Saltato il volume su Joseph Arthur de Gobineau (teorizzatore della superiorità della razza ariana, scrittore tristemente noto in Francia ma da noi poco conosciuto – per quanto non si esclude con questi quarti di luna una sua rivalutazione in Italia), L’Orma prosegue la meritoria pubblicazione di Manifesto incerto, la monumentale opera di Frédéric Pajak, tradotta da Nicolò Petruzzella, giunta in Italia al quarto volume, e lo fa mandando in libreria Van Gogh, una biografia, testo che è, effettivamente, una biografia canonica del pittore olandese.
È evidente che con Pajak quel che è canonico lo è soltanto in apparenza e già la semplice sequenza di testi e immagini che pure ci si aspetta di affrontare sfogliando il volume produce nel lettore il solito straniamento – che cosa vuole dirci costui alternando propri inchiostri con il racconto della stralunata esistenza di un pittore finito suicida? Verrebbe da rispondere, innanzitutto l’analisi sempre più approfondita del “carattere reietto”, della figura ai margini della società, dell’esule, del fuggiasco, che già Pajak aveva analizzato nei precedenti volumi prendendo principalmente (ma non solo) a esempio le esistenze di Walter Benjamin e Ezra Pound. Qui il libro avvicina la forma della monografia. Si parla di Van Gogh, si illustra Van Gogh, si ipotizza su Van Gogh, si prende spunto da Van Gogh. L’iconotesto in effetti è solo minimamente derivato dalle pitture dell’artista. Pajak replica pochi dipinti, su tutti I mangiatori di patate, opera per antonomasia antigraziosa che situa Van Gogh nel mondo degli artisti d’interni olandesi, con la mancanza di grazia e di eleganza che è peculiare di una mente abituata a percorrere sentieri estremi.

Pajak sembra voler stabilire un parallelo, un paragone, con l’esistenza del fratello saggio di Vincent, quel Theo mercante d’arte, collaboratore paziente ed esperto della Goupil et C.ie, che a quell’epoca era tra le maggiori ditte europee di commercio di opere d’arte. A dire il vero anche Vincent, poco più che adolescente aveva cominciato a vendere quadri, pare anche con un certo successo, prima che le ombre e i contrasti che rendevano la sua visione complessa, lo allontanassero dalle consuetudini borghesi dell’acquisto e della vendita. Ma il paragone con Theo termina qui; il fratello saggio diventa il destinatario di un epistolario vastissimo, di un approfondito saggio pittorico sul colore. Ma questo che abbiamo tra le mani è drammaticamente un libro in bianco e nero.
La parabola dell’artista olandese procede spedita, i suoi trasferimenti nell’Europa del Nord, la scoperta liberatrice della pittura, il periodo provenzale, la sciagurata e brevissima esperienza condivisa con Gauguin, la casa gialla di Arles, il taglio dell’orecchio, il manicomio, il suicidio. Tutto è raccontato seguendo il ritmo cadenzato degli inchiostri neri di Pajak. Davvero una marcia funebre senza possibilità di redenzione. A parte qualche replica di ritratti eseguiti da Van Gogh, o di vecchie foto di famiglia, l’iconotesto del libro è un’originale tessitura ordita da Pajak con immagini perlopiù contemporanee, come se volesse documentare il proprio vagabondare e non quello dell’artista olandese. Non appariranno varianti dei campi di grano sorvolati da corvi, né vasi di girasoli o rami di mandorli, covoni di fieno, contadini in riposo, rutilanti notti stellate. Per buona parte si tratta di paesaggi ripresi con un orizzonte piuttosto basso, d’origine fotografica, destinati a documentare luoghi piuttosto che a esprimere sensazioni. Dunque gioca per contrasto: non quel che vedeva Vincent, ma quel che aveva di fronte, così come uno scrittore del XX secolo se lo trova di fronte. Un paesaggio spoglio, residuale, scheletrico. Ancora una volta la rappresentazione dello sguardo di un esule, di un reietto. L’originalità artistica di Van Gogh qui non viene presa in considerazione, non viene mostrata. Ci si sofferma su qualche particolare tecnico – per esempio l’uso di penne ricavate da giunchi, che distribuiscono l’inchiostro con generosità, che replicano il gesto della mano, insistito o appena accennato; ma da nessuna parte compaiono le pennellate dense, liberatorie che danno origine ai suoi dipinti.

È un libro sull’assenza di Van Gogh, sulla sua vita vissuta per interposta persona, sulle sue identificazioni – il fratello premorto che portava il nome che i genitori a lui poi imposero; l’ossessione del colore del pittore Monticelli, analoga alla sua; la nascita del figlio di Theo a cui l’imposizione del nome Vincent gettò l’artista nell’ultimo definitivo eccesso di follia risolto con un colpo di revolver al petto e con una silenziosa imprecazione: «non toglietemi ancora una volta il nome».

Frédéric Pajak
Van Gogh, una biografia
traduzione di Nicolò Petruzzella
L’Orma, 2023
pp. 253, € 30