri, la visita viene cancellata all’ultimo. Rachel Ruysch, figlia di Frederik, dipinse nature morte quasi tutta la vita.

Rachel Ruysch, Fiori in un vaso di vetro, 1700, Den Haag, Mauritshuis

La fama di Ruysch è legata alla capacità, ed ora si passa ad una fredda descrizione clinica, di chiara resa della “circolazione bronchiale, uno stato dettagliato dell’aspetto del carcinoma rettale e la descrizione di un caso di megacolon congenito”. Tuttavia, la sua fama è relativa al suo lavoro come imbalsamatore e alla sua capacità di preservazione, e di nuovo la descrizione scientifica, “delle valvole dei vasi linfatici, i vasi sanguigni polmonari, la vascolarizzazione della pelle e delle ossa, la milza, le strutture riproduttive, la vascolarizzazione del cervello e delle meningi, il periostio dell’ossicula auditus, la lamina coriocapillare della coroide o tunica ruyschiana e le arterie centrali della retina”. L’universo di Ruysch appare come una necropoli perfetta, dove la morte è paradigma, invisibile.

Dove si collocano le Venerine fiorentine rispetto alle opere di Ruysch? A differenza dei preparati di Ruysch, le quattro figure femminili, tre dalla sezione del Sistema Linfatico e una dalla sezione di Ostetricia esposte in Cere anatomiche alla Fondazione Prada, non ci vogliono parlare, forse perché gli sguardi posati su di loro nei secoli, Sade incluso, hanno detto tutto: sono annoiate. Provengono, con altre nove ceroplastiche del XVIII secolo ed una serie di settantadue copie espositive di disegni anatomici, dalla Specola, parte del Museo di Storia Naturale e del Sistema Museale di Ateneo dell’Università di Firenze. Sono assorte nel loro mondo, dove il linguaggio è quello dei sospiri, dove tanto nessun verbo riuscirà a descrivere la sensazione di freddo che le perle della collana provocano sulla pelle di una di loro, anche se anch’esse in cera. Non ci guardano, ed incontrare il loro sguardo è molto difficile.

Ma le opere d’arte possono, come si chiedeva Max Kozloff[3], soffrire? Queste donne potevano avere un nome proprio o sono figure dell’immaginario, sintesi di diverse bellezze incontrate dal loro autore, Clemente Susini, nella vita e nella dissezione? L’anonimato, il Senza Titolo, permette forse al visitatore di non addentrarsi nell’identità, quasi come quando nelle dissezioni anatomiche contemporanee il volto del corpo viene coperto da un velo, per non turbare gli studenti che si apprestano in realtà a svelare. A Erofilo (335-280 a.C.) viene attribuita la prima lettura scientifica del corpo, nata da osservazioni anatomiche (Tertulliano racconta della dissezione di oltre 600 prigionieri), ed è proprio grazie ai suoi studi che è possibile utilizzare termini come cornea e retina, e che oggi possiamo ampiamente parlare del sistema del vedere.

Oltre i confini del sé: l’anatomia e la dissezione sollevano profonde questioni filosofiche sui confini e i limiti della coscienza e conoscenza: di fatto, guardando un corpo, o più corpi, si può comprendere la propria costituzione, quasi che questi, ed altri, potessero ergersi a specchi. Gli scritti di Bataille sull’erotismo esplorano l’interazione tra erotismo e sacro: nei momenti di intenso erotismo, gli individui possono sperimentare una temporanea dissoluzione del sé, una forma di trascendenza che li connette a un regno al di là del mondano, in un altro corpo o al di fuori del corpo stesso.

David Cronenberg nel video in mostra, intitolato Four Unloved Women, Adrift on a Purposeless Sea, Experience the Ecstasy of Dissection, prodotto per l’occasione, esalta il loro sospirare, ansimare (“Vita quid est? Fumus fugiens et bulla caduca”,Che cos’è la vita? Un fumo passeggero e una fragile bolla”, un proverbio latino spesso presente accanto ai piccoli scheletri nelle rappresentazioni di Ruysch). L’interesse va oltre la soglia del visibile e dell’esprimibile: il regista nelle sue dichiarazioni fa riferimento ad un’orgia settoria, dove immagina queste veneri giacere nello stesso letto, svestite. La loro individualità, così come l’aspetto religioso e spirituale, avranno poi la meglio nella realizzazione effettiva del lavoro: queste figure galleggiano in una piscina primordiale sui loro tessuti setosi, e si muovono lentamente in un brodo amniotico trasparente, indubbiamente fertile: una di essa contiene un feto al suo interno, eppure il corpo non reca traccia di questa seconda vita. Sono figure bloccate nello stigma della bellezza, proiettato nei secoli dei secoli, da Willendorf a Milo, da Firenze a Urbino. Lo stigma sembra non voler passare, d’altronde sono figure che, paradossalmente, necessitano di una straordinaria staticità per potersi muovere (incredibile come Fondazione Prada sia riuscita nella strabiliante operazione del trasferimento da Firenze a Milano).

Ma la condizione delle Veneri non è congenita: nell’osservare le opere, in una conversazione, ha notato Tom Snow come “L’estasi e il dolore siano un modo classico per sottostimare la sofferenza femminile, e farne quasi una condizione naturale”. Ed ecco l’opera L’Arco dell’Isteria di Louise Bourgeois: “All’inizio della psicoanalisi con Freud c’era molto interesse per la donna isterica, che aveva queste contorsioni in cui il corpo si inarcava in aria. Anche gli uomini lo facevano. Ma Louise ha sempre pensato che agli psicoanalisti piacesse vedere le donne. Non riuscivano a capire perché non ci fosse una ragione fisica per questo tipo di reazione corporea. Pensavano che dovesse trattarsi di un qualche tipo di trauma mentale, che si trattasse di ricordi repressi o legati alla repressione psico-sessuale.”[4]

Louise Bourgeois, Arch of Hysteria, 1993 © 2017, The Easton Foundation

Nel lavoro di Cronenberg queste figure, sospiranti, sembrano muoversi in cerchio, galleggiando: come quel beluga catturato nel Labrador nel settembre del 1877, lungo due metri e 89,56 cm e poi portato all’acquario a Coney Island a New York, dove “contrasse l’abitudine di muoversi in cerchio”. Da qui, via nave, all’acquario di Londra, dove, una volta trasferito, ebbe circa tre ore di privacy prima di essere catturato dalle urla del pubblico e da quei bambini che battevano sul vetro per farsi guardare, per farsi conoscere da una creatura così misteriosa, quella che emette al mondo i suoni più potenti. Eppure,  quanti di noi ne hanno sentito il canto? Nel giro di poco tempo il beluga, una femmina, iniziò a schiantarsi contro il vetro dell’acquario, fino a cercare la morte. Il suo corpo, non abbastanza martoriato, venne poi dissezionato e poi esposto al pubblico ludibrio. Il macabro destino dello spettacolo che spettò anche alla balena di Béla Tarr in Le armonie di Werckmeister, divorata dai rivoltosi, simbolo di una società in decadimento.

Bela Tarr, Le armonie di Werckmeister, 2000

Il riferimento alle teche, alla scenografia teatrale, va forse interpretato però più in ambito naturalistico, proprio perché di preparati scientifici si tratta. La riflessione, dunque, passa a Georges Didi-Huberman che tanto magistralmente descrisse il bambino all’interno di un museo di storia naturale, che con le unghie, o coi pugni colpiva il “vetro, frontiera sicura e frontiera invisibile”[5] di una teca, che lo separava da un potenziale pericolo, fino a quando si accorse di una rottura sulla superficie. Il suo picchiettio si interruppe all’improvviso, e rimase immobile a guardare. E sebbene le teche delle Venerine siano intatte, è la loro collocazione alla Fondazione Prada, che da anni ha intrapreso un programma di rilettura, ridefinizione e nuova contestualizzazione delle collezioni, che permette di fermarsi, e continuare a picchiettare sui vetri.

L’eternità

È ritrovata.
Che? – L’Eternità.
È il mare andato via
Col sole.

Anima sentinella,
Mormoriamo l’assenso
Della notte di nulla
E del giorno di fuoco.

Dai suffragi umani,
Dai comuni slanci,
Tu là ti liberi
E voli a seconda.

Poi che da voi sole,
Braci di raso,
Esala il Dovere,
Senza un: finalmente.

Là niente speranza,
Non c’è un orietur.
Scienza con pazienza,
Il supplizio è certo.

È ritrovata.
Che? – L’Eternità.
È il mare andato via
Col sole.

Arthur Rimbaud, maggio 1872
(Traduzione di Diana Grange Fiori, da Arthur Rimbaud, Opere, “I Meridiani” Mondadori, 1975)

Il testo di Andrea Cortellessa Dentro Venere ricostruisce l’origine e la scrittura della mostra Cere anatomiche: La Specola di Firenze | David Cronenberg a Milano dal 24 marzo al 17 luglio 2023. La mostra si colloca in un preciso, quanto ampio, filone di ricerca, avviato con “Human Brains”, 2019, “Il Sarcofago di Spitzmaus e altri Tesori”, 2019, “Useless Bodies?” 2022. Il progetto è accompagnato da un ampio volume illustrato e ideato da Irma Boom, che contiene testi inediti scritti per l’occasione ed un’antologia di saggi già pubblicati.

  • Il sottotitolo di questo articolo – “L’assemblea degli dei – ovvero, l’accordo tra ragione e sensualità nella paura della morte” – deriva da un poema di visioni oniriche del XV secolo di autore ignoto (originariamente attribuito a John Lydgate).

[1] Leopardi G., ‘Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie’, in Poesie e Prose, vol. 2, p. 117 (Mondadori, Milano 1988).  Il dialogo fu composto tra il 16 e il 23 agosto del 1824 e fu inserito nella prima edizione delle Operette morali, del 1827.

[2] Kidd M., Modlin IM., ‘Frederik Ruysch: master anatomist and depictor of the surreality of death’, J Med Biogr., 1999; 7: 69-77.

[3] Kozloff M., “Pygmalion Reversed”, Artforum, 1975

[4] Jerry Gorovoy, Louise Bourgeois Arch of Hysteria, 1993: audio sul sito del MoMA di New York

[5]Didi-Huberman, G., La conoscenza accidentale, Bollati Boringhieri Saggi, 2001, Kindle, parte prima.

In copertina: Rachel Ruysch, Fiori in un vaso di vetro con un tulipano, 1716 (particolare)

Leggi anche: Andrea Cortellessa, Dentro Venere

Chiara Ianeselli

ha conseguito il dottorato di ricerca in Analisi e gestione dei beni culturali (Scuola IMT Alti Studi Lucca). Ha lavorato a diversi progetti su larga scala, tra cui dOCUMENTA (13), la 14. Biennale di Istanbul e documenta quindici dove ha ricoperto il ruolo di coordinatrice curatoriale. Ha inoltre collaborato con diverse fondazioni private, istituzioni culturali pubbliche, università in Italia e all’estero. È specializzata nell'ideazione e nella costruzione di iniziative creative basate sulla ricerca, con particolare attenzione alle collaborazioni multidisciplinari e alla prospettiva trans-storica. È interessata alle opere d’arte senza titolo.

English
Go toTop