Dallarte, il lavoro più recente di Jonny Costantino, si lascia appassionatamente decifrare durante la sua ora e trentotto minuti di durata: l’arte commossa e commovente del vivere e l’arte creatrice del fotografare, del cantare, dello scrivere, del disegnare si fanno voce, corpo, gesto, memoria, nomi, luoghi – Lucio Dalla, ovviamente, ma anche Luigi Ghirri, Angela Baraldi, Lorenzo Mattotti, Roberto Roversi, Bologna, Parigi, Sorrento, le Isole Tremiti…
Dallarte è, a volerne cercare una descrizione a fini puramente orientativi ma non definitori, una scrittura per parole e per immagini dedicata a Lucio Dalla – è lo stesso Costantino nei titoli d’apertura a chiamare il suo lavoro un pastiche perché Dallarte non vuol essere (e non è) un monumento-epitaffio, né un amarcord, né una sorta di documentario, ma un emozionato ed emozionante montaggio in cui la videocamera (che riprende spazi esterni, ambienti interni e i volti degli intervistati), la fotografia, la musica, la parola-testimonianza, la parola-memoria, la parola-racconto articolano un itinerario ricco e coinvolgente.

Se all’inizio del film la macchina da presa indugia tra i vialetti e sui monumenti funebri che nella Certosa di Bologna rendono omaggio alla memoria di Giorgio Morandi e di Giosuè Carducci per inquadrare infine l’inconfondibile sagoma di Lucio Dalla ritta sulla tomba del cantautore, questo accade sia col fine di cominciare a intessere un itinerario che, a ritroso, ripercorra momenti della vita di Dalla, sia per annunciare, in una sorta di preludio, che Dallarte sarà, nello stesso tempo, parola e visione, visione e parola, fuga ininterrotta d’immagini e racconto in forma di voce.
Segue un monologo (ch’è materiale d’archivio) in cui è Dalla stesso a raccontare del proprio fondamentale legame con Luigi Ghirri: affascina vedere l’alternarsi del primo piano di Dalla (che ha un prosaico calorifero alle spalle) mentre parla (e, raccontando, gesticola) e le fotografie di Ghirri: è così che si fa strada nella mente di chi guarda e ascolta la persuasione di addentrarsi in un universo nel quale la visione e la parola hanno edificato un’amicizia; forse inaspettatamente ci si accorge di comprendere Lucio Dalla anche se non parla esplicitamente di sé (o proprio perché non parla di sé), ma dell’amico Ghirri e del loro rapporto sia amicale che artistico; a Costantino riesce fin da subito un’operazione non facile: interpretare Dalla attraverso Ghirri e, subito dopo, durante la lunga parte seguente, attraverso le parole di Angela Baraldi che è capace di imbastire un lungo racconto intessuto di ricordi e inframmezzato dalle immagini le quali molto spesso sono, appunto, fotografie di Ghirri cui la cantante stessa fa costante riferimento.

Dallarte si configura così come un montaggio di specchi che restituiscono un passato molto vivo e dal quale riverbera, struggente, l’amore alla vita; da un punto di vista estetico il lungo passaggio affidato ad Angela Baraldi è una vera e propria scrittura a più dimensioni: la dimensione visuale (costituita dai ripetuti e insistiti primi piani di Baraldi e alternati alle fotografie di Ghirri), quella verbale non disgiunta dalla dimensione memoriale (Baraldi dimostra una capacità affabulatoria poco comune) – ma tutto questo si riverbera nella dimensione affettiva che, raccogliendosi nel trio amicale Dalla-Ghirri-Baraldi, fa della prima parte di Dallarte il racconto di una stagione di straordinario fervore e fecondità sia umani che artistici.
Sono l’inesausta energia vitale, la felicità di esistere e di vivere, la gioia di stare insieme a sprigionarsi nel racconto di Baraldi e il film anche per questo non è la celebrazione di “un’icona pop” come si direbbe con un’espressione vuota e stereotipata, ma il percorso attraverso luoghi e momenti illuminati dall’amore per l’arte – che sia quest’ultima la musica o la scrittura o la pittura.

E che Lucio Dalla sia stato uomo e personaggio pubblico complesso è senz’altro vero, ma Jonny Costantino ha cercato e realizzato un pastiche capace di coglierne sfaccettature poco note o inattese – proprio nelle arti visive (fotografia e pittura in particolare) Dalla trovava approdi fecondi, era in grado di realizzare anche attraverso la propria gestualità e l’abbigliamento momenti di forte impatto visivo e, di conseguenza, concettuale ed emotivo; è per questo che i molti ritratti realizzati da Ghirri (taluni destinati alle copertine dei dischi dell’amico) posseggono un’espressività molto vicina a quella delle canzoni e a tal proposito le musiche di Dallarte firmate da Gionata Mirai ed eseguite sulla chitarra a 12 corde, riprendendo e variando note composizioni di Lucio Dalla, dilatano ulteriormente lo spazio visuale e sonoro, invitano lo spettatore al felice abbandonarsi alla suggestione non solo visiva, ma acustica, alla partecipazione intellettuale ed emotiva al fine di esplorare un universo la cui chiave di accesso, suggerisce Jonny Costantino fin dal titolo, è l’arte nelle sue numerose, felici declinazioni.
E se quella di Angela Baraldi è una commossa, affettuosa rimemorazione di momenti e di viaggi vissuti assieme a Ghirri e a Dalla, nella seconda parte Lorenzo Mattotti si rivela, probabilmente a propria insaputa, uno straordinario performer che con espressiva gestualità e grande verve affabulatoria racconta il suo Dalla e le canzoni più amate. Ne risulta un’autobiografia legata in particolare alla propria giovinezza e alla propria formazione sia umana che artistica.

L’alternarsi in Dallarte delle immagini di Bologna (e dei suoi colori), del mare di Sorrento e delle Tremiti, delle affollate strade parigine e delle fotografie di Ghirri o delle opere di Mattotti, di alcune sequenze dal Quijote di Mimmo Paladino nel quale Dalla interpreta Sancho Panza crea una dimensione visiva che, accogliendo e contrapppuntando la dimensione verbale (Dalla che racconta di Ghirri, Baraldi che racconta di Dalla, Mattotti che racconta delle canzoni di Dalla), dilata la percezione dello spettatore coinvolgendola in un prisma che riverbera benissimo della persona e dell’artista.

Jonny Costantino fa tre fugacissime apparizioni come a voler firmare (ma con discrezione estrema) anche in immagine questo splendido lavoro: in rapidissimo controcampo con Baraldi assieme all’aiuto regista Rita Deiola mentre i tre sfogliano un gruppo di foto, assai fugacemente al tavolino del bistrot parigino dove conversa con Mattotti e in chiusura, come a voler sigillare il ritratto che Mattotti fa di Dalla – e sempre di Costantino si ode appena la voce fievole in un paio di occasioni, così che si comprende che i lunghi monologhi di Baraldi e di Mattotti sono, in realtà, avviati e sottesi dalle domande di Costantino le quali, più che orientare la conversazione, stimolano i percorsi dei racconti, incoraggiando una parabola filmica capace di confermare quanto il materiale verbale-musicale delle canzoni di Dalla possegga un notevole portato visuale e iconografico; in questo senso risulta determinante non solo la connessione con la fotografia ghirriana, ma anche con la formazione e la maturazione del gusto di un artista qual è Lorenzo Mattotti: nel primo caso è Lucio Dalla stesso ad evidenziare come Ghirri scattasse percependosi sempre immerso in tutta la realtà circostante e come il suo sguardo fosse sensibile proprio nei confronti di quello che a molti altri sfuggiva, nel secondo personaggi e luoghi delle canzoni di Dalla (Nuvolari, il percorso della Mille Miglia, per esempio) o la collaborazione al Pinocchio di Enzo D’Alò (per il quale Dalla scrisse le musiche e al cui Pescatore Verde disegnato da Mattotti prestò la propria voce) s’impongono quali suggestioni e quali presenze che danno vita al mondo figurativo e narrativo di Mattotti, mondo fantasioso, talvolta onirico, spesso di marca “padana” mi vien fatto di pensare, ma nel senso ricco e pregnante che all’aggettivo hanno saputo dare artisti quali Celati, Cavazzoni, Scabia.

Il monologo finale di Fulvio Accogli, appositamente creato e interpretato per Dallarte, chiude come un cerchio perfetto il lavoro ché il filmsembra non solo voler esplorare l’universo di Lucio Dalla, ma raccoglierne intuizioni e suggestioni per consegnarle intatte a ogni spettatore disposto a guardare ben oltre la vulgata del Dalla cantante e personaggio popolare.