Lisetta Carmi, tutti i colori dell’umano

09/02/2023

In questa storia c’è una raccolta di quarantatré fotografie in bianco e nero tenute insieme da una custodia di cartone pesante, che nel 1967 comincia a fare il giro delle case editrici italiane. È un reportage sulla comunità dei travestiti e transessuali di Genova che Lisetta Carmi ha iniziato a scattare due anni prima. La Morena, la Gitana, Cristina, Adriana, la Bella Elena, Roberta: figure materne, procaci, androgine, sofisticate che ricevono tanti no, ma che davanti a un no non si arrendono.

Il libro si farà nel 1972, accompagnato da testi dell’autrice e di Elvio Fachinelli, grazie a un pubblicitario, Sergio Donnabella, che crea per l’occasione la casa editrice Essedì e mette i dieci milioni necessari a stampare tremila copie dei Travestiti. Oggi quell’edizione iconica, sopravvissuta al macero per la lealtà di amici e sostenitori, è introvabile e costosa. Con quella copertina rosa e il nudo a tutta pagina – per il progetto grafico di Giancarlo Illiprandi – il volume è stato consacrato a oggetto di culto tra i collezionisti; Martin Parr nel 2004 lo ha inserito in The Photobook. A History, vol. 1. Questa, in breve, l’avventura di uno dei libri fotografici più importanti del Novecento italiano. Più volte in passato era stato proposto a Carmi di ristampare il volume, ma la fotografa aveva sempre rifiutato.

Oggi, la pubblicazione a cinquant’anni di distanza delle fotografie a colori di quello stesso reportage ci restituisce un libro che ha lo stesso titolo di quello del ’72, ma è un libro diverso; in un certo senso non è nemmeno la stessa storia, o meglio è la stessa storia raccontata in un altro modo. Nel 2017 Giovanni Battista Martini ritrova una cartellina di diapositive a colori nella casa di Cisternino di Lisetta Carmi (dove si era ritirata nel ’79 per dedicarsi alla meditazione yogi), mentre lavora con lei a una mostra per il Museo di Roma in Trastevere. Scattate contemporaneamente alle foto in bianco e nero, alternando l’uso di diverse macchine, Leica, Nikon e Rolleiflex, Carmi pensava di aver perso queste diapositive Kodak in formato 6×6 e 24×36 mm; ritrovarle e rivederle ha restituito al ricordo la vividezza originaria. Il nuovo libro uscito per Contrasto a cura di Martini, all’indomani della scomparsa dell’autrice (a 98 anni, lo scorso 5 luglio), è in continuità coi Travestiti del ’72 e ne conserva il formato e il testo introduttivo originale.

Ma quel mondo fatto di scarpe di vernice e rossetti perlati, tra carta da parati scrostata e volti riflessi in specchi imprescindibili, che Lisetta Carmi ci ha svelato, emerge nelle foto a colori in maniera ancora più autentica. È il segreto di una visibilità che era sotto gli occhi di tutti, o forse è quel segreto che ha scelto a chi spiegarsi. Il segreto è quello di un corpo che nella fotografia si dà allo sguardo, che si rapporta al mondo e a sé stesso, soprattutto che viene preso in considerazione.

Quando Carmi iniziò a fotografare i “travestiti” di Genova, nel ’65, ricorda che «fu molto complicato, perché è difficilissimo entrare nel loro mondo, nelle case dove vivono, stabilendo dei rapporti veri. C’era molta diffidenza, soprattutto perché non volevano essere trattati come fenomeni da baraccone». La invitano a una festa di Capodanno dove ci sarebbero stati uomini che si vestivano da donne e donne transessuali della zona di Via del Campo, nell’ex ghetto ebraico (ebrea era pure Carmi, che nel ’43 era dovuta riparare in Svizzera per continuare i suoi studi musicali); qui scatta le prime foto e stringe delle amicizie che la portano a trasferirsi nel quartiere per poterne documentare la quotidianità. Per i successivi sei anni condividerà con quelle persone la loro vita domestica e selvaggia, dolente e festosa, quel mistero di cui la fotografa coglie subito il nodo di attrazione e repulsione: «Li ho subito sentiti come esseri umani che vivono e soffrono tutte le contraddizioni della nostra società come minoranza ricercata da una parte e respinta dall’altra». Di queste contraddizioni Carmi non sfrutta il potenziale provocatorio, piuttosto si fa strumento di persone che si mostrano al mondo come vogliono essere: con i loro corpi, i loro volti e i loro nomi, protagoniste e partecipi di un reportage pensato e voluto come progetto editoriale.

Provocatorie sono la normalità e la bellezza, l’intimità e la confidenza, l’occasione che si offre a chi guarda di poter stare ed essere ospite di questo femminile. Non è la nudità a sconcertare, ma il sentirsi esposti al problema dell’identità, della sua crisi e della sua affermazione. Tutti lottiamo per essere noi stessi, ma alcuni di noi devono lottare di più, «hanno però il coraggio di fare quello che fanno e di affrontare una realtà spesso drammatica e violenta». Se avesse dovesse scrivere oggi l’introduzione e scegliere un titolo per il suo progetto, Lisetta Carmi non avrebbe più uesato la parola «travestiti», che non tiene conto della complessità e della fluidità dei sentimenti, delle identità e delle appartenenze. Ma già allora era consapevole dell’impotenza del vocabolario e di quanto le parole siano fragili, a confronto delle immagini, nel campo delle rivendicazioni.

I suoi ritratti hanno la qualità estetica dell’editoriale di moda e insieme la profondità di un’esplorazione dell’umano; di cosa significava allora, ma anche di cosa significa, oggi, per noi. Un’indagine sui confini tra maschile e femminile condotta direttamente sulla propria pelle. L’influenza dei grandi miti tradizionali legati all’immagine della donna ma anche dei nuovi miti hollywoodiani, la sinuosità della figura che può promettere sesso e protezione, il trucco come gioco quasi infantile e come raffinato esercizio di cura per sé stessi, il colore come celebrazione e il gesto, la posa, lo sguardo come affermazione della libertà di esistere.

Mi diceva un travestito, riferendosi alla sua vita privata e non certo al suo lavoro: «Quando io ho un rapporto d’amore, non mi importa se è con un uomo o con una donna: è un essere umano che in quel momento mi dà se stesso e al quale io do me stesso». Una difesa dell’omosessualità? No. Forse è invece un’apertura verso rapporti umani più veri e più liberi e il rifiuto di rapporti standardizzati e violenti. E non è un caso che proprio lo stesso travestito, che anni fa appariva come una bellissima donna, oggi ha ritrovato la sua parte maschile, attende con gioia un figlio dalla donna che ama, e non fa più il travestito. La sua stata un’avventura umana, un ritrovarsi da solo con le sue sole forze, in una società che per difendere dei principi non è più capace di vedere gli uomini.

Lui e tutte le altre persone ritratte si sono date a questo libro con quello stesso spirito, si sono consegnate come un atto d’amore che è sempre un atto di forza. Tante avventure umane, con diversi sviluppi e diversi epiloghi, tanti corpi, tanti nomi, tante idee di donna e una sola domanda: «Chi sono?».

Lisetta Carmi
I travestiti. Fotografie a colori
a cura di Giovanni Battista Martini
Contrasto, 2022
160 pp. ill. col., € 39

Immagini: Lisetta Carmi © Martini & Ronchetti

Silvia Cammertoni

È dottoressa di ricerca in Studi Comparati. La sua inclinazione per la forma breve l’ha portata ad approfondire la scrittura saggistica, studiando soprattutto letteratura italiana contemporanea, critica letteraria ed estetica della letteratura. Sempre in cerca di analogie e contatti tra diverse discipline, coltiva numerosi interessi con attenzione particolare alla fotografia e alla storia della moda. Collabora con “Alias”.

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