Misurare lo scorrere del tempo è una preoccupazione essenzialmente umana. A tale scopo, l’uomo ha sviluppato delle unità di misura, basate sul ripetersi ciclico di condizioni naturali simili, che gli consentissero di destreggiarsi nel flusso di accadimenti che, susseguendosi, determinano passato, presente e futuro.
Il tempo si rivela nei cambiamenti che avvengono nell’arco di una giornata, di una vita o di secoli. Lo spazio ne è testimone e porta su di sé le tracce della storia in modo più o meno visibile, registrandone il passaggio.
A Mantova, nel contesto di Palazzo Ducale, complesso il cui sviluppo architettonico inizia nel XIII secolo, è possibile visitare Pisanello. Il tumulto del mondo (fino all’8 gennaio 2023), un’esposizione che induce a una riflessione sullo stratificarsi del tempo.
Curata dal Direttore del Museo di Palazzo Ducale, Stefano L’Occaso, la mostra è divisa in due nuclei allestitivi e concettuali caratterizzati da scelte espositive differenti – al piano terra nelle stanze dell’Appartamento vedovile di Isabella d’Este e, al piano nobile, nella Sala dei Papi e nella Sala del Pisanello – e costituisce l’ultimo tassello di una storia intricata e complessa, che vale la pena accennare per comprendere la situazione attuale e le scelte espositive.

Storia di una scoperta
È il 15 ottobre 1972 quando l’allora soprintendente delle gallerie di Mantova, Giovanni Paccagnini, presenta al pubblico un’importante scoperta rinvenuta nelle stanze di Palazzo Ducale: un ciclo pittorico a tema cavalleresco attribuibile ad Antonio di Puccio Pisano, detto Pisanello (Pisa o Verona, entro 1394 – Roma ?, 1455). (Pisanello alla corte dei Gonzaga, Mantova, 15 ottobre – 26 novembre 1972)[1]
L’esistenza di questo ambiente è emersa nel 1888[2] grazie al rinvenimento di tre dispacci, datati 15 dicembre 1480, nei quali si richiedeva un intervento di urgenza nella «sala del Pisanello» a causa del crollo parziale del soffitto.[3] Oltre questa data non risultano, a oggi, altri documenti che menzionino la sala e la sua collocazione nel Palazzo. Solo nella seconda metà degli anni Sessanta Paccagnini, svolgendo dei sopraluoghi nella controsoffittatura ottocentesca, rileva la presenza di dipintura muraria compatibile con la maniera pisanelliana, individuando la «sala scomparsa».

Identificato l’ambiente, Paccagnini procede al recupero dell’opera di Pisanello, la cui conservazione, nel bene e nel male, è stata possibile anche grazie allo stratificarsi degli interventi murari occorsi nei secoli. Impiegando la tecnica dello strappo, lo strato affrescato nell’Ottocento è stato separato da quello quattrocentesco, così come il ciclo cavalleresco che, una volta messo in sicurezza su apposite pannellature, è stato riposizionato nella sua collocazione originaria.

La Sala del Pisanello nei secoli
Nei cinque secoli intercorsi, l’ambiente, situato nella corte vecchia, ha subito numerose trasformazioni. In origine la sala, a pianta rettangolare, presentava sul lato lungo tre grandi aperture archiacute in affaccio sul giardino, oggi pubblico, di Piazza Lega Lombarda, il cui profilo è tutt’oggi visibile all’esterno.
Sugli altri tre lati si trova un dipinto murario, dell’altezza di circa cinque metri, lungo il quale si sviluppa, senza soluzione di continuità, la narrazione delle imprese di dodici cavalieri impegnati nella ricerca del Sacro Graal, ispirata al romanzo cavalleresco del XIII secolo. Il tema ha un profondo legame con la città di Mantova storicamente devota alla reliquia del Sangue di Cristo: i Sacri Vasi del Preziosissimo Sangue di Gesù sono conservati nella chiesa di Sant’Andrea ed esposti al pubblico nel giorno di Venerdì Santo. Il soggetto cavalleresco è inoltre un espediente per elogiare il valore e le qualità del marchese Gianfrancesco Gonzaga e della sua discendenza.
L’opera, realizzata da Pisanello in più riprese nel corso dei vent’anni di rapporti con la corte dei Gonzaga, è rimasta incompiuta presumibilmente a causa delle tumultuose vicissitudini della vita dell’artista che gli sono valse l’esilio dalla città all’inizio degli anni quaranta del Quattrocento.
Si distinguono due tratti di disegno preparatorio (uno nero e uno rosso) e la parete verso la Sala dei Papi mostra un più avanzato stato di esecuzione. Qui è possibile apprezzare l’estremo naturalismo della rappresentazione, la delicatezza degli incarnati e l’umanità degli sguardi dei fanciulli che fanno capolino dagli elmi con le visiere alzate, elmi che nel progetto iniziale apparivano per la maggior parte chiusi. Si può notare come, per realizzare questo «arazzo parietale», l’artista abbia utilizzato tecniche miste, alcune delle quali proprie della pittura su tavola come la punzonatura e l’utilizzo della foglia d’oro.
Nel Cinquecento la quota del pavimento subì un primo importante ribassamento e gli affreschi, mai terminati e probabilmente ritenuti lontani dal gusto dominante, furono ricoperti da una decorazione in finto marmo; fu in questo periodo che l’ambiente cambiò la propria destinazione d’uso e assunse la nominazione di Sala degli Arceri. È databile 1701 la realizzazione di un fregio continuo di ritratti di esponenti della famiglia Gonzaga e la conseguente denominazione di Sala dei Duchi o dei Principi. Infine, agli inizi dell’Ottocento il fregio subì degli interventi di arricchimento decorativo di aggiornamento al gusto neoclassico.
Oggi come allora il ciclo pittorico costituisce il fulcro della mostra e gli interventi operati sull’ambiente sono funzionali al disvelamento dell’opera di Pisanello, seppure in modo differente: se prima, con un sapiente scavo nel tempo, è stato possibile riportare alla luce un ciclo cavalleresco che si credeva perduto, a cinquant’anni dalla sua riscoperta le sovrastrutture dell’allestimento attuale ne consentono una visione inedita.

2022: Ri-mostrare il passato
Per l’occasione, nelle due sale al piano nobile che ospitano gli strappi degli inserti murari – la Sala dei Papi e la Sala del Pisanello – le quote di calpestio sono state riportate all’altezza originaria grazie all’installazione di pedane in legno; inoltre si assiste alla riprogettazione illuminotecnica degli ambienti.
All’interno della Sala del Pisanello si trova un’architettura espositiva che ospita opere di piccole dimensioni come le medaglie estensi e i disegni di Pisanello provenienti dal Louvre di Parigi, in un confronto con gli studi preparatori di paesaggi e di alcune delle molteplici figure che popolano l’opera muraria.
Infine, due grandi touch screen consentono una visione dell’opera e della sala finora impensabile. Sul primo schermo il visitatore può indagare riproduzioni ad altissima definizione del ciclo murario, spostandosi all’interno della vasta superficie pittorica e zoomando a proprio piacimento fino al punto di rendere i dettagli più grandi della loro dimensione reale. Con il secondo schermo, grazie alla ricostruzione virtuale dell’ambiente a partire da fotografie dell’allestimento del 1923, il visitatore può calarsi all’interno della sala– Sala dei Duchi o dei Principi – com’era prima della realizzazione delle operazioni di stacco.

Pisanello, Testa di donna, 1430-1435, dipinto murale staccato, Roma, VIVE – Vittoriano e Palazzo Venezia
Un percorso disvelato
Il recupero del ciclo cavalleresco costituisce il filo conduttore dell’intera esposizione: il metodo utilizzato e i materiali impiegati nell’impresa – legno e garza di cotone trattata come intonaco – sono stati ripresi nella progettazione degli allestimenti temporanei: nella Sala dei Papi, che ospita lo strappo della scena del torneo, il procedimento è richiamato da totem esplicativi e dall’installazione di uno dei rulli utilizzati nelle operazioni di strappo; la garza intonacata è invece protagonista dell’allestimento al pian terreno.
Se gli ambienti al piano nobile sono caratterizzati da ampie volumetrie e da un’intensa illuminazione, le stanze dell’Appartamento vedovile di Isabella d’Este trasportano il visitatore in un’atmosfera intima e raccolta. Le luci sono soffuse al punto che all’ingresso, che avviene dal Giardino segreto, è necessario dare tempo agli occhi di abituarsi alla penombra per poter apprezzare lo spazio in cui ci si trova.
A questo piano sono esposti i lavori di artisti coevi a Pisanello in un confronto tra le opere pittoriche dell’artista e il contesto tardogotico locale, che pone l’accento sul clima di fermento (tumulto) e innovazione dell’intero territorio mantovano. Il percorso espositivo consente uno sguardo sulle influenze, sulla volontà di rendere il reale in maniera naturalistica e sull’intento di cogliere le espressioni e le individualità dei personaggi ritratti: esemplificazione della necessità degli artisti a cavallo del XV secolo di distaccarsi dalla rappresentazione ieratica dello stile gotico in favore di maggiore realismo.
Tra le opere di Pisanello: La Madonna con il Bambino detta Madonna della quaglia (1420 ca.) attribuita all’artista veronese dalla maggior parte della critica, e il prezioso Madonna con Bambino in gloria e i santi Antonio Abate e Giorgio (1440 ca.), prestito della londinese National Gallery, sul quale sono visibili le parole «Pisanus p[inxi]t».
In chiusura, il visitatore si trova di fronte alla figura distesa del Cristo morto (1430-1440 ca.) di Jacopino da Tradate. L’opera, realizzata in marmo di Candoglia e ricca di finissimi dettagli cesellati, si mostra nel suo abbagliante candore, laddove all’inizio del percorso era celata alla vista da un moderno baldacchino di legno e tela, metafora del disvelamento dell’opera, i cui materiali rimandano all’impresa degli stacchi murari.

L’ultimo strato
Il progetto espositivo è un omaggio all’importante scoperta e agli strumenti che hanno consentito il recupero, attraverso il tempo, di opere che sembravano perdute: molti infatti sono i riferimenti più o meno espliciti che rimandano all’esposizione curata da Giovanni Paccagnini nel 1972, anche nella selezione delle opere esposto.
Resta una questione: nell’intento di recuperare uno sguardo immersivo, che sia il più vicino possibile a quello previsto dall’artista in fase di progettazione e realizzazione dell’opera, è stato necessario intervenire sullo spazio modificandolo – oltre al termine dell’apertura della mostra, considerato che gli interventi al piano nobile sono stati presentati come nuovo allestimento permanente – con l’inserimento di infrastrutture che sono il prodotto e testimonianza della funzionalità e dell’attualità del tempo che le ha pensate.
Quale fosse la percezione che di quest’opera si poteva avere nel Quattrocento purtroppo non ci è dato sapere ma, nel 2022, è possibile andare oltre e avvicinarsi alle sinòpie a tal punto da immergervisi fino a toccarle con mano, seppure in forma virtuale.
In tal senso, diverse considerazioni possono essere fatte in merito alla validità e alle implicazioni dell’inserimento di sistemi digitali nell’allestimento museale: sul fatto che questi sistemi dupplicano realtà presenti nello stesso spazio, sull’effetto che una tale condizione può esercitare su un pubblico di vasta scala e variegato come quello a cui si rivolge un’istituzione come Palazzo Ducale e via discorrendo. È altresì innegabile che il digitale è la sovrastruttura dell’attuale. In un mondo in cui il nostro sguardo è mediato per la maggior parte del tempo da schermi elettronici, queste installazioni costituiscono l’ultimo strato, quello del presente, che si sovrappone alle stratificazioni dei secoli che lo hanno preceduto secondo i modi e le forme proprie dell’oggi.
Pisanello. Il tumulto del mondo
a cura di Stefano L’Occaso
Mantova, Palazzo Ducale
fino all’8 gennaio 2023
[1] Pisanello alla corte dei Gonzaga, Mantova, Palazzo Ducale, catalogo della mostra a cura di G. Paccagnini, Milano, Electa, 1972.
[2] L’Occaso, Stefano, Torneo di cavalieri alla corte di Re Brangoire, Catalogo Generale dei Beni Culturali.
[3] Paccagnini, Giovanni, Pisanello e il ciclo cavalleresco di Mantova, Milano, Electa, 1972, pp. 7-19.
In copertina: Pisanello, Torneo-battaglia di Louvezerp, 1436-1444, particolare dell’affresco, Mantova, Palazzo Ducale