Ma l’immortalità è mera preoccupazione dei mortali; la contemplazione, un’inquietudine sulla materia degli esseri; l’atto interiore, un trasferimento di epidermidi.
Georges Didi-Huberman
In Swan di Gaetano Palermo, opera vincitrice della Biennale College Teatro e rielaborazione aperta dell’assolo La morte del cigno che Michel Fokine coreografò per Anna Pavlova, prima ballerina del Balletto Mariinskij, un corpo è chiamato a danzare, su pattini a rotelle, la propria inesorabile emorragia interna. Di fronte all’emorragia senza fine delle foto registrate dallo schermo di un Iphone, lo schianto improvviso – lo sparo che irrompe nello spazio – è ritmo di inciampo, rottura musicale del flusso che ci trasforma in complici (e martiri) di una caduta: quella dell’immagine digitale. Tutto è nitidissimo, tutto è dato alla vista: sennonché l’osservazione forense della scena, come sempre, rivela una sostanziale cecità dell’osservatore: il corpo si disfà da dentro. Il tarlo è nella purezza dello sguardo. Il fattore di caduta è la grazia del colpo di scena.

Opera rigorosissima per come orchestra il proprio massacro, per come “complica la macchia” a partire dalla maschera di scena, Swan dice del teatro lo stesso di Macbeth – horror suite: ferita non era la ferita, ma la benda.
Di tutto questo converso, brevemente, con l’autore:
Qual è il rapporto tra sguardo, violenza ed etica?
Ovunque c’è pubblico c’è violenza. Lo sguardo informa, conforma e deforma, performa. Dove non c’è visione non c’è però neanche cura. Qui l’etica si rifà all’estetica. Per poter esistere abbiamo bisogno degli altri, di vedere ed essere visti. L’etica si dà nel sublime gioco dei contrari, nell’alternanza di luci e ombre. L’apollineo sole che rischiara rischia altrimenti di seccare tutto, così come la notte che abbandona e che ristora potrebbe non più rivolgersi all’aurora.
Il teatro è il luogo di un martirio?
Il teatro è il luogo dell’attestazione di un’esistenza, singolare e collettiva. In essa sia chi agisce che chi spetta è testimone di un fenomeno insieme di appartenenza e sparizione. Un paradiso in terra capace di rimescolare estasi con agonia.
Qual è il limite della scena?
Il limite della scena è l’osceno, ciò che sta fuori dalla scena. Osceno è quindi lo spettatore, punto di fuga erotico, bersaglio e specchio, battigia plurima di un’onda anomala che sempre ritorna e che porta a galla sommersi e salvati.

Gaetano Palermo
Swan
Biennale Teatro
Venezia, Via Garibaldi
dal 28 giugno al 1 luglio 2023
In copertina: Carmelo Bene, Macbeth – horror suite