Decostruire il paesaggio. Sugli ‘assemblages’ di Jacopo Benassi

Il dialogo tra fotografia e pittura è spesso incentrato sul paesaggio. Il paesaggio moderno è rapporto con il reale, osservazione, potenziale trasfigurazione a partire da un’esperienza. Prima della fotografia, e per qualche decennio dopo la sua invenzione, il paesaggista si occupava di catturare la luce del luogo prescelto, da Fontainebleau alla laguna di Venezia, durante le sue escursioni con il cavalletto sottobraccio. L’opera era il risultato di un incontro con il tempo – incontro che la fotografia avrebbe reso così traumatico. Le ultime opere di Jacopo Benassi offrono un dialogo intimo tra fotografia e pittura di paesaggio che riporta l’esperienza dell’artista dall’esterno del paesaggio fisico all’interno di un paesaggio personale. Partendo dalla tradizione pittorica ottocentesca, Benassi decostruisce il genere alla ricerca di un luogo interiore.

Le opere in questione, realizzate nei primi mesi del 2022, sono assemblages di fotografie di piante in bianco e nero e paesaggi a olio su tela. Fotografie e tele sono incorniciate con semplici listelli di legno e fisicamente legate tra loro da cinghie strette (fig. 1, copertina). Il risultato è che i dettagli di piante – fotografie scattate negli anni di frequentazione dello spazio verde della sua città, La Spezia – sono fisicamente giustapposti agli sfondi di paesaggio – dipinti dall’artista con un linguaggio sfumato che evoca la pittura ottocentesca dell’artista locale Agostino Fossati. Le cinghie sono poi fissate al muro e dipinte in modo da creare un’unione indissolubile tra le parti dell’opera e dirigere lo sguardo dello spettatore.

Il termine “assemblage” sembra il più adatto per descrivere queste opere concluse e allo stesso tempo aperte, perché mantiene la possibilità di una ricombinazione.[1] Ciò che tiene insieme le parti è ciò che le separa e individualizza. Come nelle opere di Joseph Cornell o Robert Rauschenberg, la cornice diventa un dispositivo necessario alla composizione. Scrive Andrea Pinotti che la cornice è solo in apparenza un dispositivo isolante, ma in realtà ha uno statuto ibrido in quanto è al contempo al di fuori dell’opera e parte integrante della stessa.[2] Le cornici di Benassi sono fatte dall’artista e sono quindi pienamente parte dell’opera. Come specificato da Georg Simmel, la cornice che delimita è quella che appartiene ad uno stile e un contesto storico preciso (per esempio cornice rococo).[3] È piuttosto la cinghia, dispositivo che rimanda alla dimensione processuale (e faticosa) del lavoro, ad avere la funzione di cornice. Da questo punto di vista, la chiusura delle cinghie è il gesto conclusivo dell’artista che assembla i pezzi per ottenere un’opera.

Fig. 2 – Jacopo Benassi, l’installazione delle opere alla Fondazione Carispezia, La Spezia, courtesy dell’artista.

L’allestimento delle opere-assemblages visti in mostra (Matrice, Carispezia, 10 aprile – 11 settembre 2022, a cura di Antonio Grulli) sembra apparentemente ribaltare questo gesto definitivo (fig. 2). Come in uno studio, le opere sono appese a pareti-pannelli in parte bruciati e scheggiati, ai piedi dei quali sono appoggiati tavolini e scalette mobili, e dietro ai quali sono appese le pezze di stoffa impregnate del colore usato dall’artista per i paesaggi. Siamo quindi in presenza di un dispositivo totale, un gioco di scatole che rimanda continuamente allo studio e al processo di ricerca mai concluso che ripropone le varie fasi di concezione dell’opera. Ma resta l’impressione che dal caos dell’atelier emerga una forma dell’opera che si impone con una forza teorica nuova e autentica. Il titolo della mostra, Matrice, potrebbe quindi essere inteso come “cornice”, cioè il dispositivo all’interno della quale l’opera prende forma, senza la quale l’opera è puro frammento di realtà.

Del resto il paesaggio è esso stesso sguardo che seleziona la realtà, come si è detto. Secondo la formula di Simmel, il paesaggio è un modo di incorniciare una porzione di mondo risultante da un processo di soggettivazione.[4] La pittura di paesaggio nasce dalla sensibilità moderna dell’uomo al paesaggio, che riconosce nel proprio sguardo selettivo un momento di autocoscienza. La cornice per il paesaggio è matrice, cioè modello, stampo. Parecchie opere di René Magritte riflettono su questo rapporto del paesaggio con la cornice: penso alla serie in cui il cavalletto con la tela è posto in corrispondenza alla finestra attraverso cui si vede lo stesso paesaggio dipinto, come La condition humaine (Fig. 3). Il paesaggio è, in definitiva, lo sfondo sempre presente dietro le cornici dell’esperienza quotidiana: finestre, diaframmi, occhi.

Fig. 3 – René Magritte, La condition humaine, 1933, The National Gallery of Art, Washington DC.

E l’occhio di Benassi, così affettuoso nei confronti del paesaggio spezzino, sceglie la natura romantica e sublime: il mare in tempesta, le piante grasse cresciute nel cemento. Siamo lontani dall’immagine di una città industriale celebrata da un certo futurismo. Nel decostruire il paesaggio, Benassi ritrova l’elemento figurativo originario invece che virare (come ha fatto il modernismo) verso l’astrazione. Infatti le piante, fotografate con il flash tipico del suo linguaggio, sembrano delle “figure” stagliate sullo sfondo di paesaggio a olio. In questo senso, gli assemblages producono dei paesaggi con figura che raccontano di ripetuti incontri – veri e immaginari – con i propri luoghi.

Fig.4 – Jacopo Benassi, Untitled, 2022, cornici e tele a olio, courtesy dell’artista.

L’unica eccezione a questa serie di piante-su-paesaggio è la chiave di volta che rivela il senso degli assemblages nel loro insieme: un dipinto raffigurante un corpo morto (un “Cristo”) risalente alla giovinezza dell’artista, accostato a due foto della stanza della madre, deceduta di recente (fig. 4). Il corpo accasciato di un uomo emaciato si staglia contro un fondo nero, parzialmente coperto dalla foto di una parete sulla quale si intravede il segno lasciato dal quadro stesso. Unica veduta d’interno in una serie dedicata al paesaggio naturale, quest’opera mette in risalto per contrasto la ricerca continua di una matrice-cornice che tenga insieme le varie parti del proprio lavoro. Come ha detto Benassi: “È la mia opera migliore”.[5]

In copertina (fig. 1): Jacopo Benassi, Untitled, 2022, cornici e tele a olio, courtesy dell’artista.


[1] Francesco Casetti, La Galassia Lumière, Milano: Bompiani, 2015.

[2] Andrea Pinotti, “La cornice come oggetto teorico”, La cornice. Storie, teorie, testi, Milano: Johan and Levi, 2018.

[3] Georg Simmel, “La cornice del quadro. Un saggio estetico”, in La cornice. Storie, teorie, testi.

[4] Georg Simmel, Saggi sul paesaggio, Roma: Armando Editore, 2006.

[5] Da un’intervista su ICON magazine.

È storica dell'arte moderna, assegnista di ricerca all'Università IUAV di Venezia e docente all'Università Bocconi. Si occupa di storia e teoria del paesaggio, del disegno e dei media. Dopo il dottorato in storia dell'arte al Courtauld Institute di Londra, è stata borsista al Centre Allemand d'Histoire de l'Art di Parigi, alla Fondazione 1563 di Torino e allo Zentralinstitut für Kunstgeschichte di Monaco di Baviera.

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