In occasione della grande mostra Odor. Immaterielle Skultpuren al Museum für Gegenwartskunst di Siegen, in Germania (aperta il 18 novembre e visitabile sino al 26 febbraio; andrà poi al Ferdinandeum di Innsbruck, dal 27 aprile al 25 giugno), si è tenuto il convegno omonimo al quale hanno preso parte critici, studiosi e artisti di diversi paesi, fra i quali il nostro Luca Vitone: che ne ha approfittato per fare il punto su una pratica, la sua in quest’ambito, che dura da più di trent’anni. Proponiamo qui il testo italiano del suo intervento.
Mi piace usare il termine odore e non uso mai il termine profumo. Usando odore mi sembra che ci si riferisca più direttamente a un aspetto naturale dell’esistenza e del paesaggio che la circonda. Profumo mi sembra più artefatto o comunque un termine che voglia ingentilire la questione; è come se, al contrario, usassi la parola puzza, che già definisce una situazione negativa, sgradevole. Odore è più neutrale, non prende posizione e indica il naturale fenomeno che la maggior parte degli elementi del mondo che ci circonda produce coinvolgendo non solo la vista e l’udito ma anche l’olfatto. A questo punto forse si dovrebbero citare anche il tatto e il gusto, ma sono due sensi che vanno più nello specifico, che vengono coinvolti quando si decide di approfondire un argomento. Con gli altri siamo abituati a convivere anche al di là delle nostre scelte, subendo il contesto che abitiamo. Anzi per essere più precisi, se non radicali, possiamo dire che si può vivere anche senza vedere o sentire ma senza odorare ci è impossibile perché significherebbe non respirare e in questo caso ci troveremmo in una condizione in cui non ci accorgeremmo più di niente.

Nel mio lavoro l’uso dell’odore si sviluppa in tre fasi distinte suddivise in tre diversi decenni. All’inizio, nel percorso di indagine dei luoghi per raccontare la realtà che ci circonda, dopo l’uso della cartografia e della musica popolare ho aggiunto tra i media utilizzati per produrre le opere anche il cibo, che inevitabilmente ha un odore e involontariamente riempie lo spazio in cui l’opera è esposta. La prima volta che ho presentato Pratica del luogo è stata per una mostra nel 1992 al Castello di Rivara, nel Canavese vicino a Torino. Ma questo odore lo si potrebbe considerare come la naturale conseguenza di un materiale usato per la produzione di un’opera esposta in uno spazio, come l’inevitabile odore di trementina di una pittura a olio o quello di legno di una scultura lignea, con la sola differenza che in questo caso non ci si pensa perché lo si considera un sottinteso effetto del materiale pittorico e della scultura, mentre per il cibo, essendo fuori contesto, se ne rileva il particolare.

Successivamente nel 2000, per una mostra personale al Palazzo delle Esposizioni di Roma, Stundàiu, ho presentato un’idea di opera totale in cui venissero coinvolti i cinque sensi. Era qualcosa che avevo già sperimentato nel 1994 con Der unbestimmte Ort a Colonia presso la Galerie Christian Nagel e in Wide City nel 1998 per la mia prima personale in uno spazio pubblico all’Open Space di Milano. Ma a Roma il progetto era più esplicito e volendo raccontare un luogo nella sua complessità e scegliendo di parlare di Genova, mia città natale, ho pensato di presentare opere che coinvolgessero letteralmente i cinque sensi. La ricostruzione di una “creuza”, tipica strada extraurbana solitamente in salita, come obbligatorio passaggio per accedere alla mostra, in riferimento al tatto, un’opera composta da diverse fotografie, un piccolo libro e una scultura riguardo alla vista, un video con protagonisti degli interpreti di musica popolare per l’udito, un corso di cucina per il gusto e un odore di mare per l’olfatto. In questo caso si è riprodotto un elemento naturale facilmente riconoscibile scegliendo un odore di mare oleoso come quello che si sente in un porto, che è quello che avverto ogni volta che arrivo a Genova e scendo dal treno nella stazione ferroviaria di Piazza Principe.

L’anno successivo ne produco uno di bosco per un libro/opera pensato a quattro mani con Monica Carocci dal titolo Rime boscose e altri racconti, pubblicato in occasione di una collettiva presso il Palazzo delle Papesse a Siena e anche qui propongo l’odore di un elemento naturale riconoscibile che impreziosisce un altro oggetto tangibile. In queste due occasioni mi sono avvalso dell’aiuto, grazie a Tania Gianesin, direttrice dell’allora Università dell’Immagine di Milano, di una multinazionale dell’essenza, la Dragoco, che ne ha anche sponsorizzato la produzione.
Infine, in occasione della Biennale di Venezia nel 2013, per il Padiglione Italia, ho presentato un’opera dal titolo per l’eternità per cui ho prodotto l’odore dell’eternit, il materiale, che non ha odore, composto da cemento e amianto, inventato all’inizio del Novecento, che per tanti anni ha risolto in modo economico varie soluzioni costruttive per l’edilizia e che negli ultimi decenni del secolo si è accertato essere dannoso alla salute, perché i quasi invisibili frammenti della polvere di amianto presenti nell’eternit attraverso le vie respiratorie entrano nei polmoni e dopo un’incubazione di circa trent’anni producono un tumore maligno chiamato mesotelioma, che nel giro di qualche anno porta a una morte certa. All’inizio del millennio in Europa ne è stata proibita la produzione con l’intenzione di smaltire quello presente nel continente, ma il materiale viene ancora prodotto e commercializzato in altri continenti dove la salvaguardia della salute del cittadino segue altri criteri.

Con questa idea inizia una riflessione sull’odore come scultura che definisce il mio rapporto con questo media e che si sviluppa successivamente con l’odore del potere, Imperium, per una personale al Neue Berliner Kunstverein nel 2014, e quello del vaiolo, A tale of forked tongues, presentato al Museo di Arte Contemporanea di Siegen nel 2022.
Per questi progetti mi sono avvalso di un naso e in Maria Candida Gentile ho trovato la complice giusta a cui chiedere aiuto. Ci siamo conosciuti grazie al progetto per la Biennale di Venezia e fin da subito è nata un’intesa che mi ha permesso di presentare un’opera come me l’ero immaginata avviando una collaborazione che in questi dieci anni ha prodotto quattro opere. Alle tre già citate bisogna aggiungere che nel 2022 in occasione di una mostra al Museo Novecento di Firenze, ne abbiamo prodotto una dedicata a Filippo De Pisis, Il gladiolo fulminato. Omaggio a Filippo De Pisis, per la quale ci siamo immaginati che odori avesse sentito il pittore mentre lavorava al quadro.

In questa serie di opere ho voluto produrre degli odori di materiali o elementi che di per sé non ne hanno uno specifico, per cui bisogna immaginarselo e crearlo mediante una operazione costruttiva e modellata come comunemente si fa per realizzare una scultura. Bisogna aggiungere che nel nostro ambito, quello delle arti visive, per tradizione quando entriamo in una mostra siamo abituati a vedere qualcosa che occupa lo spazio e un suono o un odore spesso li percepiamo come elementi ornamentali che arricchiscono l’immagine esposta. Per cui ho deciso che quando presento un odore, questo va esposto senza altri elementi presenti nella sala in cui espongo.

Mi piace pensarla un’operazione che si confronta con la tradizione minimalista, proprio guardando al Minimalismo che nasce con la mostra Primary Structures nel 1966, così come le mie pitture, eseguite con le polveri di interni, gli agenti atmosferici e altri non-pigmenti o anti-pigmenti prodotti dai residui del nostro consumo quotidiano come le ceneri di termovalorizzatore e la plastica, si riferiscono alla pittura monocromatica di tradizione modernista. Mentre per la pittura è proprio l’anti-pigmento a metterne in discussione lo statuto, per la scultura e la sua monumentalità è la resa invisibile di un elemento pervasivo e insidioso a mettere in discussione l’elemento oggettuale della tradizione scultorea.
Inoltre vorrei aggiungere che l’odore è ancora, almeno fino a oggi, l’elemento resistente al dominio digitale. Ormai siamo abituati, soprattutto i giovani, a vedere le mostre, come il resto del mondo, attraverso uno schermo. Quadri, sculture, fotografie, video, performance, suoni e musiche si possono fruire anche attraverso il display e il diffusore acustico di un dispositivo telefonico, per sentire l’odore bisogna ancora recarsi sul luogo.

Ed è per questo che anche per la collettiva Odor, al Museo di Siegen, nella sala visivamente vuota si trova solo l’odore di A tale of forked tongues, un progetto che mi piace pensare come la terza tappa di un trittico che ragiona sull’idea del potere e sull’autorità che lo esprime nella nostra modernità. Il Capitale rappresentato da quel prodotto industriale chiamato eternit che ha plasmato il paesaggio umano con la sua pericolosità non detta; il potere come espressione dello Stato, sintesi di un’autorità economica, politica, giudiziaria e culturale che condiziona la vita quotidiana del cittadino; il militarismo nel suo aspetto prevaricatore e devastante della realtà ambientale e umana.
L’opera racconta un fatto avvenuto nel 1763 nella regione dei grandi laghi nel nord America quando l’esercito britannico, durante la cosiddetta Guerra di Pontiac, ha pensato di donare delle coperte militari e dei foulard agli indiani Ottawa. L’aspetto militare è dato dal fatto che quei tessuti si sono rivelati delle armi improprie, essendo stati contaminati con il virus del vaiolo, che non ha odore, serviti per eliminare il nemico nativo di quel territorio, composto prevalentemente da vecchi, donne e bambini, essendo la maggior parte dei maschi adulti o morta in battaglie precedenti o lontano per organizzare la resistenza.

Il progetto non racconta solo dell’inizio della moderna guerra batteriologica, nell’antichità si catapultavano corpi in putrefazione nelle città assediate o si avvelenavano le acque con dei cadaveri, ma si narra dell’ipocrisia, uno degli aspetti più negativi del carattere umano. In questo caso, cioè, nel fatto che ci si mostra generosi nell’offrire un regalo che in realtà porta alla morte. Un aspetto che ha sempre accompagnato l’evoluzione dell’umanità dal dono del cavallo di Troia alle docce presenti nei campi di concentramento.
A proposito vorrei ricordare che Adolf Hitler nel suo Mein Kampf si avvale di tre esempi che lo hanno influenzato per spiegare come ci si comporta con chi si considera nemico. Il primo è l’atteggiamento di Benito Mussolini con gli oppositori politici, con cui non si discute, ma si eliminano. Il secondo è quello dell’Impero Britannico che ha creato il campo di concentramento per rinchiudere i Boeri in Sudafrica all’inizio del Ventesimo secolo e il terzo è rappresentato dagli Stati Uniti d’America, che per risolvere il problema di una popolazione già presente sul territorio che rallenta il progresso della nazione, ne decide lo sterminio. La cosa paradossale è che nel primo di questi tre Paesi nasce il Diritto Romano, nel secondo viene redatta la Magna Charta e nel terzo avviene la rivoluzione liberale che fonda la principale Repubblica Democratica dell’era contemporanea.
Per chiudere potrei dire che visto il periodo che stiamo vivendo, tra pandemie e guerre, questo racconto certamente non è né confortante né piacevole, ma non credo che l’arte debba per forza avere queste caratteristiche. Anzi direi che l’opera debba essere una forma di resistenza estetica, che proponga storie problematiche raccontate in una forma che metta in discussione la stessa idea di arte.
ELENCO DELLE IMMAGINI
Fig. 1: Luca Vitone, Pratica del luogo (Rivara), 1992
Veduta della mostra presso Castello di Rivara, Torino, 1992
Cibi, bevande, brochures in distribuzione
Courtesy l’artista; Galerie Nagel Draxler, Berlin- Köln-München; Galerie Michel Rein, Paris-Bruxelles; Galleria Rolando Anselmi, Roma-Berlin
Fig. 2: Luca Vitone, Crêuza, 2000
Veduta dell’opera presso Palazzo delle Esposizioni, Roma, Stundàiu, 2000
legno, mattoni, pietre, 360 x 120 x 830 cm
Courtesy l’artista; Galerie Nagel Draxler, Berlin- Köln-München; Galerie Michel Rein, Paris-Bruxelles; Galleria Rolando Anselmi, Roma-Berlin Fotografia: Giulio Buono
Fig. 3: Luca Vitone, Der Unbestimmte Ort, 1994
Veduta dell’inaugurazione della mostra presso Galleria Christian Nagel, Köln, 1994; Courtesy l’artista; Galerie Nagel Draxler, Berlin-Köln-München. Fotografia: Andrea Stappert
Fig. 4: Luca Vitone, Imperium, 2014. Scultura olfattiva realizzata in collaborazione con Candida Gentile
Veduta della mostra presso Neue Berliner Kunstverein, Berlin, 2014
Resina di benzoino, cedro, costus, hyraceum, acqua, alcol, due macchine erogatrici
Dimensioni ambientali
Courtesy l’artista; Galerie Nagel Draxler, Berlin- Köln-München; Galerie Michel Rein, Paris-Bruxelles; Galleria Rolando Anselmi, Roma-Berlin
Fotografia: Jens Ziehe
Fig. 5: Luca Vitone, Il gladiolo fulminato (Omaggio a Filippo De Pisis), 2022
Scultura olfattiva realizzata in collaborazione con Candida Gentile. Veduta della mostra presso Museo Novecento, Firenze, 2022.
Acqua, alcohol, accordi di fiori e gambi, garofano, burro di iris e galbano, accordo di venti, due macchine erogatrici Dimensioni ambientali
Courtesy l’artista; Galerie Nagel Draxler, Berlin- Köln-München; Galerie Michel Rein, Paris-Bruxelles; Galleria Rolando Anselmi, Roma-Berlin
Foto: @ElaBialkowskaOKNOstudio
Fig. 6: Luca Vitone, La stanza della memoria, 2013
Fotografie a colori, dittico, ogni foto 30x 40
Archivio AFeVA, Associazione Familiari Vittime Amianto
(Le cartelle bianche sono i lavoratori Eternit deceduti, quelle rosse i cittadini di Casale Monferrato deceduti) Laboratorio di Maria Candida Gentile
Courtesy l’artista; Galerie Nagel Draxler, Berlin- Köln-München; Galerie Michel Rein, Paris-Bruxelles; Galleria Rolando Anselmi, Roma-Berlin
Fig. 7: Luca Vitone, A tale of forked tongues, 2018-2022
Scultura olfattiva realizzata in collaborazione con Candida Gentile. Veduta della mostra presso Museum für Gegenwartskunst Siegen, Siegen, 2022. Scultura acromatica monolfattiva, acqua, alcohol, due macchine erogatrici
Dimensioni ambientali
Courtesy l’artista; Galerie Nagel Draxler, Berlin- Köln-München; Galerie Michel Rein, Paris-Bruxelles; Galleria Rolando Anselmi, Roma-Berlin
In copertina: Luca Vitone, Per l’eternità, 2013 – Scultura olfattiva realizzata in collaborazione con Candida Gentile. Scultura acromatica monolfattiva su tre note (nota di testa: rabarbaro svizzero essenza; nota di cuore: assoluta di rabarbaro belga; nota di fondo: rabarbaro Francia essenza), acqua, alcol, due macchine erogatrici. Dimensioni ambientali. Collezione Eric Guichard, London. Fotografia: Roberto Marossi