Trigonometria di Anne Carson

24/05/2023

Per affrontare gli interrogativi più insolubili dell’esistenza – eros, morte, Dio, linguaggio, corpo, famiglia ecc. – Anne Carson sembra proporre qualcosa di simile a uno dei metodi matematici utilizzati per risolvere problemi complessi: la trigonometria. Letteralmente “misura del triangolo”, serve a calcolare tutti gli elementi che caratterizzano i triangoli a partire da alcuni elementi noti. La trigonometria consente di effettuare misurazioni molto più articolate – di poligoni, di solidi e oltre – a partire dalla possibilità di scomporre altre figure in triangoli. Forse si potrebbe tentare di farlo anche per qualcosa di totalmente diverso dalla geometria, sembra suggerire Anne Carson. Forse possiamo provare a scomporre in triangoli anche i brividi e gli ossimori che compongono la nostra esperienza nel mondo.

La prima volta in cui Anne Carson avanza questa ipotesi risale al primo volume da lei pubblicato nel 1986 e tradotto in italiano da Patrizio Ceccagnoli nel 2021 con il titolo Eros il dolceamaro. In quella che doveva essere una rielaborazione della sua tesi di dottorato e che si trasforma, invece, in un esperimento saggistico-narrativo oltre i limiti della scrittura accademica, Carson analizza, nelle prime pagine, il frammento 31 di Saffo – Carson, come riportano le quarte di copertina dei suoi libri, «si guadagna da vivere insegnando greco antico». Si tratta di uno dei componimenti amorosi più noti della letteratura occidentale. Che cosa c’è al centro di questo testo se non un triangolo – lei, lei, l’altro – a partire da uno dei sentimenti che sarebbero divenuti più triti nella storia della cultura, la gelosia? Eppure, ci dice, Carson, a guardare bene quello che abbiamo di fronte, si tratta di un triangolo un po’ diverso. Ciò che congiunge soggetto desiderante (la poeta) e oggetto desiderato (la donna che lei ama) è esattamente ciò che apparentemente le divide, quell’uomo che “come un dio” ascolta, in apparente tranquillità, le parole dell’amata, e che in realtà rappresenta l’io ideale della stessa Saffo – dove lei vorrebbe essere, come lei vorrebbe essere. A congiungere, nella distanza, le due donne sta eros, che consente il desiderio nel momento stesso in cui ne nega l’appagamento e impedisce l’annullamento dell’io nell’oggetto d’amore. Eros, che ad un certo punto Carson paragona a uno stereoscopio in grado di proiettare l’ideale sul reale. La linea che chiude il triangolo, il lato che ne conferma la figura, altro non è che uno strumento che crea immagini.

Se proviamo a tenere a mente tutto questo nella lettura dei due volumi di Anne Carson tradotti in italiano – sempre per mano di Patrizio Ceccagnoli – usciti nelle scorse settimane, ci renderemo conto di quanto siano letteralmente costellati di triangoli e di dispositivi scopici.

Decreazione, pubblicato originariamente nel 2005 e accolto nel progetto di traduzione di tutti i saggi dell’autrice da parte della casa editrice Utopia, prende il titolo dal testo eponimo che si legge nell’ultima parte del volume. Già il sottotitolo – Il modo in cui donne come Saffo, Margherita Porete e Simone Weil raccontano Dio – presenta una triade. La figura ternaria sembra garantita dalla voce narrante fin dalla prima riga – «Questo è un saggio su tre donne e consiste di tre parti» – salvo poi contraddirsi e inserirne una quarta che ha a che fare, anche tematicamente, con l’incongruenza. Ciascuna delle prime tre sezioni è incentrata su un triangolo che è, al contempo, erotico ed estatico: di nuovo la Saffo del frammento 31 è osservata nell’atto di osservarsi, di scandagliare la fenomenologia del suo corpo mentre «il suo Essere [viene] scagliato lontano dal proprio centro» – quasi fosse proiettato su un’altra superficie; c’è Margherita Porete, la teologa condannata per eresia nel 1310, arsa al rogo per il suo Specchio delle anime semplici – di nuovo uno strumento ottico, lo specchio – in cui l’io narrato cade priva di sensi quando pensa a un’ipotetica danza della gelosia – Dio la mette alla prova in quanto soggetto e oggetto di una triangolazione amorosa; Simone Weil immagina di poter contemplare un paesaggio come quando lei non c’è – un triangolo ottico paradossale, quello fra io, non-io e l’Altro da sé, ovvero la totalità del divino. Ma se la scomposizione in triangoli serve a qualcosa, è perché consente di arrivare anche laddove il triangolo non c’è più e le linee si fanno tortuose, curve paradossali dell’esistenza. Allora ecco che si deve sfidare la matematica e oltrepassarne il limite logico, giungere all’incongruenza delle tre donne, che decreano il loro sé nel momento stesso in cui producono immagini attraverso il supremo atto che dice “io”, cioè la scrittura.

«La decreazione», scrive a sua volta chi dice “io” o “noi” nel corso del saggio, «è il disfacimento della creatura che è in noi, quella creatura racchiusa nell’io e definita dall’io. Ma per disfarsi dell’io bisogna passare attraverso l’io, fin dentro alla sua stessa definizione. Non possiamo cominciare diversamente» (p. 177).

Decreazione è però anche il titolo del testo seguente, «un’opera in musica di tre parti» che è intrisa di triangoli. C’è quello tra Efesto e gli amanti Afrodite-Ares, c’è Margherita di Porete sdoppiata in Margherita Esteriore e Interiore mentre si guarda proiettata in un video dopo essere stata interrogata da un coro di 15 inquisitori papali disposti in triangoli, c’è Simone Weil nel suo triangolo fra i genitori – che parlano fra loro di nonagoni e triangoli – e il vuoto del cibo – un coro di ballerini trasparenti di tip-tap che invisibilmente si trasforma nel pensiero di una ciliegia. La trigonometria è un metodo fondato sulla misurazione degli angoli, e il concetto di “angolazione” è cruciale tanto nella scrittura quanto nella produzione di immagini.

Betty Goodwin, Seated figure with red angle, 1988

Una delle sezioni di Decreazione è un’ecfrasi, e si intitola con il titolo dell’opera e il nome della sua autrice – Figura seduta con angolo in rosso (1988) di Betty Goodwin. C’è la parola, c’è l’immagine – riprodotta prima del componimento – e c’è la voce narrante che parla solo attraverso protasi di frasi ipotetiche, analizzate nelle loro possibili configurazioni tra realtà e irrealtà, fattualità e controfattualità, «attrazione e consapevolezza». La voce narrante si rivolge a un “tu” virtuale o utilizza espressioni impersonali; solo nell’ultimo verso, in corsivo, compare un “io” fuori posto, in una frase coordinata che è incongruente alla costruzione grammaticale: «Se le frasi ipotetiche sono di due tipi: incise e dov’è che io posso scrivere questo». Il lato che chiude un triangolo può anche essere una proiezione immaginaria.

Possiamo pensare ai procedimenti ecfrastici come a dei problemi trigonometrici: ci sono tre elementi noti – l’immagine in quanto tale, le parole che vi si riferiscono, la mente di chi legge nella quale si produce il triangolo di cui lettore o lettrice fanno parte al contempo – ma ce sono altrettanti da risolvere – le proiezioni fantasmatiche dell’assenza/presenza del visuale nel verbale, del punto di vista della voce narrante e della spettatorialità più o meno implicita. La questione tanto più si complica quanto più aumentano le superfici e le linee di proiezione: come quando la scrittura prova a dire a parole della scrittura di luce o della scrittura di movimento.

In Decreazione ricorrono numerose scene di personaggi intenti nella produzione di immagini cinematografiche: i sogni di Socrate e Odisseo, di Nausicaa e di Clarissa Dalloway analizzati nel saggio Ogni uscita è un’entrata (Elogio al sonno) altro non sono che film mentali, proiezioni che consentono una momentanea decreazione di sé; a un certo punto troviamo Eloisa e Abelardo nelle più disparate ambientazioni – in macchina, nella camera di un motel, su un’altalena – intenti nelle riprese di un documentario sulle loro vite che assomiglia sempre di più a un film di Samuel Beckett; il volume si chiude con la sceneggiatura di un documentario in cui una donna, di notte, posiziona delle lastre fotografiche sul letto di un fiume attivando luci stroboscopiche, mentre riflette sulla «insuperabilità» dei fatti. Il rapporto tra immagine, parola e documento è anche al centro di due sezioni del volume collegate fra loro, Schiuma (Saggio con rapsodia. Sul Sublime in Longino e Antonioni) e Sublimi. L’effetto del sublime, quella “bava alla bocca” che ci accompagna nel corso di determinate esperienze estetiche, altro non è che il risultato di una triangolazione che passa attraverso la produzione di un’immagine riverberata nella catena di citazioni giunte, intatte nella forza di pathos, sino a noi.

Anche in Vetro, Ironia e Dio, pubblicato da Crocetti Editore, ci sono numerose telecamere: quelle che riprendono Ettore di Troia durante un improbabile reality show dall’esito terrificante, o quelle che provano a strappare un’ultima dichiarazione a un Socrate già sotto gli effetti della cicuta. L’occhio del/la regista, l’occhio di chi viene ripreso, l’occhio di chi legge: un triangolo apparentemente perfetto, ma attenzione, perché «la TV è intrinsecamente cinica. Parla all’occhio di chi/ guarda, ma la mente non ha occhi» (p. 149).

Patrick Branwell Brontë, The Brontë Sisters, ca. 1834 – © National Portrait Gallery, London

La sezione che apre il prosimetro, uscito originariamente nel 1995 e tra le opere più famose dell’autrice, è un saggio che è anche un’autofinzione che è anche un componimento poetico. Nella triangolazione e ibridazione dei generi – che qualcuno ha provato a risolvere introducendo l’espressione lyric essayIl saggio di vetro racconta la polarità inversa del frammento 31 di Saffo. Chi dice “io” sta affrontando la fine della relazione con un uomo, e decide di trascorrere un periodo a casa della madre, immersa tra le brughiere, in compagnia della lettura di Emily Dickinson. «Tre donne silenziose a un tavolo da cucina», quasi a rievocare il ritratto delle tre sorelle Brontë. Ma, proprio come nel dipinto, anche al centro della composizione di Carson si celano dei fantasmi maschili: là era il fratello Branwell Brontë, fratello e autore del quadro; qui è il padre, affetto da una forma di demenza o di Alzheimer, le cui parole sono ridotte a presenze incoerenti e inquietanti e che l’“io” si reca a trovare, insieme alla madre, nella clinica presso cui è ricoverato; ma soprattutto è Law, l’uomo amato dalla narratrice. «Tutto quello che so dell’amore e delle sue necessità / l’ho imparato nel momento / in cui mi sono ritrovata/ a offrire il mio piccolo fondoschiena rosso come un babbuino / a un uomo che aveva smesso di amarmi» (p. 43). Dopo l’umiliazione e la rottura definitiva, ecco il lutto, quella fase così prossima alla malinconia che, dall’antica teoria degli umori a Freud, genera fantasmi. Per liberarsi dell’ombra tagliente dell’amato che più non la ama, chi dice “io” deve passare forzatamente attraverso la proiezione di immagini. Sono i 13 Nudi che la narratrice vede mentre medita, «nudi scorci della mia anima solitaria/ non i complessi misteri dell’amore e dell’odio». Queste visioni hanno qualcosa dei marchingegni infernali di Hieronymus Bosch, come conviene lei stessa, ma anche dei disegni di Louise Bourgeois, dei corpi di donna trafitti da ciò che prima chiamavano “casa”.

Hieronymus Bosch, Il giudizio universale (particolare), dopo il 1504

La visione dei Nudi arriva spesso durante un preciso atto scopico, guardando fuori dalla finestra. La catarsi, il superamento del lutto, si compie con l’ultimo nudo, un palo al quale sono attaccati brandelli lucenti di qualcosa che «non era il mio corpo, non era il corpo di una donna/ era il corpo di tutti noi». La soluzione del triangolo può avvenire anche smettendo di produrre ossessivamente immagini: «Ho smesso di guardare. / Mi sono dimenticata dei Nudi. / Ho vissuto la mia vita, / che era come una TV spenta. / Era passato attraverso e fuori di me qualcosa che io / non potevo ammettere».

L’ultimo triangolo non è una figura, non è un’immagine, ma un suono. La sezione che chiude Vetro, Ironia e Dio è un saggio intitolato Il genere del suono e ci mostra l’origine del patriarcato nel disciplinamento della voce femminile. Dalla Metafisica di Aristotele ai saggi sull’isteria di Freud, il potere maschile ha costruito linee di forza per, letteralmente, tappare la bocca – anzi, le bocche, ci dice Carson, l’organo vocale e quello sessuale, uniti come tali dalla terminologia medica dai tempi della classicità – alle donne. [Fig. 4] È come se ci fosse una linea diretta fra interiorità dell’emozione ed esteriorità dell’espressione, nel soggetto femminile, che deve essere disciplinata secondo il monito della sophrosyne, di quella capacità di autocontrollo, associata al maschile, che costituisce il nuovo vertice di un triangolo portatore di silenzio, interrompibile solo all’interno di determinate situazioni sancite e codificate per le donne – i lamenti funebri, i rituali legati all’aiscrologia, la seduta psicanalitica.

figura in terracotta dell’antica Grecia probabilmente raffigurante Baubo, ca. IV sec. a.C.

Ma forse, dopotutto, alla fine è bene rompere le trigonometrie e lasciare che le figure – e i suoni – agiscano in tutta la loro potenza verso nuove configurazioni possibili: «Mi chiedo se non ci possa essere un’altra idea di ordine oltre la repressione, un’altra nozione di virtù oltre l’autocontrollo, un altro tipo di soggettività umana che non sia basata sulla separazione tra interno ed esterno. O, addirittura, un’altra essenza per gli esseri umani oltre al soggetto stesso» (p. 317).

Anne Carson
Decreazione
a cura di Patrizio Ceccagnoli
Utopia, 2023, 240 pp., € 18

Vetro, Ironia e Dio
a cura di Patrizio Ceccagnoli
Crocetti, 2023, 300 pp., € 18

In copertina: Anne Carson, photo © Jeff Brown

Beatrice Seligardi

è ricercatrice (RTD-a) in Critica letteraria e letterature comparate presso l’Università di Sassari. I suoi interessi di ricerca si concentrano sulla teoria letteraria, la morfologia delle forme e i rapporti tra letteratura e visualità. È autrice di tre monografie: “Ellissi dello sguardo. Pathosformeln dell’inespressività femminile dalla cultura visuale alla letteratura” (Morellini 2018), “Finzioni accademiche. Modi e forme del romanzo universitario” (Cesati 2018) e “Lightfossil. Sentimento del tempo in fotografia e letteratura” (Postmedia Books 2020). Fa parte della redazione di “Between” e del direttivo di Compalit (Associazione di Teoria e Storia Comparata della Letteratura).

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