Chiara Bettazzi, l’orizzonte delle cose

15/03/2023

È visitabile su appuntamento (chorasis.spaziovisione@gmail.com) sino al 19 marzo, a Villa Rospigliosi a Prato, la nuova mostra di Chiara Bettazzi, Soggiorno, installazione site-specific a cura di Mirco Marino. Si tratta del primo risultato della residenza che Bettazzi svolge dal giugno dell’anno scorso nella storica villa della propria città natale. Per la cortesia dell’artista e dell’autore, proponiamo qui il testo del curatore in catalogo.

Pesche precoci
eravamo pesche senza valore sui rami materni
ora, sui rami che ci hanno adottate, siamo preziose

Marziale

Il presente

Chiara Bettazzi lavora con gli oggetti. La pratica si sviluppa tra scelta e intuizione attraverso un processo prettamente formale. La scelta è quella della cosa possibile, l’intuizione è quella del luogo potenziale. Così ad ogni cosa pertiene un proprio spazio, ogni oggetto merita di occupare il proprio luogo. Le cose le crescono allora davanti, si sviluppano, si ri-generano a partire da una poetica visiva legata a una pratica gestuale che risiede su quella soglia tra consueto e alienato, tra quotidiano e anomalo.

L’opera dell’artista ridefinisce il valore dell’oggetto in sé attraverso l’accumulo ordinato e la composizione dell’inaspettato. Si tratta di un montaggio continuo di elementi eterogenei, che si scontrano e prendono il loro nuovo senso su quella faglia tra oggi e ieri, tra qui e là. La cosa organica o inorganica che sia è recisa dal proprio valore storico, asciugata dal sentimento del tempo che la attraversa in quanto reperto, per essere invece vissuta come materia.

In questa visione ogni cosa è il simulacro di sé stessa, ogni oggetto è guardato sotto una nuova luce, con nuovi occhi. Lo sguardo di Chiara Bettazzi non cade sul valore temporale dell’oggetto in sé quanto sul valore formale di quello stesso oggetto nello spazio. Le cose esistono allora al di là della loro storia, del loro tempo, per diventare parte, a partire dal loro valore materico ed eidetico, di una nuova storia e di un nuovo tempo, instabile e presente, quello dell’immagine.

Ogni opera dell’artista è infatti presente nelle tre possibili accezioni del termine: è presente nello spazio, occupa o ha occupato una posizione, è viva nella propria fisicità e proprio per questo possiede il movimento intrinseco della tensione artistica che l’ha creata; è presente nel tempo, momento istantaneo di un’esigenza formale intuitiva e immediata; è allo stesso tempo un presente, partendo dalla lontana tradizione della natura morta di epoca ellenica in cui con gli xenia, i doni dell’ospitalità, si sviluppa il primo esempio di rappresentazione delle cose.

Il gesto

L’oggetto è materia, sostanza manipolabile e punto di partenza formale per la composizione; ogni cosa vede il suo valore originario traslato dal gesto artistico. Il processo riguarda un modo nuovo di guardare all’oggetto, trasformando l’uso e il significato consueti per trovarne di nuovi. Così le cose non legano il loro valore alla funzionalità, bensì alla propria forma e alle potenzialità visive che questa suggerisce.

Un bicchiere in sé non è un contenitore, uno strumento che accoglie liquidi e permette di dissetarsi, un bicchiere è vetro trasparente, sostegno per una pila di piatti, teca per un altro elemento, lama affilata, vaso di fiori. Il pensiero artistico che sostiene la pratica è allora per astrazione. Chiara Bettazzi astrae l’oggetto sia nelle forme essenziali che dal proprio contesto, per ricontestualizzarlo in modo che la cosa sia riconoscibile nel dettaglio e de-semantizzata nel complesso.

La traslazione del senso è sempre delicata e accennata, ogni oggetto mantiene la propria forma, il proprio aspetto generale, ma è in un movimento de- e ri-contestualizzante che questo assume significati diversi. Il montaggio imposto si basa su due modalità presentative e rappresentative che ricalibrano il senso: da un lato la disfunzionalità dell’oggetto, vicina alle poetiche oggettuali novecentesche, dall’altro la comprensione della spazialità del senso. Ogni cosa assume le forme e funzioni che lo spazio attorno le suggeriscono, così lo stesso bicchiere è per bere se si trova in una cucina, è un porta-spazzolino da denti se questo si trova sul bordo di un lavandino. Lo spazio allora non è mai neutrale, si insinua nelle modalità percettive e interpretative, ed è protagonista, assieme all’oggetto, della pratica artistica di Chiara Bettazzi, che vede allora nelle idee di spostamento e trasformazione dei punti chiave della propria ricerca.

È proprio la dislocazione degli oggetti in ambienti a loro non familiari, il movimento che questa implica nella dinamicità generale del lavoro, a rappresentare una modalità pratica che è parte essenziale della poetica. L’attenzione posta sul processo è segno di una performatività intrinseca nel lavoro dell’artista. Chiara Bettazzi ha d’altra parte sempre sfidato la fissità del mondo nel proprio lavoro così come nel genere della natura morta, come dimostrano le importanti opere dei cicli Equilibri precari e Aste.

I mondi creati sono vivi nel movimento continuo della propria instabilità, si danno a vedere come istanti di un tutto, pronti a cedere, a cadere e scomporsi nell’informalità. La narrazione che si crea è allora parte di una dinamica sospensiva, in cui le cose non hanno solo un proprio spazio ma anche un proprio tempo. Sono lì per un secondo, o forse per sempre. In attesa che in silenzio e senza preavviso cadano giù, come per loro volere, come se la forza estetica del mondo, in quel momento, proiettasse il proprio desiderio visivo.

Il movimento interno delle nature morte è eco dell’artista attorno alla composizione. Chiara Bettazzi si muove con l’opera nello spazio, dà vita a una performatività attorno all’atto di creazione. Così il processo diventa parte del lavoro, la nascita dell’opera diventa parte della sua vita, conservandone le tracce nella tensione costante che l’istanza creatrice ha posto. È un processo all over in cui lo spazio è finito e infinito allo stesso tempo, in cui i margini sono sempre dettati da esigenze formali piuttosto che contenutistiche. È un all over in cui la superficie è il mondo e lo spazio che sta tra le cose è riempito dal gesto calibrato e precario che è in fondo sempre segno minimo di una performatività presente e trasformativa.

La fotografia è vissuta allo stesso modo. Scattare fotografie delle proprie composizioni è una pratica che compare inizialmente nel lavoro dell’artista come necessità documentativa del presente. Nella ricerca si è successivamente sviluppata come momento distinto rispetto all’installazione, poiché le due vivono su due spazi diversi, quello presentativo e quello rappresentativo. La tendenza a convogliare i due spazi sullo stesso piano prende parte a quella tensione generale verso la reale presenza spaziale che si avverte costantemente nei lavori di Chiara Bettazzi. Così nasce la ricerca del 1:1, della rappresentazione identica dello spazio nello spazio. Questa sembra essere una modalità quanto una necessità per non lasciare che il fotografico suggerisca una finzione, una narrazione ma che sia sempre il più vicino possibile a ciò che appare, sempre il più vicino possibile allo spazio e al tempo del gesto. D’altra parte, è chiaro che questa distanza, per quanto infinitesimale, è sempre presente, e non fa altro che dimostrare che il grado zero del fotografico non può esistere, che ogni fotografia è rappresentazione, narrazione di un mondo diverso da quello da cui nasce, istante limite di ciò che vive e sopravvive negli spazi del futuro. La dimostrazione, infine, di quella distanza che c’è tra il mondo e tutti i discorsi che lo raccontano.

È proprio attraverso la comprensione della dimensione rappresentativa dell’immagine, che la fotografia da documento diventa un nuovo oggetto, una nuova cosa che necessita di una propria condizione spaziale per essere opera. Così nella pratica installativa di Chiara Bettazzi non c’è distinzione tra fotografia e oggetto, sono trattate come materia di trasformazione spaziale, entrambe con la loro intrinseca indicizzazione di altri mondi e di altri tempi che nel montaggio complessivo si combinano in una relazione profonda sostanzialmente visuale.

Il mondo

Soggiorno è un progetto installativo site-specific di Chiara Bettazzi per gli spazi di Villa Rospigliosi. Il processo artistico che ha portato alla definizione di una mostra compiuta ha avuto inizio con una mappatura preliminare tanto dei luoghi della villa quanto degli oggetti che li abitano. È stato così possibile individuare quegli spazi che sono a loro volta dei mondi a sé, in cui il senso si sviluppa a seconda della loro architettura, della loro storia, di ciò che contengono e del modo in cui essi sono quotidianamente vissuti.

La comprensione dello spazio a partire dal sincretismo di ognuno di questi elementi ha portato alla decisione dell’artista, per la prima volta all’interno della propria ricerca, di intervenire sullo spazio unicamente con gli oggetti trovati nei luoghi della residenza. Questo le ha permesso di lavorare per sineddoche, l’oggetto diventa la parte del tutto, il rimando significativo che ha in sé tutte le caratteristiche del mondo da cui proviene.

La villa è diventata ben presto un grande sito di esplorazione, non della grande storia e delle epoche ma del vissuto. Attraverso gli oggetti stipati in armadi, lasciati in soffitta, impolverati nei ripostigli, Chiara Bettazzi ha ridato vita e tempo a delle cose il cui tempo era ormai infinito, e quindi indifferente. La natura quotidiana e dimessa degli oggetti scelti mira esattamente a de-identificare la preziosità storica del luogo, sovvertendo il significato di reperto e dando un nuovo valore a ciò che, nonostante l’essere stato parte di un proprio presente, era ormai caduto in disuso.

Le cose sono allora pensate come parte di un presente indefinito, il presente esatto della loro vita in quanto oggetti d’uso, che per similitudine prende forma nel presente esatto dello scatto fotografico. Nasce così il ciclo inedito Soggiorno, una serie di composizioni che interlacciano i più tempi presenti e i più spazi di provenienza in un unico momento. Un antico busto aldobrandino è posato su dei tappi di cristallo, un faldone dalla soffitta è piedistallo per un vaso di fiori in ceramica, un tubo di gomma acquista un carattere scultoreo nell’articolare la tensione del proprio materiale attorno a delle sedie.

Ogni cosa assomiglia a sé stessa, ma è in un montaggio continuo di tempi distanti, come di funzioni, che l’inaspettato prende forma e dimensione. Così oggetti da giardinaggio trovati in un garage inquadrano marmi ottocenteschi, delle piante trovate nel bosco germogliano tra i tubi in metallo di un carrello portapacchi. Il tutto crea un’immagine continua, che si espande e si contrae nella fattoria che l’artista ha scelto come luogo su cui intervenire. Le fotografie di grandi dimensioni sono momenti architettonici, visioni installative che si fondono con il loro nuovo contesto. La distanza tra presentazione e rappresentazione è posta al suo limite, caratterizzando la liminalità dello spazio e del tempo. Le fotografie di Soggiorno appaiono allora come vive in un paradosso: sono soglie verso un altro mondo e un altro tempo e nello stesso momento sono profondamente legate allo spazio che occupano e al presente.

In una nuova contrazione e distensione dello spazio una nicchia di grandi dimensioni si sviluppa in mostra in un unico movimento visivo, creando l’immagine iconica dell’intervento di Chiara Bettazzi nella villa. All’interno della nicchia su mensole in vetro invisibili, composizioni di oggetti, materiale organico e inorganico, gesso, cenere ed elementi carbonizzati fioriscono nello spazio. La nicchia di Soggiorno possiede il ritmo del gesto che l’ha creata, è dinamica ed evanescente nel costringere l’occhio a fare balzi alla ricerca del dettaglio fuori luogo, del mistero dietro alla tenda in plastica che lascia intravedere, della profondità del tempo. Non c’è niente di tutto questo, non esiste un sentimento mistico dietro alla composizione, non c’è religiosità occulta, ma solo oggetti, pezzi di quotidiano, intromissioni e interruzioni di spazi e di tempi che si confondono e si contraddicono, ma che infine rimangono sempre lì sulla soglia, a lasciarsi guardare nella loro banalità di cose e straordinarietà di opere.

Chiara Bettazzi non parla tanto dell’esistenza quanto della vita, ciò che crea è una sospensione perpetua. L’artista si muove nello spazio guidata da un pensiero formale, in cui l’oggetto asciugato da ogni sentimento d’affezione è status di un mondo nel mondo. È così che attraverso la collisione tra contenuto e forma, tra consueto e alienato, ogni opera diventa accesso a un’esplosione di mondi che sono e che sono stati.

La mostra Soggiorno mira in questo senso a restituire quel sentimento di liminalità dello spazio espresso dalle opere, rendendo chiaro come la ricerca di Chiara Bettazzi sia profondamente visuale, in una continua trasformazione del gesto in immagine.

Le fotografie dell’installazione sono di Margherita Nuti e Claudia Gori

Mirco Marino

(Prato, 1994) è un curatore indipendente. Laureato magistrale con lode in Arti Visive presso l’Università di Bologna con una tesi in Semiotica del Visibile / Visual Studies, la sua ricerca curatoriale si concentra sulla liminalità di spazio, tempo e relazioni. Dopo un’esperienza istituzionale di due anni col Comune di Prato, nel 2021 inizia la collaborazione con l’associazione culturale SC17 lavorando a progetti di mostre e come assistente curatore del progetto TAI-Tuscan Art Industry 2022. Scrive per “Artext”. Tra i progetti recenti: “Albedo” di Daniela De Lorenzo (Crumb Gallery, Firenze, 2023); “L’Apostrofo” di Daniela De Lorenzo (La Nuova Pesa, Roma, 2022); “TAI-How To / You Too”, direzione artistica di Chiara Bettazzi (SC17, 2022); “La Spirale della Vita” di Gianfranco Meggiato (istallazione pubblica, Piazza Santa Maria delle Carceri, Prato, 2022); “La Guerra” di Tony Gentile (Officina Giovani, Prato, 2022); “Intravisioni” di Giovanni Sanesi (Saletta Campolmi, Prato, 2021).

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