A partire dalla privazione

23/01/2023

Quell’α posta al principio di un nome che alterava il nome stesso aveva un certo fascino. Era tra le prime lezioni di greco. Col tempo le particelle come dis-, in-, senza dimenticare l’annosa a-, hanno assunto un valore diverso: non solo segni linguistici, ma piccoli insiemi di lettere capaci di piegare il senso di quel nome oltre il crinale per farlo scendere, in basso, giù, verso il sottosuolo, verso le cantine, verso l’abisso. Quel nome, privato di qualcosa, si ridefiniva infatti su una condizione completamente differente, andando a plasmare una figura dal comportamento genericamente manchevole o una situazione ordinariamente deficitaria. A-politico, a-polide, dis-occupato, dis-interessato, in-attivo, in-operoso e via discorrendo.

Di una a-grammaticalità, costruita a partire da un’assenza, Gilles Deleuze e Giorgio Agamben hanno fatto una «formula di creazione»; così come Kazimir Malevič ha fatto del suo Quadrato nero l’inizio di una nuova era della visione e della conoscenza. Le sue teorie rivoluzionarie del resto non si sono esplicitate soltanto nella pittura, anzi: presto egli lasciò la pittura per la scrittura e consegnò alle parole probabilmente la parte più prolifica del suo pensiero. Nel 1921, qualche anno prima dell’abbandono definitivo, Malevič scrisse infatti un piccolo testo, destinato agli allievi dell’UNOVIS, il cui titolo – tradotto in italiano (Asterios 2012) dal francese La paresse comme verité effective de l’homme – è Linattività come verità effettiva dell’uomo. In qualunque modo si voglia tradurre paresse, il concetto che emerge dal pamphlet è comunque quello di un operare senza opera per il raggiungimento della pace e della felicità. Per quanto il concetto di paresse (nipote di otium) sia longevo, da quando le pratiche artistiche contemporanee sono divenute il prototipo del lavoro cognitivo, risorsa rinnovabile del mondo del turismo, dell’industria culturale, delle pubblicità, delle governance locali e nazionali, ha acquisito una connotazione simile a una negazione, un «rifiuto del lavoro» direbbe Maurizio Lazzarato.

Così, ritornando a L’inattività come verità effettiva dell’uomo, nella storia di rimandi, citazioni e ruberie proprie dell’arte contemporanea, capita che questo titolo venga ripreso quasi un secolo dopo: per un ciclo di opere di Giancarlo Norese ora esposte presso l’AF Gallery di Bologna, nella mostra Chimera. L’esposizione è stata pensata da Fulvio Chimento insieme a Norese e Filippo Falaguasta, gli artisti. La mostra è stata strutturata in due momenti: nel primo (dal 7 ottobre al 18 novembre 2022) è stato Falaguasta ad essere il protagonista, nel secondo (dal 25 novembre al 5 febbraio 2023) invece è Norese. Il dialogo a due voci, ben diretto da Chimento, prende le mosse dai due manifesti posizionati in vetrina, all’ingresso della galleria e visibili dall’esterno: Art is everywhere di Norese e Niente Titolo di Falaguasta.

Chimera, Falaguasta exhibition view

Diverse le opere che si sono susseguite nei mesi: fotografie, tele, oggetti di varia natura che, nonostante la formula eteroclita scelta, rimandano per entrambi gli artisti a un racconto di viaggio, il loro viaggio insieme e divisi nel mondo dell’arte in Italia e all’estero degli ultimi trent’anni. La loro è una ricerca concettuale e relazionale, principalmente, che fa del frammento e del particolare quotidiano il fulcro di una riflessione critica sulle dinamiche che investono l’arte e il ruolo dell’artista al suo interno. Così Falaguasta in Offerta di prestazioni (1990-91) elenca ventiquattro tipi di lavoro svolti nel tempo all’interno e in connessione al sistema dell’arte, come il cameriere durante l’inaugurazione della mostra di Cindy Sherman presso lo Studio Guenzani o il baby-sitter per Corrado Levi; ma anche il cuoco, l’elettricista, il fotografo di matrimoni o l’artista concettuale, il pittore figurativo e astratto, nonché l’amico intimo. Non sempre l’incarico è stato portato a termine, così in una fattura del 1997 si legge: «ammetto senza alcun timore di non essere stato in grado di realizzare nessun tipo di lavoro». Quando invece l’artista sceglie di operare da pittore, lo fa grazie alle competenze acquisite non tanto dentro le aule delle accademie quanto negli anni in cantiere, così la serie di quadri dipinti con calce a fresco su tela (2010-2020), se da una parte rimanda alla grande storia dell’arte e dell’affresco (con la riproduzione per esempio della Canestra di frutta di Caravaggio), dall’altra ne restituisce un’immagine sbiadita, cancerosa, piena di incrostature che inevitabilmente e quasi per magia ne restituiscono però l’aura.

Giancarlo Norese, Marxxx, 2015

Quando è il momento di Norese, risponde come di consueto mischiando il vissuto personale con quello artistico, mostrando un atteggiamento e non più un lavoro o soltanto un’opera. In Expertise Express (1997) per tre mesi, per esempio, si sostituisce a Massimo De Carlo per leggere il portfolio degli artisti che si presentavano alla sua galleria. In 51556 svizzeri residenti in Italia al 2015 secondo l’ufficio federale di statistica (2016) rappresenta per mezzo di cinque tele i dati affiorati dall’indagine proposta nel titolo: i numeri emergono spontaneamente una volta versato il colore sulla superficie, in quanto queste erano state precedentemente tracciate con olio di lino privo di pigmento. In Marxxx (2015) dipinge per tre volte, una sull’altra, un irriconoscibile giovane Marx e, se nel lavoro precedente procedeva per sottrazione, qui agisce in maniera contraria: è l’atto di apporre, e non di togliere, a dare forma a un ritratto completamente anomalo rispetto a quello canonico. Ed è sempre la pittura il mezzo utilizzato nell’Inattività come verità effettiva dell’uomo (2016): tele qualsiasi trovate nei bric-à-brac vengono spogliate dalle cornici dorate (posizionate poi accanto) e su ognuna di esse viene disegnato un quadrato rosso, simbolo di quella Vittoria sul sole così agognata da Malevič. Diverse, infine, le fotografie che testimoniano azioni fallimentari, come Unsichtbar Machen (My attempt at making lemon juice writings visible on the wall) (2013) e atteggiamenti che entrano in contrasto con l’immaginario comune, come in Starting with S (2006), la serie in cui l’artista veste i panni di un supereroe, ormai piangente.

Chimera, Norese exhibition view

La via sottrattiva dell’arte aperta da Duchamp più di un secolo fa, così come quell’α privativa, non hanno mai smesso di esercitare il loro fascino, ramificandosi non per una ma per mille strade che tutt’oggi vengono implementate da nuovi mattoni, non smettendo di interrogare chi sembra andare sulla giusta via, facendo del funambolo l’unico essere capace di camminare. Ed è proprio all’état d’esprit dadaista che si deve il passaggio successivo alla rottura con la tradizione proposta dalle avanguardie: ovvero l’innesto sull’operare senza opera di quell’atteggiamento che pensa criticamente al ruolo assunto dall’artista nella società, soprattutto se inglobato nella triade capitalista di produzione-produttività-produttore. Per tale ragione, come chiosa Lazzarato nel suo Marcel Duchamp e il rifiuto del lavoro (Temporale 2014), è ancora compito dell’artista contemporaneo non solo portare avanti le istanze e i diritti ereditati, ma perseguirne di nuovi che siano capaci di adattarsi «alle nuove modalità di sfruttamento del tempo costruendo delle forme di solidarietà capaci di impedire l’espropriazione dei saperi e del saper fare, evitando che le modalità di produzione siano dettate dal mercato».

Chimera, Falaguasta exhibition view

La poetica di Duchamp, come quella della «via al negativo dell’arte», è una poetica del tempo, del tempo ritardato, differenziato, che non vuole essere normalizzato in una scansione giornaliera o settimanale, ma vuole ritornare a fluire libero da categorie prettamente commerciali e schemi prestabiliti dal mercato e così, invece di far girare quelle lancette in senso orario, sceglie di bloccarle e invertirne il senso.

Giancarlo Norese con Filippo Falaguasta
Chimera
a cura di Fulvio Chimento
Bologna, AF Gallery
fino al 5 febbraio 2023

In copertina: Giancarlo Norese, L’inattività come verità effettiva dell’uomo, AF Gallery, Bologna

Serena Carbone

(1981) si occupa di storia e critica d’arte contemporanea, con particolare riguardo alla relazione che intercorre tra arte, storia e società. PhD in Studi Culturali Europei, è autrice del libro “Marcel Broodthaers. Poetiche dell’ombra” (Mimesis 2018). Ha curato la mostra “No, Oreste, No. Diari da un archivio impossibile” al MAMbo con la relativa pubblicazione (2019) e insegna presso la Fondazione Accademia Internazionale di Imola. Ha scritto saggi e articoli su diverse riviste di settore, collabora con il quotidiano “il manifesto”.

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