Strati di immagini si sovrappongono nelle fotografie de Le Bon Marché di Eugène Atget, strati che perdono la consistenza, e con essa il tempo dell’esistenza, per divenire una e cento e mille fantasmagorie nell’occhio di guarda. Magica ed enigmatica è così la Parigi di Atget, come silenziose e sinistre sono le sue strade senza uomini. Non passerà molto perché il surrealismo si impossessi di queste atmosfere, facendo di Atget uno dei suoi padri putativi. Quando però diversi decenni più tardi, con linguaggi divenuti ormai storia, il postmoderno si interrogherà sulle tecniche della prima avanguardia, sembra che la sovrapposizione abbia «delle caratteristiche diverse dalla citazione, dall’appropriazione, dalla decostruzione, dal pastiche, e che davvero fosse una tecnica singolare e poco frequentata». Così scrive Elio Grazioli nell’introduzione al suo ultimo libro Album. L’arte contemporanea per sovrapposizioni dove, appropriandosi di alcune immagini di opere dei più celebri artisti del Novecento, le sovrappone liberamente aprendo la strada a una nuova immagine. Lo straniamento che viene dall’ordinario, e quel senso di movimento che tanto ossessionava le avanguardie, trovano in effetti nella tecnica della sovrapposizione un’inaspettata e inusuale alleata per rendere quel processo di trasformazione urbanistica e sociale, ma anche e soprattutto ottica, che aveva investito l’Europa e molte delle sue capitali, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, e che probabilmente ancora oggi non si è arrestata.

Il furtivo, il gusto del gioco, il procedere componendo e riposizionando, l’evocazione della memoria e dei suoi reconditi anfratti, illuminano le pagine di questo volume dove il critico-scrittore prende la matita in mano per mostrare che il pensiero non è una semplice attività astratta «dal momento che visione, pensiero e azione non sono operazioni disgiunte». Le pagine dell’introduzione sono dunque dedicate alla genesi del libro, a partire da quel periodo di lockdown che ci ha tenuto tutti a casa, obbligandoci a una rispettosa solitudine. Così il silenzio delle strade ha fatto da sfondo all’affaccendarsi nella mente di immagini e parole che si sono congiunte in questo «esercizio critico», fatto di circa sessanta disegni e altrettanti brevi testi che li accompagnano. E il dato personale, intimo, familiare non può essere estromesso dal volume, dal momento che l’autore è uno tra i maggiori esperti di arte contemporanea in Italia (basti vedere i libri da lui scritti e tradotti) nonché docente, e chissà allora quante volte nelle aule di accademie e università è stato chiamato a tradire con la voce, a tradurre l’immagine e a dar alla tradizione un significato.

Del resto, l’atto di disegnare o dipingere è proprio anche a tanti altri scrittori che lo hanno utilizzato per dare forma alla voce interiore e formalizzare un’idea (da poco si è chiusa per esempio la mostra dei disegni di Bobi Bazlen a Milano). È un processo di appropriazione debita quella che spesso un critico compie nei confronti del proprio oggetto di studio, quando passa dall’altra parte e si abbandona al proprio flusso di immagini che, inevitabilmente, trova nell’altrui oggetto la matrice dell’espressione. Ma non è solo questo. Il libro è un come, non un compendio su un fine: l’autore svolge di fatto un’analisi della tecnica della sovrapposizione attraverso l’atto del disegno, mostrando pertanto come quel processo agisce criticamente nell’elaborazione e nella formalizzazione dell’idea. Grazioli ripercorre infatti anche le considerazioni di stampo prettamente teorico che lo hanno accompagnato, come gli scambi con il filosofo Riccardo Panattoni sulla «differenza tra riflesso nello specchio e riflesso in un vetro, dove appunto si crea una sovrapposizione». Il vetro e le vetrine sono del resto al centro di una tra le più interessanti riflessioni artistiche del secolo scorso che ha visto la fusione del retinico nel concettuale a partire dal Grande Vetro di Marcel Duchamp; e a Duchamp si ritorna anche per il concetto di inframince, legato a quello della persistenza delle immagini che, nella sovrapposizione, sembra trovare il giusto habitus. E a sfogliare il catalogo, difronte a quelle linee mescolate dal fascino anodino, non si può non ritornare ancora una volta a Duchamp, attraverso le parole di Octavio Paz, quando in Apparenza nuda, scrive che è un’apparizione più che un’apparenza a caratterizzare le opere dell’artista inventore dei ready-made, evocando così la componente epifanica del rendez-vous mancato tra l’oggetto e l’artista. È una questione di tempo, infatti, quella che lega le immagini l’una all’altra: un tempo ritardato, e comunque sfalsato, che accompagna l’occhio e la mano del soggetto produttore.

Pablo Picasso e Marcel Duchamp, Marcel Duchamp e Henri Matisse, Robert Smithson e Daniel Buren, Francis Picabia e Maurizio Cattelan, Daniel Buren e Jeff Koons, Piero Manzoni e Yves Klein, Kazimir Malevič e John Cage. Questi e ancora altri sono gli artisti saccheggiati per costruire un volume denso di accostamenti e ricco di intuizioni che ha inizio con le opere fondatrici della modernità: Déjeuner sur l’herbe (1863) di Édouard Manet sovrapposta alle Demoiselles d’Avignon (1907) di Pablo Picasso. Sagome che perdono la propria corporeità a favore di una nuova, nella quale si intravedono le Bagnanti di Cèzanne, l’odalisca di Ingres, fino ai Concerti campestri di Tiziano. Insomma, un procedere a matriosca che intreccia su di una corda a tre capi l’autore del libro, l’autore dell’opera e il lettore che, a sua volta, in questa comprensione multipla delle cose, non può non diventare anch’egli autore dell’avvenire.

Elio Grazioli
Album. L’arte contemporanea per sovrapposizioni
Johan & Levi, 2022
pp. 172, € 22
In copertina: Eugène Atget, Magasins du Bon Marché, 1926-1927 © MoMA