Prisma Celati

13/06/2023

È uscito da Mimesis Prisma Celati. Testi Contesti Immagini Ricordi, a cura di Eloisa Morra e Giacomo Raccis (216 pp., € 20), che raccoglie gli atti del convegno Gianni Celati in Context, a cura di Katia Pizzi e Eloisa Morra, tenutosi in collaborazione tra il Dipartimento di Italian Studies dell’Università di Toronto e l’Istituto Italiano di Cultura di Londra il 9 e il 10 dicembre 2020 (contributi di Giacomo Micheletti, Michele Farina, Giacomo Raccis; Anna Palumbo, Cecilia Monina, Michele Maiolani, Marina Spunta, Andrea Cortellessa, Gianmarco Bocchi, Gabriele Gimmelli, Nuncia Palmieri ed Enrico Palandri). Per la cortesia dell’editore e dei curatori, proponiamo qui l’introduzione di Eloisa Morra.

Ci sono autori inavvicinabili, trincerati dietro una spessa cortina bibliografica; altri invece che, pur apparendo sorprendentemente “prossimi”, finiscono per sfuggire, intrappolando il critico nella propria articolata rete autoesegetica. Gianni Celati (1937-2022) apparteneva senza dubbio alla seconda categoria, quella di chi conquista gli studiosi (ma pure numerosi lettori e colleghi) grazie a una sprezzatura pari all’innegabile qualità letteraria e all’estrema consapevolezza teorica, frutto di una capacità di assimilazione culturale fuori dall’ordinario. “Il gran segreto è celarsi, eludere, confondere le tracce…”[1]: forse soprattutto in questo il suo profilo intellettuale risulta contiguo a quello della sua principale figura di riferimento, Italo Calvino[2]. Difficile immaginare una traiettoria più mossa di quella celatiana, in cui di decennio in decennio – di anno in anno, verrebbe da dire leggendo il libro che avete in mano – si avvicendano interlocutori, letture, paesi, interessi individuali e imprese collettive.

Eppure, nonostante la diversità di tono e postura (complice il sostanziale disinteresse del secondo per la svolta mediatica del sistema editoriale)[3] negli ultimi decenni anche Celati è assurto al ruolo di “classico moderno”, grazie al suo saper essere al contempo “il più letterario tra tutti gli scrittori italiani contemporanei, ma anche quello che da cinquant’anni mette in discussione le mitologie, le cerimonie, i riti individuali e collettivi della letteratura”[4]. Complice la redazione del corposo Meridiano (2016) – che raccoglie i frutti di un pionieristico lavoro che negli ultimi vent’anni ha visto intrecciare le prospettive critiche di studiosi di formazione italiana ed estera[5] — e la recente pubblicazione delle interviste, primo dovuto riconoscimento seguito alla sua recente scomparsa, abbiamo a disposizione buona parte dell’impressionante galassia testuale generata in oltre cinquant’anni d’attività[6]. Ma l’essere ormai parte integrante d’un canone riconosciuto a livello accademico-editoriale[7] comporterà il dover fare i conti con il paradosso critico messo in luce con acume da Daniele Giglioli: quello

di uno scrittore che, nato e vissuto all’interno di un’ininterrotta battaglia di sganciamento (dalle finzioni dell’Io, dalle pretese disciplinatrici della razionalità utilitaristica, ecc.), finisce per assumere il ruolo di legislatore e principe di una poetica che dice parole di liberazione mentre di fatto opera un processo di assoggettamento al carisma del padre fondatore[8].

Nel progettare le giornate di studio Gianni Celati in Context (9-10 dicembre 2020, University of Toronto e Italian Cultural Institute di Londra), organizzate in collaborazione con Katia Pizzi, l’obiettivo principale era mettere in prospettiva il pensiero e l’opera di Celati per ricondurli alla giusta distanza ermeneutica, maturata dal corpo a corpo con la materialità dei testi, dei contesti e delle testimonianze d’archivio. Scomporre dunque in “fattori primi” la vicenda intellettuale multiforme e sfaccettata di Celati, quasi che il suo lavoro fosse un prisma di cui i saggi qui raccolti illuminassero via via le diverse facce; leggerlo against the grain, attraverso tracce o connessioni impensate che potessero rivelare l’inaspettato[9]. A questo fine il confronto transgenerazionale e interdisciplinare è stato essenziale: studiosi d’età, formazioni, provenienze diverse (metà degli autori lavora nell’accademia italiana, l’altra metà all’estero – Inghilterra, Francia, Canada, Stati Uniti) hanno contribuito a disegnare una mappa del suo percorso più rispondente al vero, mettendone in risalto da un lato i processi genetici relativi a singole opere, dall’altro i complessi rapporti con fonti letterarie, visive, antropologiche e filosofiche.

Alle relazioni presentate alle giornate di studi si sono aggiunti – pensati specificamente per questo volume – diversi nuovi contributi e una sezione aggiuntiva, Ricordi, dedicata a testimonianze di due tra i maggiori studiosi dell’autore. La complessità delle problematiche poste dai testi e dalle dinamiche intertestuali che animano i diversi momenti del lavoro celatiano hanno mobilitato, come era prevedibile, strumenti analitici multivalenti. Pur partendo nella quasi totalità dei casi da una formazione italianistica, i saggi qui raccolti adottano di proposito una varietà di approcci critici, spaziando dalla narratologia alla storia della lingua, dagli studi sul paesaggio alla teoria del cinema, passando per le teorie della ricezione e le relazioni con l’antropologia; l’alternarsi della dimensione analitica micro e di quella macro, all’incrocio tra scale diverse, permetterà ai lettori di avere una visione integrata di come lavorava Celati.[10]

La scansione quadripartita del volume è volta a rendere manifesta questa plurivocità, permettendoci così di visualizzarne l’oggetto – le carte d’archivio della Biblioteca Panizzi lo confermano: scriveva camminando – in costante movimento. Un andirivieni che, lo si vedrà, ha comportato di riflesso progetti non realizzati, scartati o non del tutto riusciti[11]; e, in parallelo, incontri con vecchi e nuovi maestri retrospettivamente taciuti, alcuni dei quali vengono illuminati per la prima volta in questa sede (e credo non ci sia modo migliore di onorarne memoria che riportare la figura di Celati a una dimensione umana). La prima sezione, Testi, include saggi incentrati sullo studio di fonti rimaste a lungo latenti, nascoste o disconosciute dall’autore.

È il caso del saggio d’apertura, a firma di Giacomo Micheletti, che si sofferma sul contatto dell’esordiente Celati con Edoardo Sanguineti. Pur avendo collaborato a lungo come critico con periodici della Neoavanguardia, in varie interviste tarde Celati si era affrettato a disconoscerne l’influenza sui suoi modi narrativi, anche escludendo volutamente alcuni scritti nella sezione bibliografica del Meridiano. Micheletti incrocia saggi, testimonianze e raffinati affondi linguistici, riuscendo a dimostrare per via stilistica quanto invece il modello nascosto di Capriccio italiano sia stato decisivo, a livello strutturale e sintattico, nel modellare le tonalità del parlato di Comiche. La tenzone Celati-Sanguineti, a lungo sommersa, permetterà a futuri studiosi di leggere il primo Celati in modo nettamente diverso, situandolo in un preciso contesto storico-critico (e in questo sarà d’aiuto anche il saggio di Cecilia Monina, per molti versi complementare).

Gli altri saggi mirano invece a far luce su dialoghi a distanza con autori più vicini al sentire celatiano, ma che rivelano comunque lati inaspettati del suo lavoro. È il caso dei contributi di Michele Farina, Giacomo Raccis e Anna Palumbo, incentrati su modelli e interlocutori del Celati ormai maturo. Il saggio di Farina propone un’analisi comparata del suo pensiero e quello di Manganelli riguardo al concetto di racconto non-antropocentrico, ricostruito a partire dal dialogo a distanza in relazione all’eredità di Leopardi nel Novecento. Giacomo Raccis dipana il filo invisibile che lega il romanzo più spiccatamente jazzistico di Celati, Lunario del Paradiso, al modello (volutamente taciuto) del vagabondo per eccellenza, il Giovane Holden di Salinger, di cui viene ripercorsa anche la complessa ricezione in ambito italiano: l’analisi comparata dei romanzi rivela come, a fronte delle numerose analogie tematiche e strutturali, il Lunario rechi le tracce d’un holdenismo “camuffato, ma anche ben digerito”. Anna Palumbo ricostruisce invece – in modo antitetico a quanto proposto finora[12] – il rapporto d’affezione tra Celati e l’opera di Antonio Delfini, mettendo in luce l’importanza della mediazione del “Caffè politico e letterario” di Giambattista Vicari (secondo le parole dell’autore di Comiche, “una nave in mezzo al mare, senza dottrine, veramente anarchica perché sfuggiva a tutte le classificazioni”)[13] instancabile animatore culturale che aveva fatto conoscere a Celati l’opera dello scrittore modenese.

La seconda sezione, Contesti, propone invece di ampliare la scala dell’analisi riferendosi alle reti mediali e ai contesti culturali in cui l’autore si è trovato ad operare. Quest’allargamento della visuale ha comportato una parziale ricostruzione delle letture di Celati, fine mediatore tra tradizioni del pensiero assai diverse, che spesso sopravanzano i confini nazionali: le ininterrotte collaborazioni con riviste e inserti culturali meriteranno ulteriori approfondimenti critici, anche perché (oltre a fornire indizi che permettono di leggerne l’opera a contropelo) contribuiscono a sfatare il mito di periodizzazioni troppo rigide. Questo cantiere in continua elaborazione non fa che ribadire innanzitutto come – secondo la miglior tradizione novecentesca – in lui l’anima del teorico e del traduttore convivessero con quella del narratore e dello scopritore di talenti, in un dialogo continuo tra dimensione solitaria e collettiva dell’atto dello scrivere, tra il vivere e il raccontare.

Cecilia Monina offre uno sguardo genealogico sul ruolo di Celati in qualità di critico e animatore culturale dagli anni Sessanta ai Novanta, partendo dall’avventura del “Caffè politico e letterario” di Vicari per arrivare alla rivista modenese “Quindi”, fino alla collaborazione col “manifesto” per la rubrica “Narratori delle riserve” e la successiva fondazione del “Semplice”[14]. Spicca come assoluta novità tra queste esperienze l’“Almanacco Storie fragili”, una rivista progettata con Beppe Sebaste volta a includere riflessioni sulla forma breve ma pure sul cinema, preludendo al “terzo Celati”. Queste esperienze laboratoriali denotano un’attenzione al “considerare l’atto del narrare in sé. Più un processo che un dato, più una condizione che un atto, più un flusso che un oggetto”[15]. Quest’approccio di stampo antropologico al narrare è visibile anche nell’inesausta riflessione di Celati sull’opera di Jonathan Swift, più alieno che antenato, analizzata da Michele Maiolani. L’autore ne mostra la contiguità con la teoria e storia dell’ostranenie ricostruita da Carlo Ginzburg e le dinamiche dell’esilio, soffermandosi sul riemergere della funzione-Swift nei processi di riscrittura di Verso la foce e Narratori delle pianure, dove ancora una volta emerge uno sguardo malinconicamente autre. Marina Spunta intesse invece un rapporto tra il Celati degli anni Ottanta e la teoria della risonanza di Harmut Rosa, “uno stato di grazia che”, sono parole dell’autore di Verso la foce “porta a un senso di un collegamento con quello che è al di fuori di noi”[16].

 La terza sezione, Immagini, è volta ad esplorare il “pensiero figurale”[17], cioè il nutrimento tratto dal contatto con le arti performative e della visione, un filone della critica che ha trovato sviluppo in anni molto recenti, grazie all’interazione dell’italianistica coi versanti della filologia visiva e quello, dai confini assai ampi, dei Visual Studies. Il côté visivo di questo volume tematizza la vivacità di questo campo di studi, sviluppato dai saggi in diverse direzioni: all’analisi della pervasività del “fotografico” – e, più in particolare, del sodalizio con Ghirri – all’interno dell’immaginario celatiano, già esplorata in passato, si sono aggiunte nuove modalità. Una prima direttrice critica è volta a inscrivere Celati all’interno della tradizione del fototesto, recentemente dissodata da alcuni studi italiani e non solo, ma che si apre a numerosi sviluppi; un altro versante delle ricerche, inaugurato dagli studi di Marina Spunta e Matteo Martelli[18], si è soffermato sulle implicazioni che la collaborazione con artisti e fotografi hanno avuto sulle strutture narrative e la riflessione teorica di Celati sulle immagini; altri studi hanno invece esplorato i numerosi materiali d’archivio relativi agli esperimenti  cinematografici di Celati, tentativi sempre più raffinati di rispondere all’immobilità della pagina scritta.

Andrea Cortellessa propone una ricca lettura delle fonti visive e letterarie che abitano gli iconotesti degli anni Settanta, primi tentativi di andare al di là del testo che sfoceranno nei più tardi esperimenti del Celati documentarista, ponendoli in relazione con gli scritti coevi dell’autore. Gianmarco Bocchi si sofferma sulla presenza del fotografico nel “secondo Celati”, che pervade il narrare scorciato di Narratori e Verso la foce. Gabriele Gimmelli, già autore d’un volume sui documentari di Celati, in questa sede si concentra invece sulla radice teorica del pensiero di Celati sulle immagini cinematografiche, attraverso l’esame del suo rapporto con la teoria del cinema di Deleuze; scopriamo allora come molti degli scritti del “cineasta delle riserve” sono casi di tramando (di volta in volta più o meno evidente) del pensiero e del canone proposto dal filosofo nei suoi libri capitali sull’immagine-tempo e l’immagine-movimento.

Gianni Celati con il fratello Gabriele e la madre Dolores Martelli (Castion, frazione di Belluno, Estate 1940)

I toccanti Ricordi di Nunzia Palmieri e Enrico Palandri, infine, fanno luce sul rapporto sempre dinamico tra bios e ricerca letteraria, confermando l’intima convinzione celatiana per cui “raccontare è il modo migliore per appaesarsi nella propria sconclusionata vita”[19]. Non è dunque una mossa retorica affermare che i sentieri aperti da lavoro di Celati sono potenzialmente infiniti: la strada è avviata, e resta ancora molto da dire e da fare. Questo volume non è che uno dei tasselli d’un dialogo collettivo che non cesserà di aprire a nuovi approfondimenti.

Prisma Celati. Testi Contesti Immagini Ricordi
a cura di Eloisa Morra e Giacomo Raccis
Mimesis Edizioni, 2023
pp. 224, € 20

In copertina: Luigi Ghirri, Gianni Celati, 1985 © Eredi di Luigi Ghirri


[1] A. Arbasino, Italo Calvino, in Id., Sessanta posizioni, Feltrinelli, Milano 1971, pp. 90-95: 90. L’intervista era uscita col titolo Meglio il silenzio che le chiacchiere dei notabili, “Il Giorno”, 6 maggio 1963.

[2] Si veda a questo proposito almeno M. Rizzante, Il geografo e il viaggiatore. Lettere, dialoghi, saggi e una nota azzurra sullopera di Italo Calvino e Gianni Celati, Metauro, Fossombrone 1993; Effigie, Milano, 2017: “Entrambi volevano uscire dalla specificità letteraria. Per essere più precisi: Calvino desiderava rendere tutto specificamente letterario; Celati desiderava abolire la letteratura come mezzo di emancipazione intellettuale. Ecco allora il loro punto in comune: lo sguardo dello scrittore collezionista che desidera guardare il mondo ‘dalla parte del fuori’, cioè come una varietas di oggetti non classificabili che non richiedono una narrazione storica ma una descrizione archeologica”..

[3] Gli editori con me non guadagnano così sono libero, Franco Marcoaldi, “La Repubblica”, 12 luglio 2011: “Io ho sempre scritto cose con cui gli editori non hanno fatto una lira. E questo, alla fine, mi ha dato una grande libertà. Sono tra coloro che ancora pensano alla scrittura come a un atto gratuito: si scrive per passare le serate, per coltivare l’interiorità, perché la gratuità è fonte di contentezza. Invece ora pare che si scriva soltanto per fare colpo sul pubblico, per vendere copie, avvinghiati ai fatti e all’attualità, perdendo così completamente la dimensione avventurosa della scrittura, la sua potenza immaginativa”.),

[4] M. Belpoliti, Gianni Celati, la letteratura in bilico sullabisso, in G. Celati, Romanzi, cronache e racconti, a cura di M. Belpoliti, N. Palmieri, Mondadori, Milano 2016, pp. IX-LXXII: XI.

[5] Si vedano almeno R. West, Gianni Celati. The Craft of Everyday Storytelling, University of Toronto Press, Toronto 2000; A. Cortellessa, Gianni Celati: frammenti di un discorso sul comico, in Libri segreti. Autori-critici nel Novecento italiano, Firenze, Le Lettere, 2008; Gianni Celati. Riga 28, a cura di M. Belpoliti, M. Sironi, Marcos y Marcos, Milano 2008 (poi, in edizione rinnovata, Riga 40. Gianni Celati, a cura di M. Belpoliti, M. Sironi, A. Stefi, Quodlibet, Macerata 2019); P. Barron, Gianni Celatis Poetic Prose: Physical, Marginal, Spatial, in “Italica”, 2007 (2-3), pp. 323-344; G. Iacoli, La dignità di un mondo buffo. Intorno allopera di Gianni Celati, Macerata, Quodlibet 2011. Sul versante artistico fondamentali Documentari imprevedibili come i sogni, a cura di N. Palmieri, Roma, Fandango 2011 e Animazioni e incantamenti, a cura di N. Palmieri, Roma, L’Orma 2017. Mi permetto di rimandare al mio E. Morra, Gianni Celati, una voce savia e folle, “L’Indice dei libri del mese”, 5 (2016), all’interno dello Speciale Celati che avevo curato per la rivista.

[6] G. Celati, Il transito mite delle parole. Conversazioni e interviste 1974-2014, a cura di M. Belpoliti, A. Stefi, Quodlibet, Macerata 2022.

[7] I segni di questa canonizzazione sono numerosi: tra i convegni recenti su Celati si ricordano, oltre a quello da cui nasce il presente volume, quelli di Cork (2017), Strasburgo (2019) e Modena/Reggio Emilia (2022). Celati è incluso in due recenti manuali per insegnamento della letteratura nella scuola superiore – si vedano a questo proposito le lezioni organizzate dall’Adi 2022 per la Scuola di Cinzia e Gino Ruozzi, dal titolo Visibilità e scrittura – e diversi manuali universitari: cfr. Letteratura italiana contemporanea. Letteratura e poesia dal Novecento a oggi, a cura di B. Manetti, M. Tortora, Carocci, Roma 2022 e Cento anni di letteratura italiana. 1910-2020, a cura di M.A. Bazzocchi, Einaudi, Torino 2022. Alla rappresentazione del sistema scolastico in Celati è dedicato l’interessante G. Picconi, Disambientare Foucault. Celati e la scuola, in “L’ospite ingrato”, 9 (2021), pp. 327-342.

[8] D. Giglioli, Riprendere con Celati lo spazio comune, “Alias – il manifesto”, 16.07.2011. Destino condiviso con Pasolini, “implacabile interlocutore antitetico” e antagonista segreto del giovane Celati.

[9] C. Ginzburg, Unintentional Revelations. Reading history against the grain, The Fu Ssu-nien Memorial Lectures, Academia Sinica, Taipei 2015.

[10] In questa direzione si sono mossi tre importanti libri recenti: E. Menetti, Gianni Celati e i classici italiani, Franco Angeli, Milano 2020; G. Micheletti, Celati 70. Regressione fabulazione maschere del sottosuolo, Cesati, Firenze 2021; G. Gimmelli, Un cineasta delle riserve. Gianni Celati e il cinema, Quodlibet, Macerata 2021.

[11] Il principale dei quali resta Riga 14. Alì Babà”. Progetto di una rivista. 1968-1972, a cura di M. Barenghi e M. Belpoliti, Marcos y Marcos, Milano 1998.E. Morra – Esplorando il prisma Celati 11

[12] M. Marchesini, Delfini dietro Celati, in Da Pascoli a Busi. Letterati e letteratura in Italia, Quodlibet, Macerata 2014.

[13] A. Capretti, Intervista a Gianni Celati, in “Doppiozero”, 4 dicembre 2012, https://www.doppiozero.com/il-comico-come-strategia-in-gianni-celati.12 Prisma Celati

[14] Su quest’esperienza si rimanda al convegno modenese Il Semplice. Vite e voci di una rivista (2022), i cui atti sono in corso di pubblicazione su “Griseldaonline”.

[15] A. Cortellessa, “Quattro apparenze sulle novelle. Paragrafi su Cinema naturale di Gianni Celati”, in “L’Illuminista”, III, 2003, 8-9, pp. 149-177

[16]  G. Celati, Andar verso la foce [2008], in Riga 40. Gianni Celati, a cura di M. Belpoliti, M. Sironi, A. Stefi, 2019, pp. 293-297.

[17] M. Martelli, M. Spunta, Collezioni di sguardi, in La scrittura dello sguardo. Gianni Celati e le arti visive, a cura di M. Spunta, M. Martelli, ReCHERches, n. 24, 2020.

[18] M. Spunta, Il profilo delle nuvole: Ghirris photography and the new Italian landscape, “Italian Studies”, 61: 1, Spring 2006, pp. 114-36; Lo spazio delle pianure come territorio di racconti” – verso la foce con Gianni Celati, “Spunti e Ricerche”, 18, 2003, pp. 5-28; Il narrare semplice, naturale di Gianni Celati e i suoi progetti editoriali’, “Rassegna Europea di Letteratura Italiana”, 22, 2003, pp. 53-72; M. Martelli, Limpensé du regard. Trois études sur Gianni Celati et les arts visuels, Quodlibet, Macerata 2021; il citato La scrittura dello sguardo. Gianni Celati e le arti visive e da ultimo E. Morra, Al di là del testo. Celati, Boccaccio e il desiderio, “Antinomie”, 15 marzo 2022; un’analisi dei fototesti celatiani è inclusa nel mio Poetiche della visibilità, Carocci, in pubblicazione

[19] M. Belpoliti, Gianni Celati, la letteratura in bilico sullabisso, cit., p. XI.

Eloisa Morra

è assistant professor di Italianistica alla University of Toronto. Dopo il diploma alla Normale di Pisa si è addottorata a Harvard, dove ha insegnato e preso parte a progetti curatoriali, pubblicando saggi sulla letteratura e l’arte italiana del Cinquecento e del Novecento. È autrice di “Un allegro fischiettare nelle tenebre. Ritratto di Toti Scialoja” (Quodlibet 2014, Special mention Edinburgh Gadda Prize); del poeta-pittore ha pubblicato un album illustrato (Tre per un topo, Quodlibet 2014) e curato una raccolta di taglio interdisciplinare (“Paesaggi di parole. Toti Scialoja e i linguaggi dell’arte”, Carocci 2019).

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