Una ragazza in un corpetto attillato color carne, la parte sotto plissettata, immobile e in apnea, col ginocchio sinistro a terra, braccia al petto in un gesto di raccoglimento, una collana e due bracciali nella parte superiore del braccio, forse delle scarpette, la capigliatura fluente mossa dal fluido acquatico. L’ultimo dettaglio è importante, unico indizio del milieu nel quale è immersa, diverso rispetto a quello aereo o terrestre degli altri personaggi. Che tale movimento sia sufficiente a rendere questa figura femminile una ninfa? È immersa all’interno di un acquario di circa tre metri per due, riempito quasi fino all’orlo di un’acqua che tende leggermente al verde a causa dell’illuminazione artificiale.

L’acquario è poggiato su un basamento elegantemente decorato da un telo. Ai due lati si riconoscono distintamente due figure maschili, mentre il pubblico percepibile sullo sfondo e all’estremità superiore danno l’idea di una sala gremita. Se la ragazza dà le spalle al pubblico, è facile immaginare che gli spettatori siano seduti tutt’attorno all’acquario e che chi, come noi, guarda questa immagine, diventa spettatore privilegiato, nella posizione ideale per esercitare il suo voyeurismo.
Apparentemente irrelata e incongrua è la figura a destra che dà le spalle all’acquario e alla donna pesce, con un frac e un bastone stretto tra le braccia. Si sovrappone a un ultimo elemento in primo piano, che ricorda un secchio con delle scope ma con le estremità simili a cunicoli; se due saltano immediatamente allo sguardo, un terzo è parzialmente coperto dall’uomo.
Culture physique ou la mort qu’il vous plaira è il titolo di questo collage di Max Ernst, pubblicato ne La Femme 100 têtes, un libro di grande formato (25x19cm) finito di stampare il 20 décembre 1929 e tirato in 1003 esemplari. Descritto come un “romanzo in 147 stampe”, riporta un’epigrafe criptica riguardo al contenuto: “De l’immaculée conception à X…’”. La Femme 100 têtes è il primo di una serie di tre romans-collages, volumi di collage riuniti da Ernst agli inizi degli anni Trenta, assieme a Rêve d’une petite fille qui voulut entrer au Carmel (1930) e Une semaine de bonté (1934).

Ernst compone quest’immagine sovrapponendo tre diverse fonti, di cui una continua a sfuggirmi. Di certo, la figura a destra proviene da “La Nature. Revue des sciences et de leurs applications aux arts et à l’industrie” del 1892; è un’illustrazione del principio della leva, con due uomini e una bambina su un cubo pronta, immagino, a prendere lo slancio e restare sospesa all’asta. Più promettente è l’altra fonte: un’illustrazione apparsa in diverse riviste che Ernst estrapola sempre ne “La Nature” (n. 486, 23 settembre 1882, pp. 269-270), in un numero di dieci anni prima. Qui si trovano, tra gli altri, articoli sull’illuminazione elettrica dei teatri di varietà parigini o sulla formazione di crateri sulla Luna. Non sorprende che a questa rivista collaboravano lo scrittore e divulgatore scientifico Guillaume Louis Figuier (il suo La Terre avant le déluge del 1863 sarà un’altra fonte di Ernst), e l’astronomo e scrittore di successo Camille Flammarion. Ispirerà, per citare qualche nome, Raymond Roussel, Marcel Duchamp, André Breton, Paul Eluard.

Lavorando a Les champs magnétiques (1919), in particolare al capitolo “Les Médiations”, Breton ed Eluard si divertono a sfogliare le pagine de “La Nature” guidati dall’istinto, cogliendo qui e là un’immagine o un testo e accostandoli in modo arbitrario. Breton parla al proposito di “télescoper”, un termine inglese entrato nel dizionario francese da una cinquantina d’anni e che, negli anni ottanta, attirerà l’attenzione di Paul Virilio (L’espace critique, 1984) per le sue due accezioni opposte: “examiner le lointain” (télescope) e “mélanger sans discernement” (télescoper). Per Breton è il termine adatto per descrivere il procedimento del collage e del détour che governa le pagine di Les champs magnétiques.
Ernst, Breton e Eluard consultano probabilmente l’antologia realizzata dal direttore de “La Nature” Gaston Tissandier, Les récréations scientifiques, ou l’enseignement par les jeux, Paris, Masson éditeur, 1880. L’articolo consultato da Ernst è La science foraine. Les acrobates plongeurs di S. Kerlus, seconda parte di un ciclo di quattro sulla “science foraine” (o scienza popolare) uscito nel 1882. I titoli rendono bene i temi trattati: Les femmes à trois têtes (n. 484, 9 septembre 1882); Les équilibristes (n. 488, 7 octobre 1882); Les décapités parlants (n. 493, 11 novembre 1882).
Nell’immagine riconosciamo infine il nome dell’autore, E.A. Tilly, o l’incisore su legno Barnabé Auguste Tilly (1840-1898), che espone col nome di Émile Tilly al Salon de Paris del 1870. Ad attirare la nostra attenzione è tuttavia la didascalia: Miss Lurline dans son aquarium – l’“acrobate plongeur” del titolo ha così un’identità. Accanto appare una figura maschile diversa da quella di Ernst, nonostante la somiglianza nei tratti e nell’abbigliamento. Rivolto verso l’acquario, tiene in mano un orologio da polso e un martelletto.

Un dettaglio che mi è rimasto oscuro finché mi sono imbattuto in un’altra versione della stessa immagine pubblicata su un’altra rivista, “The Picture Magazine”, nel 1893. La lunga didascalia ci permette di ricostruire con precisione quello che ha l’aria di essere uno spettacolo pubblico. Ecco la trascrizione:
MISS LURLINE IN HER TANK. Miss Lurline, in giving her performance, takes a deep breath, and lets herself sink to the bottom of the tank, where she kneels in the attitude shown in the illustration, while the conductor of the exhibition takes out his watch and counts the seconds, giving a blow with a hammer at every half-minute. ‘Half-a-minute – one minute – a minute and a half – two minute – two minutes and a half!”. In the midst of a silence broken only by the sound of the hammer the time seems everlasting, and it is a relief to be the spectators when the diver at length springs to the surface. In order to realize what it means to hold the breath for such a period, it is sufficient to make the attempt. One minute is beyond the power of most people, and very few, indeed, can reach a minute and a half
Il signore è quindi l’impresario di Miss Lurline, cui si deve l’orchestrazione di tale esperienza spettacolare ma anche temporale, come se nell’elemento liquido, ancor più se percepito coi piedi a terra e il corpo nell’atmosfera, il tempo scorra a una velocità diversa. Ora, Miss Lurline non se ne sta solo serafica, accovacciata sul fondo dell’acquario ma compie delle acrobazie, passando tra le gambe di una sedia, scrivendo su una lavagna e persino bevendo, sbucciando e mangiando una mela. I più increduli sospettano persino che ci sia un doppio contenitore o un gioco di specchi. Ad ogni modo queste attrazioni costituiscono solo i preparativi al numero rappresentato nell’immagine: “A un certo punto, la musica si interrompe, la giovane donna fa alcuni respiri profondi, poi si lascia calare sul fondo del suo acquario, dove si inginocchia a mani giunte”, scrive Kerlus.
Qui è circondata da una decina di creature marine, anche se l’immagine non è sufficientemente dettagliata per identificarli; si tratta probabilmente di pesci d’acqua dolce, perché all’epoca era difficile mantenere un acquario marino senza cambiare spesso l’acqua, di pesci non bentonici (che vivono ovvero sul fondo marino) la cui figura slanciata può far pensare a quella di un cavedano[1].
La versione apparsa su “La Nature” utilizzata da Ernst fa quasi sicuramente riferimento allo spettacolo al Cirque des Champs Elysées di Parigi, uno spazio di 1830 metri quadri progettato dall’architetto Jacques-Ignace Hittorff, incaricato di allestire gli Champs-Élysées, inaugurato nel 1843 e demolito nel 1899 (era stato concesso dalla città di Parigi per quarant’anni). Ce ne restano alcune foto, tra cui una scattata da Charles Marville (1816-1879) nel 1851.

Il numero proposto da Miss Lurline s’inscrive in una tendenza più ampia di acquari umani, che l’articolo di Kerlus coglie bene: “Da una decina d’anni a questa parte, a Parigi sono stati esposti quattro o cinque subacquei, dai nomi più o meno acquatici, come l’Uomo pesce, l’Uomo anfibio, la Donna sirena, la Regina delle acque”. Tra questi si distingue il primo, che “fumava quasi interamente una sigaretta, ma senza espirare il fumo, si adagiava poi sul fondo dell’acqua e solo allora lasciava fuoriuscire dalla bocca una colonna di bolle grigie che risaliva fino alla superficie del liquido. La quantità di fumo così prodotta sembrava enorme. A intervalli il flusso di fumo si fermava, per poi ricominciare pochi istanti dopo, con grande sorpresa degli spettatori. […] Sul manifesto, questo esercizio era paradossalmente intitolato ‘fumare sott’acqua’”. Kerlus evoca anche il mito dei subacquei ioni e siciliani che recuperarono gli oggetti di valore trascinati in fondo al mare durante la battaglia navale di Navarin nel 1827; secondo la leggenda questi uomini erano in grado di restare sott’acqua tra i cinque e i dieci minuti, uno di loro persino quindici.
Difficile dire chi era Miss Lurline. Probabilmente era di origine nordamericana, come sospetto dal nome (lure vuol dire attrattiva, seduzione, richiamo) e dal fatto che riprende il titolo di un’opera lirica romantica del compositore e musicista irlandese William Vincent Wallace, Lurline (1860), rappresentata nello stesso periodo in Inghilterra e negli Stati Uniti e in parte ambientata in una grotta marina sotto il Reno.

Difficile inoltre ricostruire le rappresentazioni del suo spettacolo, proposto in diversi Stati e in diverse occasioni nelle stesse città, segno del successo suscitato dalla sua attrazione. Forse lo promuove al Barnum nel 1876 (perlomeno è la prima rappresentazione che ho trovato), in anticipo sulla nuotatrice Agnes Beckwith. In una vera e propria tournée, si produce inoltre al Teatro Tivoli di Barcellona e al Teatro Español di Madrid nel 1877; il 10 marzo 1883 ne parla anche “Scientific American” (dove ritroviamo la solita immagine), e negli anni 1890 è all’Oxford Music Hall.

A Parigi un numero simile sarà ripreso nell’aprile 1957 da alcuni subacquei detti “hommes-grenouilles” con una dimostrazione d’immersione sottomarina in un annesso del Cirque Medrano. Ma siamo ormai all’epoca di Jean-Yves Cousteau (il suo Le monde du silence, acclamato da André Bazin, è del 1956)– cioè in un’altra era della rappresentazione degli abissi marini.

Se restiamo a Parigi, lo spettacolo di Miss Lurline viene rappresentato senza dubbio il sabato 22 luglio 1882 al Cirque d’été, come testimonia l’affiche, piena di dettagli preziosi. Apprendiamo che lo spettacolo segue i numeri di una troupe di musicisti, di un imitatore di animali e disegnatore (Segommer), di un mago (Felicien Trewey), di un intermezzo con un clown, che comincia alle 20:30 ma che Lurline, denominata “la reine des eaux”, entrerà in scena solo alle 22. Si tratta di uno spettacolo acquatico quanto notturno, come se a essere messa in scena non fosse la superficie dell’oceano ma i suoi abissi insondati.
Quello di Miss Lurline è insomma un fenomeno molto ampio e articolato, e l’articolo su “La Nature” consultato da Ernst includeva degli esempi non solo occidentali, come i pescatori di spugne, madreperle e ostriche perlifere nel Mediterraneo, nel Mar Indiano e nel Golfo del Messico. Penso qui alle Haenyeo, una comunità di donne coreane che vivono in prossimità del mare e, senza alcun supporto, pescano prodotti marini come le alghe Ecklonia cava. Un contesto restituito, tra ecologia e colonialismo, da un’installazione all’ultima Documenta di Kassel (Seaweed story, 2022) dal collettivo IkkibawiKrrr (Ikki: muschio; bawi: roccia; krrr: onomatopea per qualcosa che si sgretola o rotola).
Torniamo per un’ultima volta a Ernst: chiarita la triplice fonte dell’immagine possiamo apprezzare ancor più la tecnica utilizzata, molto delicata, richiedente particolare destrezza a causa delle contraintes materiali: “découpage preciso, accordo perfetto delle parti in modo che non siano visibili le giunture, l’eterogeneità del materiale da aggirare”[2]. Rispetto ai collage cubisti, quelli di Ernst sono molto meno riconoscibili in quanto collage.
I nodi non sono tuttavia tutti sciolti, se riveniamo al titolo. Culture physique ou la mort qu’il vous plaira: se è facile associare la “cultura fisica” all’attività circense di Miss Lurline e l’evocazione della morte ai rischi dovuti all’apnea prolungata, non è chiaro cosa avrebbe di piacevole questa morte. A meno che l’artista alluda a quel pubblico discretamente rappresentato nell’illustrazione ma per cui è stato allestito lo spettacolo e che, in modo inconfessabile, sospetta – e, negandolo a se stesso, auspica – che Miss Lurline sopravvaluti le sue capacità di resistenza in apnea sott’acqua. Di certo assistono a uno spettacolo ansiogeno, come diremmo oggi.
Cercare lumi nell’introduzione de La femme 100 têtes è una mossa avventata, perché a firmarla non è altri che André Breton, il primo ad ammettere che queste pagine “testimoniano un’agitazione tanto più straordinaria che il pretesto di tale agitazione ci sfugge”. Breton procede per suggestioni, quasi per flash: il collage di Ernst mostra anzitutto la scena di un crimine, non uno qualsiasi quanto “la ricostruzione incredibilmente meticolosa di una scena del delitto a cui assisteremmo in sogno, senza interessarci in alcun modo al nome e ai moventi dell’assassino”. In seguito evoca una statua interrata e, infine, un mondo sommerso, come quello di un acquario. “La Femme 100 têtes sarà, per eccellenza, il libro d’immagini di quest’epoca in cui sarà sempre più evidente che ogni salotto è sprofondato ‘in fondo a un lago’”[3]. Il riferimento va al modo in cui Rimbaud vedeva l’allucinazione (Une saison en enfer).

Nel 1927 Ernst dipinge Forêt che, a dispetto del titolo e secondo la lettura di Pamela Kort, rappresenterebbe il fondo dell’oceano. Ernst s’ispirerebbe a un passo di Ventimila leghe sotto i mari (1868) di Jules Verne, dove i coralli ricordano foreste pietrificate. Due anni dopo Ernst recita ne L’âge d’or di Louis Buñuel e realizza il collage con Miss Lurline. Nella sua figura possiamo facilmente riconoscere le altre donne anfibie che ossessionano l’immaginazione dei surrealisti, dalla Faustine di Raymond Roussel alla Jacqueline Lamba di Breton. Il desiderio che Lurline porta scritto nel nome è calato in fondo al mare o, perlomeno, in un acquario.
In copertina: Max Ernst, La puberté proche… (ou Les Pléiades), 1921
[1] Ringrazio Nicoletta Ancona, conservatrice dell’Acquario e Civica Stazione Idrobiologica di Milano per queste precisazioni.
[2] Manuel Chemineau, Fortunes de “La Nature”, 1873-1914, Berlin, Lit Verlag, 2012, p. 258. Cfr. R. Venturi, Max Ernst l’incontemporaneo
[3] André Breton, Avis au lecteur pour ‘La Femme 100 têtes’ de Max Ernst, in Point du jour (1934), in Œuvres complètes, t. II, édition établie par Marguerite Bonnet, Bibliothèque de la Pléiade, Paris, Gallimard, 1992, pp. 302-306.