Il 5 settembre se n’è andata, dopo lunga malattia, Mariella Mehr. Era fra le voci più alte della “letteratura tedesca” di oggi, ma tutto era meno che “tedesca”. Non in quanto cittadina svizzera (a Zurigo era nata nel 1947), ma perché di etnia Jenish. Una “zingara”, insomma: in quanto tale orribilmente perseguitata dal governo della Confederazione, sottoposta (come sua madre prima di lei) al programma eugenetico Kinder der Landstrasse, in vigore in Svizzera sino agli anni Settanta. Fu anzi proprio il suo “caso”, fra gli altri, a richiamare l’opinione pubblica su questo delicato fossile di logica nazionalsocialista, dissolto infine da un’importante campagna di stampa. La sua storia, così emblematica del «secolo breve», l’ho conosciuta tardi; molto dopo che quel secolo era finito. È stata Anna Ruchat a farla conoscere a tutti, raccontandola in un piccolo importante libro dal titolo Il malinteso (Ibis 2012) e traducendo anche il libro più noto di Mehr, Ognuno incatenato alla sua ora (bellissima antologia poetica uscita nella «bianca» Einaudi nel 2014). Sempre Anna riuscì a portarla fino a Roma, nel febbraio del ’15, così che potemmo tutti ascoltarla dal vivo al festival Poetitaly, al Teatro Palladium, ideato e diretto da Simone Carella. Nella mia carriera di “bravo presentatore”, cioè approssimativo imbonitore, è stata quella, senza dubbio, l’emozione più forte. Non da oggi Abel Herrero è attratto da quei testimoni dell’irriducibilità che, per antonomasia, sono i poeti: il dipinto che ritrae Osip Mandel’štam, tratto dall’ineffabile foto segnaletica che lo avviava alla Kolyma, ed esposto alla sua mostra Removed (alla Biblioteca Nacional José Martí di Santiago di Cuba, nel 2017), è un manifesto. Sapevo che Mariella gli sarebbe piaciuta; e sono contento di venire a sapere, oggi, che anche lui era piaciuto a lei.
Andrea Cortellessa
Zurigo non è città dove si arriva per caso o di passaggio, ci si va apposta. Io ci sono andato per via dell’amica Anna Ruchat. All’arrivo abbiamo girato nelle vie del centro, ordinato e pulito come sempre nella noiosa Svizzera. Poi a un certo punto ci siamo separati, Anna è andata da un editore e io prima a fare il turista della storia al cafè Voltaire, poi al museo della città, un gioiello pieno di gioielli inaspettati. Alcuni meravigliosi Van Gogh, Mondrian, Picasso, tanti Giacometti, un grande e bellissimo Francis Bacon e tanto altro. Poi ci siamo ritrovati io e Anna per andare verso il vero posto, verso lo scopo del viaggio.
In taxi abbiamo raggiunto un’anonima palazzina su due piani verde col tetto spiovente, ai bordi della città. Una volta infilatici dentro e fatte un po’ di scale abbiamo trovato aperta la porta dell’appartamento che ci aspettava. Siamo entrati in un salottino ordinato e semplice, arredato con una libreria e uno scrittoio. Adiacente una camera da letto con un letto singolo contro la parete. Lì giaceva coricata Mariella Mehr, la grande poetessa che volevo fotografare per poi fare un ritratto a olio per la mia serie di ritratti di poeti.
Ero un po’ teso perché non era stato facile combinare questo incontro, come non era nemmeno facile approcciarsi a Mariella che, da quel che mi avevano detto, aveva un caratteraccio ed era restia agli incontri con gli sconosciuti, figuriamoci se per farsi fotografare. Aveva tutte le ragioni del mondo, non solo per la sua disabilità e precarie condizioni di salute, ma anche perché in generale è una rottura di palle ricevere uno sconosciuto che ti vuole piazzare un obiettivo fotografico in faccia… “che vuole da me questo rompicoglioni?” era il minimo che poteva pensare.
Sono entrato nella camera dopo qualche istante, Anna era già dentro che chiacchierava con lei e la informava della mia presenza. Al mio ingresso sono stato presentato, ho salutato e fatto due commenti stupidi come sempre quando si è a disagio. Lei era nel suo letto singolo e fumava sdraiata su un fianco, a terra posaceneri e piattini con qualcosa da mangiare, in modo che non si doveva muovere dalla posizione orizzontale. Per non prolungare la mia (e la sua) situazione di imbarazzo sono uscito dalla camera e mi son messo a curiosare, con pudore, nella sua scrivania e nella libreria.
Dopo qualche minuto Anna mi ha raggiunto e mi ha detto “si alza e usciamo, andiamo a pranzo insieme”. Cavolo! Questa sì che è una notizia! Dentro di me ero felice ma in modo trattenuto; ero preoccupato. Un giro fuori e un pranzo era quello che serviva veramente a creare una situazione rilassata e normale, ma anche imprevedibile. Poteva tranquillamente dirmi niente foto, e a quel punto avrei dovuto mandare giù il rospo con tutto il tavolo e la bottiglia di vino, e tornarmene in Italia senza il ritratto e col solo ricordo di un momento condiviso.
Anna è tornata da lei in camera, l’ha aiutata a prepararsi e dopo un po’ col sostegno di entrambi siamo riusciti a farle scendere le scale e poi ad arrivare pian piano fino al taxi che ci aspettava in strada. Una volta a tavola nel ristorante, con discrezione ho appoggiato sul tavolo in bella vista la vecchia Nikon armata col 50mm (che in tempi di smartphone sembra più una mina anti carro); in questo modo lei cominciava ad abituarsi alla presenza dell’attrezzo e a capire che non avrei fatto la solita foto social col cellulare, bensì una vera e propria razzia organizzata della sua bella faccia.
Abbiamo pranzato e chiacchierato simpaticamente; lei era felice, sorridente e partecipe. Non poteva andare meglio. A un certo punto, quando l’acqua non è più il pane e quando il vino non è più nella bottiglia, ho acceso la Nikon, l’ho guardata negli occhi e le ho detto, “Mariella, mírame”. Lei sapendo quello che c’era da sapere cambiò faccia alla conversazione e ai gesti da tavola, si isolò, raddrizzò il torso e mi puntò col suo occhio principale; io con calma e col ferro in mano la puntai senza guardare nel mirino, senza quel gesto fotografico di osservare dal visore ma guardandola veramente, nell’occhio con cui lei mi fissava. Era diventata lei per me.
Sparai diversi colpi lenti, scanditi, seguiti da un momento di totale quiete nello spazio; lei non guardava l’obiettivo, guardava me in un incontro retinico che si prolungò un istante.
Abbassai l’arma. Pochi scatti, solo il viso, niente altro, senza esagerare.
Lei tornò nella posizione iniziale, riprese i suoi gesti e tutto continuò a muoversi e rumoreggiare come prima.
In copertina: Mariella Mehr fotografata da Abel Herrero, Zurigo 13 dicembre 2018 (Diritti riservati)