Materializzazione del linguaggio. Su Mirella Bentivoglio

Avrebbe compiuto cento anni quest’anno Mirella Bentivoglio (nata a Klagenfurt, in Austria, il 28 marzo 1922). Artista verbovisiva e curatrice tra le più raffinate, scomparve nel 2017 quando stava per compierne novantacinque. Vissuta a Milano e poi a Roma, parlava più lingue e si muoveva con disinvoltura tra passato e presente coltivando sempre gli interessi che potessero stimolare la sua creatività: questi spaziavano dalla poesia lineare a quella di ricerca, dalla storia dell’arte alla linguistica. Chi ha avuto la fortuna di conoscerla ha potuto apprezzare la sua sottile intelligenza, assistita da una memoria invidiabile che le consentiva di tessere racconti di eventi lontani nel tempo e di metterli in relazione con il contemporaneo. In verità è stata, fino a quando ha potuto, una donna calata perfettamente nell’oggi, con sguardo sempre acuto e consapevole dell’autorevolezza storica del suo lavoro che, dopo le sue giovanili prove poetiche, si è espresso attraverso le sperimentazioni linguistiche della Neoavanguardia. Verrebbe da dire che era un monumento vivente: parlare con lei era come intrattenere un dialogo con la storia dei rivoluzionari e contraddittori anni Sessanta e Settanta e delle loro riverberazioni nei decenni successivi.

Ma lei non amava i monumenti; e per dirlo creò con Annalisa Alloatti una cartella di sei litografie intitolata Storia del monumento (1968). Bentivoglio definì questo lavoro “la caduta del feticcio”, ovvero del simbolo maschile del logos. In questa opera di poesia concreta – figlia delle tavole parolibere futuriste, da lei attentamente studiate – la parola monumento viene via via sgretolata nelle sue componenti alfabetiche e sillabiche e ricomposta in senso figurale con forme simili a lapidi (elemento molto citato da Mirella anche nelle sue opere scultoree) che poi esplodono in diverse configurazioni in cui la struttura architettonica scompare per dar luogo a una nebulosa di caratteri tipografici prossima all’informe. Una metamorfosi giocosa del linguaggio che scombussola il significante per costruire nuovi significati, rendendo così la parola scritta materiale manipolabile.

Con questa opera l’artista è oggi rappresentata nella «capsula del tempo» Corpo orbita allestita, come altre consimili, nel quadro di The Milk of Dreams, la Biennale di Venezia 2022 curata da Cecilia Alemani. La curatrice ha voluto rendere in questo modo omaggio alla memorabile mostra Materializzazione del linguaggio, curata da Mirella Bentivoglio nell’ambito della 38a Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia (Magazzini del Sale alle Zattere, 20 settembre-15 ottobre 1978). Quella esibizione fu il frutto di sette anni di ricerche da lei condotte nel campo delle sperimentazioni verbovisive polimateriche e performative coniugate al femminile, e vi furono invitate ottanta artiste provenienti da tutto il mondo.

Biennale di Venezia 1978, Materializzazione del linguaggio, Courtesy Gramma_Epsilon Gallery

Come spiegato dal pannello introduttivo alla «capsula», il riferimento a questo evento espositivo –  con le opere di diverse delle artiste presenti alla mostra del 1979: oltre alla stessa Bentivoglio Tomaso Binga, Ilse Garnier, Giovanna Sandri e Mary Ellen Solt, rappresentate da un’opera ciascuna – si deve prima di tutto al fatto che quella fu la prima mostra internazionale al femminile nell’ambito delle Biennali veneziane e poi all’impiego, da parte di quelle artiste, di «forme espanse di produzione testuale come strumenti di emancipazione e pratiche della differenza». Nella «capsula» è stato messo l’accento sulla scrittura femminile come pratica di espressione corporea e spirituale. Questo ha portato la curatrice ad accostare alle opere verbovisive materiali – disegni, calchi, quadri – provenienti da esperienze occultistiche (Linda Gazzera, Josefa Tolrà, Georgiana Houghton, Eusapia Palladino e Hélène Smith). Le scritture sperimentali delle Neoavanguardie degli anni Settanta sono state anche accostate alle scritture automatiche di altre artiste che hanno realizzato lavori generati da personali visioni tratte dal proprio repertorio psichico (Sister Gertrude Morgan e Minnie Evans); il tema della scrittura come forma immaginifica di liberazione dalle costrizioni della dimensione maschile del linguaggio è infine rappresentato da artiste e scrittrici come Djuna Barnes, Joyce Mansour e Unica Zürn. Alla base di tutte queste interpretazioni c’è la dimensione corporea «viscerale e profondamente creativa, capace di mettere in discussione le strutture di potere consolidate», concetto caro alla teorica francese Hélène Cixous che in particolare ricorre al termine di écriture féminine come scrittura della differenza, espressione del corpo come luogo del desiderio e per questo sovversiva. «Le donne sono corpo» afferma nel suo testo Le Rire de la Méduse del 1975, pochi anni prima della mostra di Mirella Bentivoglio.

Non sappiamo se Mirella avrebbe gradito l’accostamento tra la sua mostra e un testo coevo che esprime, oltre a evidenti punti di tangenza, posizioni radicali in fatto di relazione tra i sessi: quando lei si è sempre dichiarata distante dalle posizioni estreme del femminismo. E non sappiamo se si sarebbe riconosciuta nei collegamenti a temi che forse non appartenevano alla sua indole razionale e logica, poco incline alla dimensione onirica e tantomeno a quella occultista. Nell’introduzione al catalogo della sua mostra veneziana Bentivoglio dice esplicitamente che le opere esposte erano orientate su un «livello di ricerca disciplinata e autocosciente». Tuttavia siamo sicuri che avrebbe molto apprezzato il fatto che la 59a Biennale di Venezia si sia ricordata di quel suo progetto, al quale lei e le artiste che vi parteciparono credettero moltissimo.

Inaugurazione Materializzazione del linguaggio, Biennale di Venezia 1978. Courtesy Gramma_Epsilon Gallery

Nell’ottica collettivista tipica di quegli anni, nella doppia veste di artista e curatrice, per Mirella era necessaria la collaborazione tra ‘operatrici’ culturali nell’ambito delle sperimentazioni linguistiche. Queste si rivelarono terreno fertile per l’espressione artistica femminile, spesso – se non sempre – connotata politicamente. La rete internazionale creata in quell’occasione è ben documentata dal lascito fatto da Bentivoglio nel 2011 al Mart di Rovereto, costituito da molte opere di artiste da lei raccolte. Preceduta da altre mostre come Esposizione Internazionale di Operatrici Visuali, del gennaio 1972 al Centro Tool di Milano, Materializzazione del linguaggio ha fatto la storia delle mostre di sole artiste donne in Italia. L’opportunità di poter esporre alla Biennale di Venezia del 1978 fu un evento memorabile. Per il suo carattere internazionale e per il focus su opere verbovisive è rimasta a tutt’oggi un unicum della manifestazione veneziana.

In quella Biennale di fine anni Settanta – il cui tema centrale era il rapporto arte/ natura – ci fu un’apertura a monografiche di artiste donne con la retrospettiva di Ketty La Rocca (scomparsa precocemente due anni prima) e quella di due collettivi femministi di Varese e di Napoli con la mostra Spazio aperto. Nonostante questo contesto favorevole, la mostra curata da Mirella Bentivoglio ebbe una genesi piuttosto travagliata soprattutto per i tempi strettissimi che le vennero concessi. Anche la ricezione delle opere non fu facile. Fu ad esempio rocambolesco far arrivare quelle che provenivano dalle artiste sperimentali del blocco sovietico, alle quali Mirella teneva particolarmente per dare voce a chi viveva una situazione molto repressiva. Fu infatti necessario farle pervenire a indirizzi di paesi ‘amici’ prima di giungere in Italia. Vale la pena ricordare pure che la mostra fu quasi ignorata da una critica che in generale non apprezzò affatto il suo carattere considerato ‘separatista’.

In occasione di quest’omaggio a Mirella Bentivoglio, la Fondazione La Biennale di Venezia pubblica anche la ristampa anastatica del catalogo di Materializzazione del linguaggio (racchiuso in una sovraccoperta in stile concretista che non sembra aggiungere molto alla ricchezza del volume). Questo importante tributo a quella mostra seminale e alla sua curatrice è sicuramente un evento di rilievo che può diventare uno strumento utile al confronto sul tema dell’arte della differenza avviato in quegli anni di nascente coscienza di genere e oggi ancora assai dibattuto. Se da un lato infatti oggi sembra aver preso spazio un superamento del problema di genere, almeno inteso come espressione di specifiche caratteristiche che separano con una linea netta gli ambiti del maschile e del femminile in nome di una tendenza alla fluidità o al neutro, dall’altro lato lo spazio occupato dalle donne nelle mostre e nel mercato è sempre drammaticamente molto più scarso rispetto a quello degli uomini.

Per contestualizzare il tema delle differenze di genere è interessante rileggere con attenzione l’introduzione al catalogo,con la consapevolezza che quelle linee di ricercaerano dettate dall’urgenza delle donne di trovare una propria collocazione in quegli anni rivoluzionari. Nel testo, frutto della lettura complessiva dei materiali selezionati per la mostra, vengono analizzati gli aspetti che distinguono secondo Bentivoglio l’arte al femminile nell’ottica collettivistica delle varie sperimentazioni del lettrismo, della poesia concreta, dello spazialismo e della poesia visiva.

In primo luogo, anche se lo dice solo alla fine, per Mirella era scontato che «nel suo risultato finale l’espressione poetica, di uomo o di donna che sia, è sempre totale, ermafrodita». Questo non le impedisce di riscontrare caratteristiche femminili costanti nelle opere delle ottanta artiste: una certa tendenza delle donne a svuotare e semplificare mentre l’uomo duplica e sovrappone; l’aspetto corporeo, molto presente nelle opere femminili, viene espresso nelle pause «della mano e del respiro»; il ritmo sempre presente che riporta all’essenza sonora. Infine il rapporto archetipico che le donne hanno con la propria creatività legata alla capacità femminile di trasformare il linguaggio in tessile: «il filo delle Parche, di Arianna, di Aracne, il filo di un discorso spezzato, che sembra ora venire ripreso». Fili che portano fino ai giorni nostri e che continuano a creare trame utili a interrogarci sul presente.

Mirella Bentivoglio, Fiore nero, 1971, Courtesy Gramma_Epsilon Gallery

Sorprende ancora oggi la libertà di pensiero che Mirella Bentivoglio esprime nel cercare di eludere i recinti imposti dalle avanguardie preferendo muoversi «nella zona di frontiera tra codice linguistico e altri codici», ponendo anche l’attenzione su esempi “anonimi” e “popolari” e includendo testimonianze tratte dalle opere provenienti dalle cliniche psichiatriche che furono inserite nella mostra. Con questo anticipò temi che saranno approfonditi successivamente nell’ambito dell’Art brut e che trova legami con alcune manifestazioni del campo largo del verbovisivo e delle asemic writings in cui molte artiste sono protagoniste.

P.S.: Le celebrazioni per il centenario della nascita di Mirella Bentivoglio sono iniziate con la doppia mostra ad Atene The Other Side of the Moon presso l’Istituto Italiano di Cultura e presso la Gramma_Epsilon Gallery inaugurate entrambe l’8 marzo e curate da Paolo Cortese e Davide Mariani. Alla mostra erano presenti alcune delle artiste di Materializzazione del linguaggio. Per l’occasione è stata pubblicata con lo stesso titolo da Postmedia Books anche la prima monografia bilingue, scritta dopo la scomparsa dell’artista-curatrice. Grazie ai prestiti dei collezionisti Gianni e Giuseppe Garrera, la storica mostra sarà infine rievocata in maniera quasi integrale a partire dal 1° ottobre 2022 presso la Fondazione Antonio dalle Nogare di Bolzano, con l’eloquente titolo Ri-materializzazione del linguaggio,a cura di Andrea Viliani e Cristiana Perrella.

Materializzazione del linguaggio
a cura di Mirella Bentivoglio
La Biennale di Venezia 2022, pp. 60, € 20

In copertina: Mirella Bentivoglio, Je Suis (L’inconscio androgino), 1979-1984

(Roma 1960). Diplomata in pittura presso l’Accademia di BBAA di Roma, laureata in Storia dell’Arte Contemporanea presso Sapienza Università di Roma. PhD nella stessa università con una tesi sui “Giochi linguistici nelle opere su carta di Gastone Novelli”. Studia soprattutto l’ambito verbovisivo, spesso coniugato al femminile. Ha curato con Antonella Sbrilli la mostra “Ah, che rebus! Cinque secoli di enigmi tra arte e gioco in Italia” (ING Roma 2010). Ha partecipato alla pubblicazione “Ketty La Rocca Nuovi studi” (a cura di Francesca Gallo e Raffaella Perna, postmedia books 2015) e curato con Angelandreina Rorro la mostra “Oltre la parola. Mirella Bentivoglio dalla collezione Garrera” (MLAC Roma 2019). Ha scritto per “alfabeta2” “Essere soltanto. Marco Giovenale nel rovescio della scrittura” (2019). Insegna in un liceo romano.

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