Per chi si interessa d’arte contemporanea, Harald Szeemann non ha bisogno di presentazioni. Vale però la pena ricordare il suo contribuito alla creazione di una pratica curatoriale così com’è intesa oggi, oltre ad una visionarietà che nel corso del tempo gli ha permesso di mettere a punto veri e propri microcosmi di immagini. Si tratta di «intense intenzioni» che trasformano lo spazio espositivo tradizionale in un laboratorio relazionale tra curatore, artista e pubblico; When Attitude Becomes Form del 1969 e la Documenta di tre anni più tardi, Le macchine celibi (1975) e le Biennali del 1999 e 2001, Le mammelle della Verità sono solo alcune delle mostre di Szeemann ad essere entrate legittimamente nel canone del sistema dell’arte. E proprio Monte Verità è stato investito negli ultimi anni da un revival che non solo ha portato alla riapertura al pubblico del complesso museale, ma anche all’uscita di pubblicazioni sul tema e soprattutto di monografie dedicate ad Harald Szeemann, con interviste o suoi scritti. Buona parte del merito di questa “riscoperta” può senz’altro essere attribuito a Pietro Rigolo, che presiede al Fondo Szeemann del Getty Research Institute di Los Angeles e che insieme ad altri esperti si spende per diffondere il materiale del suo enorme archivio, mantenendone viva la memoria attraverso studi ed esposizioni.

Alla luce di un’attività di ricerca così vasta sul lavoro di Szeemann, è auspicabile che anche il ciclo delle esposizioni geografiche venga pian piano ripreso in esame, in quanto mostre minori ma apprezzabili come testimonianza del suo fare creativo. Dagli anni Novanta fino alla sua morte, Szeemann si impegna infatti in una serie di mostre a tema nazionale, per presentare l’arte contemporanea di paesi ancora poco conosciuti e, per quelli già noti, decostruirne il concetto stesso di nazione. A Suisse Visionnaire (1991) e Austria im Rosennetz (1996) seguiranno Blood and Honey. Future is in the Balkans (2003) e Real el viaje real (2004), dedicate agli artisti dei paesi balcanici e dell’America Latina, oltre a La Belgique Visionnaire del 2005 a cui Szeemann non avrebbe fatto in tempo ad assistere. Non è allora inappropriato, a tal proposito, spendere qualche parola sulla mostra dedicata all’arte polacca che Harald Szeemann presenta alla Galleria Nazionale d’Arte Zachęta di Varsavia tra il 2000 e il 2001, con le criticità e le problematiche che si presentano fin dall’inaugurazione (fig. 1). Beware of Exiting Your Dreams: You May Find Yourself in Somebody Else’s, questo il titolo della rassegna, rappresenta un tentativo non del tutto efficace, da parte di Szeemann, di tradurre la propria visione nel dispositivo mostra.

L’esposizione, concepita da Szeemann su richiesta dell’allora direttrice Anda Rottenberg, viene inaugurata in occasione del centenario della fondazione della Galleria Nazionale e pubblicizzata in Polonia quale appunto «mostra del Giubileo». È per questo motivo che Szeemann sceglie di esporre una serie di opere che spaziano dal tardo simbolismo di Jacek Malczewski fino alle avanguardie degli anni Settanta e l’arte concettuale di Pawel Althamer e Krzysztof Bednarski. Il titolo, «Fai attenzione ad uscire dai tuoi sogni», è tratto da una raccolta di aforismi di Stanisław Jerzy Lec, tra i maggiori poeti polacchi del dopoguerra. Ma la notorietà della rassegna è dovuta senz’altro alla scelta di Szeemann di esporre La nona ora, scultura di Maurizio Cattelan del 1999 che rappresenta Papa Giovanni Paolo II – al secolo Karol Wojtyła – abbattuto da un meteorite. Una settimana dopo l’apertura della mostra, l’opera viene attaccata da Witold Tomczak, politico conservatore, che tenta di danneggiarla (fig. 2) e chiede le dimissioni di Anda Rottenberg dalla direzione della Galleria, per aver «speso i soldi della maggioranza cattolica del paese in opere d’arte disgustose». Non aiuta il fatto che Rottenberg sia di origine ebraica: un’ondata di antisemitismo si abbatte sulla storica dell’arte che, a marzo 2001, non può che rinunciare al proprio ruolo istituzionale[1]. L’interpretazione ufficiale de La nona ora data dalla Zachęta, a cui a dire il vero aderiscono anche alcuni esponenti del clero, nega ogni intento polemico, ribadendo piuttosto il peso della responsabilità umana e spirituale che grava sul Papa; ma i media e l’opinione pubblica sembrano ignorare questo tentativo di chiarimento. Come puntualizzeranno alcuni anni dopo gli storici dell’arte Piotr Piotrowski e Gabriela Switek, la vicenda si presta ad essere letta attraverso due livelli di significato: entrambi hanno a che fare con l’identità contemporanea della Polonia, tanto sociale quanto nelle politiche culturali.

In prima analisi, è bene tenere presente l’enorme popolarità della figura di Giovanni Paolo II in Polonia, paese che nel corso della sua storia ha basato sulla fede cattolica il proprio paradigma identitario. L’elezione di Wojtyła a pontefice nel 1978 ha rafforzato ulteriormente un legame già molto solido tra società polacca e religione maggioritaria; oltretutto, la resistenza clandestina di cui il Papa faceva parte durante il periodo comunista è ormai da anni un elemento fondamentale della narrazione che contribuisce a tenerne vivo il ricordo. L’immagine di Giovanni Paolo II in Polonia si trova praticamente ovunque, riprodotta com’è in pubblicazioni, manifesti, souvenir di ogni tipo e cartoline: una presenza così pervasiva testimonia l’intensità con cui il paese vive la propria relazione con il cattolicesimo (fig. 3). Piotrowski individua proprio nella «visualizzazione» del Papa agli occhi dei polacchi la causa delle polemiche per La nona ora. Una considerazione così elevata della sua figura sul piano morale, infatti, presuppone per Piotrowski che Wojtyła venga “visto” più in alto rispetto all’osservatore, mai ad un livello di parità o inferiorità prossemica. Ecco allora che i polacchi, vedendo il Papa di Cattelan «in una posizione per cui puoi calpestarlo o guardarlo dall’alto in basso», ne hanno una visione distorta e disturbante (fig. 4). Szeemann, secondo lo studioso, deve aver colto questa potenzialità dell’opera e «della figura di culto chiave per l’immaginario polacco»[2].

Świtek condivide questo punto di vista, estendendo l’analisi alle implicazioni culturali e politiche che le reazioni alla mostra mettono in risalto. L’avversione dei partiti più conservatori (ma in generale della società) per la produzione artistica contemporanea dimostra che, almeno fino alla prima parte degli anni Duemila, essa non venga considerata una voce importante nel discorso pubblico in Polonia. La messa in secondo piano della rassegna e degli altri lavori esposti rispetto alla polemica su La nona ora denuncia una «presenza marginale» del contemporaneo nella coscienza collettiva, oltre a sminuire il lavoro della rete di musei, artisti, curatori e professionisti dell’arte[3]. Anda Rottenberg avrebbe pubblicato nel 2019 il volume From Poland With Love, che raccoglie una serie di lettere immaginarie rivolte ad Harald Szeeman sul posizionamento dell’arte polacca e dell’ex-Blocco orientale nel sistema dell’arte occidentale, compreso il ruolo delle artiste donne in questo processo di integrazione. Il caso della mostra alla Galleria Nazionale non è particolarmente ridiscusso, tenuto conto che Rottenberg ha modo di parlarne a lungo nel corso del tempo. A dire il vero, come ricorda in un’intervista, Rottenberg era ben consapevole delle conseguenze della scelta curatoriale di Szeemann; «Ascolta, Cattelan non è polacco» racconta di aver obiettato, a cui Szeemann risponde di «non riuscire a immaginare di dire nulla riguardo alla Polonia senza riferirsi al Papa». In altre parole, il curatore era risoluto nel suo proposito e incurante di una possibile censura[4].
Ad un rapporto dell’opera con l’immaginario collettivo dei fedeli polacchi – e in senso lato cattolici – non ha pensato però nemmeno Cattelan. A lui, come ha dichiarato, importa piuttosto la possibilità «di mettere a nudo il papa, mostrandone il lato umano. È un modo per dimostrare che anche il papa è soggetto a una forma di autorità». La pecca dell’operazione curatoriale può forse essere individuata qui: a fronte di un’opera di forte impatto visivo e concettualmente solida, Szeemann decide di includerla in una mostra in cui per forza di cose è caricata di un significato ulteriore, dato il contesto espositivo e la circostanza per cui Beware of Exiting Your Dreams viene organizzata. A differenza di altre prove szeemaniane, in cui le opere non sono piegate alla volontà del curatore, ma esprimono una visione curatoriale attraverso quella degli artisti, forzare consapevolmente una reazione del pubblico polacco alla vista del Papa non ha provocato una riflessione o un dibattito costruttivo, ma un seguito di polemiche che hanno fatto passare in secondo piano la qualità del progetto espositivo nel suo complesso. Indipendentemente dal fatto che fossero noti al di fuori della mostra, artisti come Katarzyna Kozyra, Roman Opałka, Mirosław Bałka hanno perso l’occasione di essere apprezzati appieno con i loro lavori; altre informazioni più precise sulla selezione di opere e artisti possono purtroppo essere recuperate solo parzialmente, attraverso lo scarno resoconto che Roman Kurzmeyer ha ottenuto dalla Galleria Nazionale Zachęta[5] – anche il Fondo Szeemann al Getty può sicuramente essere interrogato in questo senso. Fa riflettere che, nel 2012, proprio a Varsavia venga organizzata una personale di Maurizio Cattelan al Castello Ujazdowski, a quanto pare molto attesa dal pubblico. Forse è cambiato lo spirito del tempo, anche se un cartello non dà adito ad equivoci: «La mostra contiene lavori che potrebbero provocare forti reazioni»[6].
Un ringraziamento speciale va ad Irene Benincasa-Baranowska, per i preziosi spunti di riflessione che le nostre conversazioni sulla cultura e la storia della Polonia mi offrono ormai da tempo.
[1] Krzystof Kosciuczuk, “Women in the Arts: Anda Rottenberg”, in Frieze, 4 giugno 2018.
[2] Piotr Piotrowski, “Beyond Democracy. On the Relationship Between Art, the State and the Church in Poland”, in Springerin, 4, 2008.
[3] Gabriela Świtek, “Szeemann in Warsaw, or, the Ethical Function of the Exhibition”, in Claire Bishop e Marta Diewanska (eds.), Political Upheaval and Artistic Change 1968-1989, Varsavia, Muzeum sztuki nowoczesnej w Warszawie, 2009, 131-148, qui 138
[4] Jakub Dąbrowski e Anna Demenko, Censorship in Polish Art After 1989: Art, Law, Politics, Oakville, Mosaic Press, 2019
[5] Gabriela Świtek, op. cit., ibidem
[6] Stefano Mazzoni, “Maurizio Cattelan: Back in Varsavia”, in Art Tribune, 11 dicembre 2012.