quando muoiono, i soli si spengono,
quando muoiono, gli uomini cantano.
Chlèbnikov
L’editore napoletano Cronopio ha di recente dato alle stampe il laconico pamphlet di Kazimir Malevič intitolato L’inazione come verità effettiva dell’umanità, datato 1921, con prefazione di Marco Tabacchini e una nota conclusiva di Boris Groys (già curatore delle mostre dedicate al cosmismo a New York e a Berlino nel 2017). La preziosa traduzione di Antonella Cristiani, la prima condotta sull’originale russo, rettifica una versione apparsa nel 2012 per i tipi triestini di Asterios: L’inattività come verità effettiva dell’uomo – a sua volta riproposta come «inoperosità» da Agamben in Creazione e anarchia. Tutte tre le varianti riflettono opportunamente l’intenzione del titolo, Len’ kak deistvitel’naja istina čelovecestva, di giocare con i concetti di atto e opera, quindi con il cuore stesso della tradizione filosofica occidentale: la «totale inazione» evocata qui equivale infatti all’«azione come contemplazione dell’autoproduzione» (pp. 34-35), cioè a quello stato paradossale in cui non si partecipa più della natura, ma la si è immediatamente, giacché ogni fare è riassorbito completamente dall’essere.
Il sostantivo femminile Len’ significa «pigrizia, indolenza», ma anche «sonnolenza», indicando la lassezza letargica nello svolgere un’azione o un compito. Da len’ derivano poi l’aggettivo lenivyj, «pigro, svogliato, ozioso», «indolente, riluttante», come il buffo appellativo lentjaj, «fannullone, poltrone». Definendola verità effettiva (deistvitel’naja: anche «efficace, efficiente»), Malevič indugia su un’associazione ossimorica quanto ironica, che non manca di alludere all’«opera comune» di Nikolaj Fëdorov, come alla praxis aristotelica, la cui metafisica è chiamata in causa nella sentenza secondo cui «Tutti gli esseri viventi tendono all’inazione» (p. 29).
Nel brevissimo, oracolare scritto, viene esposta la verità originaria della pigrizia e la maledizione del lavoro intrinseca alla cosmogenesi stessa, come «follia di Dio liberato, che si rifugia nel riposo» (p. 11). È Dio infatti il pigrone dei pigroni, e l’universo la suprema delle inerzie: nel principio creazione e fatica sono inesorabilmente antitetici, e se qualcosa si genera è solo per alleggerirsi una volta per tutte dalla gravità dell’opera. La len’ vale allora come il non-attaccamento della Bhagavadgītā (II, 47), l’indifferenza equanime al frutto dell’azione, sola garante della rottura della catena della causalità. Al fondo dell’universo Malevič scorge insomma un sabato eterno, lo sbadato bivacco di un Dio «non detronizzato», che non governa né opera, perché fondamentalmente estraneo alle metafore della produzione platonico-cristiane, nonché marxiste. La sua inazione emancipata dall’effetto si riflette solo nel «bianco libero abisso» dello specchio suprematista: a un tempo azione pura (cistomo dejstvo) e assoluta nullafacenza: theōria infinitamente neghittosa, in cui essenza, attività e conoscenza coincidono definitivamente.
Come in altre profezie suprematiste, il télos della creazione è la compiuta autotrasparenza, il disvelamento della «non-oggettività» universale, sola libertà delle forme. Anche qui una «nuova nascita eterna» attende l’uomo oltre il termine e gli scopi della scienza: saputo il mondo, infatti, «avrà inizio una nuova inazione, divina, un non-stato nel quale l’uomo scomparirà, perché entrerà nell’immagine suprema della sua destinazione perfetta» (p. 33). Tale è l’autoproduttività pura, quella che Ciolkovskij chiama samozarozhdenie: autogenerazione spontanea, né naturale né tecnica, né attiva né passiva. La nuova coscienza cosmica inaugura altresì una nuova fisica (pridoestestvo), che ingloba l’architettura incarnandosi nell’orbita anulare di organismi gravitanti, intelligenze satellitari quasi-angeliche. La tecnologia penetrerà infatti «negli elementi della natura e nel corpo, come accade nel respiro» (ibid.), e i congegni suprematisti, più vivi dei viventi, spiccheranno il volo nello spazio. Come alle cornacchie di Kafka, dopo tutto, il cielo è precluso a chi non diventi cielo, a chi sia altro dal cielo.
L’esperienza finale di puro ozio e puro sorvolo, che «è un sogno ed è la morte» (p. 40), condotta nello spazio diafano, ribadisce la piena identificazione tra sorvolante e sorvolato: non c’è propriamente un soggetto del volo, come non ci saranno più cosmonauti, né goffe macchine a motore, ma solo il sognare infinito di un universo cefalizzato, come la tranquilla marea dell’oceano di Solaris. In un manoscritto coevo, Malevič caratterizza così l’estasi cerebrale: «Tutti i processi cosmici si compiono nella testa… Nell’uno come nell’altro nulla si lascia separare o congiungere perché tutte le rappresentazioni e opinioni sono sempre tutto me stesso, dovunque e in nessun luogo» (Suprematismo, Milano 2000, p. 191). Tanto l’inazione onirica quanto il movimento ubiquo del voloindicano quindi la medesima liberazione delle energie vitali dalle pastoie degli oggetti e degli scopi: il soggetto cosmico non può che volare, come la parola «volava» nello zaum cubofuturista, riconquistata la sua espressività immanente, il suo significare immediato.
La len’ suprematista compie fino in fondo il processo di liberazione dello spazio iniziato a Pietroburgo nel 1913 con la Vittoria sul sole (Pomeda na solnzem): non solo la forza di gravità, ma tutti i vincoli materiali e simbolici del pianeta vengono sciolti nell’annullamento di ogni normatività. La vetusta autorità solare cede a un’albedo violenta: vero volto di Dio oltre le maschere della tradizione, azzeramento di ogni autorialità secondo il progetto radicale di Fëdorov. Così l’inazione dischiude ugualmente un mondo «senza capi e governanti», dove la perfetta autonomia della vita toglie la vita stessa, indistinta dalla morte nella requie noocosmica. Ancora un volo e un sogno sanciscono la fine della metafisica classica e l’aurora di una cosmopolitica sconfinata, proprio perché ubiqua: lo spazio sbloccato e aperto da Malevič viene restituito finalmente alla sua assoluta immanente libertà.
Kasimir Malevič
L’inazione come verità effettiva dell’umanità
a cura di Antonella Cristiani
prefazione di Marco Tabacchini, con un saggio di Boris Groys
Cronopio, 2022
pp. 72, € 9
In copertina: Kasimir Malevič, Suprematismo, 1921-27 (particolare)