A Parigi il museo Jeu de Paume presenta Les pieds dans l’eau, la prima mostra dedicata a Jean Painlevé (1902-1989), cineasta di reputazione internazionale e specialista di film scientifici e nuove tecniche cinematografiche. Il 9 e il 10 settembre il museo, assieme al CNAM (Centro Nazionale Arti e Mestieri), dedicherà due giornate di studio all’opera di Painlevé dal titolo Cinema e scienza. Dopo aver visto la mostra ho incontrato la curatrice alla quale ho rivolto alcune domande.

© Les Documents Cinématographiques / Archives Jean Painlevé Henri Manuel
MONICA BIANCARDI: L’esposizione si snoda lungo un percorso ambientato tra videoproiezioni collocate su più altezze che lo spettatore, immerso in uno spazio mirabilmente oscurato, segue stando in piedi o accomodandosi in salette cinematografiche realizzate ad hoc. La scelta di esporre l’opera di quest’artista, il cui occhio ha saputo indagare il mondo naturale al microscopio convogliando l’attenzione sull’ambiente dei microorganismi, esseri molto fragili all’interno dell’ecosistema, vuole essere anche un invito a riflettere sul cambiamento climatico che stiamo vivendo?
PIA VEWING: Anche. Trattandosi di una figura poco nota al grande pubblico, mi premeva metterla in contatto con gli ambienti scientifici mostrando come la sua opera sia riuscita appunto a far incrociare la scienza con l’arte. La scienza ci serve a riflettere sul nostro rapporto col nostro pianeta, con la flora, la fauna, i minerali e gli altri pianeti del sistema solare; e Painlevé, col suo lavoro prezioso, poetico e didattico al tempo stesso, condivide la sua conoscenza utilizzando come medium il cinema; oggi lo si fa con instagram, youtube e gli altri social media.
MB: Possiamo quindi definire il suo un approccio tanto artistico che pedagogico?
PV: Esattamente; l’educazione popolare e la condivisione delle conoscenze è fondamentale nel nostro rapporto con il mondo ma soprattutto per comprenderne l’evoluzione, per agire meglio nella società e nel rispetto della Terra e della vita. La volontà di condividere il sapere, insegnando al tempo stesso, è uno degli aspetti che più m’interessa del progetto d’artista di Painlevé: alle giornate di studio a lui dedicate, il 9 e 10 settembre, ho invitato Bernadette Bensaude-Vincente, filosofa e storica della scienza, proprio per parlare del rapporto che ha oggi il grande pubblico con la scienza, e quanto questo sia cambiato rispetto al passato.
MB: A tal proposito, oggi la società si confronta con tecnologie che si rinnovano continuamente e, tra i temi, sembra tenere soprattutto a quello della sostenibilità. All’epoca di Painlevé quanto era interessato il pubblico a queste invenzioni?
PV: Negli anni Trenta la gente era vicina alla scienza perché le innovazioni tecnologiche cambiavano direttamente la vita delle persone: si pensi alla radio, la radioscopia, la televisione; o alla chirurgia estetica, che si è evoluta solo dopo la Prima guerra mondiale. Painlevé ha assistito a tutto questo ed è diventato uno dei principali protagonisti del cinema scientifico.

MB: Painlevé ha dedicato più di duecento film all’ambiente marino: da cosa deriva questa specifica predilezione?
PV: Aveva studiato biologia nel 1922 alla Sorbonne con Paul Wintrebert, embriologo ed eminente rappresentante dell’Accademia scientifica che lavorava anche alla Stazione Biologica di Roscoff, in Bretagna. Wintrebert faceva fare pratica ai suoi studenti sugli animali vivi, e non attraverso l’antica pratica della dissezione, utilizzando per di più la tecnica cinematografica per riprendere tutti i movimenti e i cambiamenti dei microrganismi. È qui che Painlevé viene iniziato a questo tipo di ricerca. Tra l’altro una sua compagna di studi gli presenta la sorella, Geneviève Hamon che sarebbe diventata la sua principale collaboratrice, compagna di vita e anche ispiratrice, la cui famiglia anticonformista risiedeva a Port-Blanc in Bretagna, ai bordi della spiaggia. Geneviève si rivelerà un prezioso aiuto per l’artista che in quei luoghi pesca gli animali che trasporta nell’acquario, in casa, dove predispone uno studio adatto a fare le riprese.
MB: Ripeto sempre ai miei studenti che nelle biografie si trovano le risposte per comprendere l’arte e lo stile dei creativi. Nella prefazione al catalogo, Quentin Bajac, il direttore del Jeu de Paume, parla della volontà di fare luce sul ruolo fondamentale esercitato da Geneviève Hamon, il cui supporto è stato sottaciuto troppo a lungo.
PV: Dal loro incontro, avvenuto negli anni Venti, Hamon non ha mai smesso di stare al fianco di Painlevé, assistendolo ed elargendogli utili consigli, sicuramente anche dal punto di vista creativo. Il suo prezioso contributo va ben oltre ma è solo a partire dagli anni Sessanta che inizia a firmare le collaborazioni e quindi le viene accreditato un riconoscimento riguardo a quell’impresa enorme.

MB: Alcune opere di JP hanno un approccio decisamente artistico. Quanto ne era consapevole? Le considerava comunque una forma di documentazione scientifica?
PV: No. Molto presto stabilisce queste categorie: film di divulgazione che lui stesso definisce essere per il grande pubblico; film di ricerca metodologica; film scientifici. I primi, che sono i primi venti dei duecento film da lui prodotti, sono quelli che noi consideriamo “opere”. I secondi sono film esplicativi nei quali riprende artisti al lavoro. Gli ultimi, realizzati anche su commissione, riprendono esperimenti di scienziati che fanno ricerca: questa parte della mostra, completamente inedita (a parte un film a colori del ’65, Les Amours de la Pieuvre), è fondamentale per comprendere come uno scienziato possa approdare all’arte. Penso che queste ultime immagini abbiano influenzato il suo modo di vedere più dello stesso movimento surrealista, e siano il nutrimento più importante della sua produzione. Ad esempio I cristalli liquidi, del ’72, è un film sulla geometria e sulla forza polarizzatrice delle proprietà ottiche dei cristalli, la cui forma, struttura e colore, osservate al microscopio, si modificano trasformandosi in opera visiva. Questo film non sarebbe esistito se Yves Bouligand, specialista della materia, non gli avesse chiesto di accompagnarlo nei suoi esperimenti. In un primo momento Painlevé produce un film “scientifico”, di 36 minuti, sul lavoro dello scienziato; sei anni dopo, dallo stesso materiale, trae un’“opera” di sei minuti. Questa porosità fra l’approccio artistico e le ricerche scientifiche del tempo è l’aspetto chiave del suo lavoro.
MB: Secondo Walter Benjamin «una delle funzioni rivoluzionarie del cinema sarà quella di far riconoscere l’identità dell’utilizzazione artistica e dell’utilizzazione scientifica della fotografia, che prima in genere divergevano». Si può dire che l’opera di Painlevé sia stata la prima ad associare una visione poetica a quella scientifica?
PV: Sarei cauta. Ci sono stati prima di lui scienziati che hanno prodotto immagini magnificamente poetiche che tocca a noi capire e apprezzare. Ricercatori francesi come Étienne-Jules Marey, fisiologo e inventore della cronofotografia interessato al movimento in tutte le sue forme, o Jean Comandon, medico e primo biologo ad aver reso popolare il cinema scientifico, hanno coltivato questa medesima armonia poetica, ma anche cineasti di altri paesi che producevano film per il grande pubblico.

MB: È con queste figure in effetti che il cinema al microscopio diventa strumento di conoscenza, prima con Marey e subito dopo con Comandon: che si procura le attrezzature di ripresa grazie all’editore Pathé in cambio di una fornitura di film scientifici da distribuire sia nei circuiti popolari che in quelli specializzati, e che collabora con Painlevé per creare l’ICS (Institut de Cinématographie Scientifique). Grazie a questo progetto e alle sue frequentazioni con rinomati registi e scienziati, prende forma la più compiuta riflessione di Painlevé sul film scientifico, anche grazie all’acquisizione di altre opere, non solo francesi ma anche straniere. L’intera operazione è autofinanziata e solo dopo la guerra, per i danni subiti, Painlevé accetta finanziamenti pubblici che in precedenza aveva sempre rifiutato. Perché riteneva che il sostegno economico potesse influenzare negativamente i suoi progetti?
PW: Non voleva interferenze nel suo lavoro e non accettava di sottostare a nessuno. Voleva essere considerato un cineasta indipendente, e lo è stato davvero. Anche per questo, dagli anni Trenta sino alla sua morte, Painlevé è stata una personalità rispettata. Un altro aspetto da considerare sono le risorse economiche di cui disponeva: alla morte della madre aristocratica, quando aveva appena sei mesi, aveva ereditato una fortuna; ma anche suo padre era un personaggio di enorme rilievo con una base economica non da meno. Un esempio: per L’Ippocampo (1931-1934), girato per 72 ore no-stop in 35 mm, occorse un’enorme quantità di pellicola. Dall’indipendenza economica deriva in parte la sua libertà di azione.
MB: Con l’amico Yves Le Prieur, militare e inventore, Painlevé fonda a Saint-Raphaël nel ’35 il «Club des Sous-l’Eau»; ma già dal ’33 Le Prieur posa per lui nelle riprese subacquee. Quali furono le difficoltà di questa impresa?
PW: Yves Le Prieur inventa lo scafandro da sub e collabora alla realizzazione dell’Ippocampo; ma questo, come gli altri film dell’amico, venne realizzato nell’acquario. Bisogna tener conto che Painlevé era, oltre che un matematico brillante, figlio di un ministro: le sue imprese venivano seguite dalla stampa internazionale (in Italia per esempio escono tanti articoli su di lui, soprattutto sulla rivista «Sapere»). Numerose fotografie, che lo ritraggono in tenuta subacquea, contribuiscono in poco tempo a costruire il suo mito: sempre sottacendo che quei suoi lavori venivano girati in studio.

MB: A proposito di Paul Painlevé: è il padre di Jean che avrebbe fatto in modo di ottenere il rilascio di Philippe Halsman, accusato di parricidio. Liberato nel ’31, il grande fotografo si trasferisce a Parigi guadagnando rapidamente la fama come fotografo di moda e ritrattista di celebrità. In seguito all’uscita dell’Ippocampe Halsman collabora con Painlevé: mi dici qualcosa sulla loro relazione?
PV: Halsman all’epoca era molto conosciuto come fotografo di moda e su commissione si occupa di realizzare il catalogo fotografico per il marchio JHP, frutto del successo dell’Ippocampe, in seguito al quale Painlevé si lancia nella creazione di stoffe e bijoux. Da quel sodalizio, ogni anno per fargli gli auguri di Natale, il fotografo invia al cineasta una cartolina realizzata con le tecniche del fotomontaggio.
MB: Il grande Jean Epstein, sostenitore del cinema come forma d’arte, sosteneva che bisogna saper cogliere la bellezza intrinseca in qualsiasi cosa venga fotografata o filmata: «io credo che se si vuol capire come un animale, una pianta, una pietra possa suscitare rispetto, paura, orrore, tre sentimenti particolarmente sacri, è necessario veder vivere sullo schermo le loro vite misteriose, mute, estranee alla sensibilità umana» (Le cinematographe vu de L’Etna, 1926). Anche per Painlevé la base del cinema era la fotogenia?
PV: Sicuramente. Anche se i due non hanno mai lavorato insieme. Sono ancora da approfondire i rapporti che Painlevé intratteneva con gli intellettuali del tempo, come Pierre Prévert, Alexander Calder di cui era grande amico, Jacques-Alain Boiffard, Luis Buñuel, Éli Lotar, che fa da capo operatore in quattro dei suoi film; ma il personaggio più rinomato della sua cerchia di conoscenti è sicuramente Sergej Ėjzenštejn.

MB: Alle giornate di studio del 9 e 10 settembre, Marie Rebecchi parlerà della relazione tra Painlevé ed Ėjzenštejn. È stata lei a mostrare come dal loro incontro, nel ’30 a Parigi, i due avessero stretto un’amicizia duratura testimoniata dalla successiva corrispondenza; in una lettera Ėjzenštejn ringrazia il padre dell’amico Paul Painlevé, che gli ha risolto un problema di visto per una conferenza che doveva tenere alla Sorbonne, reputandolo il solo concorrente a Notre Dame de Lourdes in materia di miracoli… A quanto pare la figura paterna è stata molto presente nella vita professionale di Jean.
PV: Paul Painlevé ha ricoperto cariche importantissime sia in ambito matematico che politico; suo figlio appartiene a un’élite culturale che indubbiamente gli ha portato dei vantaggi, ma che ha saputo anche mettere in discussione cimentandosi in nuove esperienze. Si pensi alla sua esperienza come attore con Antonin Artaud in Mathusalem ou l’eternel bourgeois del ’27 o nell’Inconnue de six jours del ’26.
MB: Scienziato, artista, biologo, Painlevé frequenta il milieu surrealista, fucina d’idee artistiche anticonvenzionali più che mai in quel periodo storico. La scelta di mostrare soprattutto i film realizzati negli anni Trenta vuole anche essere un omaggio a Parigi?
PV: Non ho mai pensato a questo. È una buona domanda.
MB: Va bene, la lasciamo aperta. Qual è il coinvolgimento di Painlevé col comunismo?
PV: Più che comunista è un anarchico che frequentava intellettuali di sinistra come Maurice Parat, tragicamente scomparso in gioventù per un naufragio, o suo cugino Pierre Naville, comunista convinto, teorico del surrealismo letterario e segretario di Trockij in Francia. Augustin Hamon, che con la moglie Henriette traduce George Bernard Shaw, è un vecchio anarchico fattosi poi militante socialista e antifascista. Anche Painlevé si schiera contro il fascismo a partire dal 1930, quindi decisamente prima di altri, probabilmente grazie al padre che è al corrente dei fatti. Il suo pensiero libero, che contesta la dottrina tradizionale e l’educazione nazionale, è frutto di queste diverse educazioni anarchiche e indipendenti. Coinvolto nella Resistenza, fa parte del Comitato di Liberazione del Cinema Francese (CLCF), fondato clandestinamente nel ’43, e contribuisce a organizzare il cinema di liberazione. Lo definirei, semplicemente, un uomo di sinistra.

MB: Ultime due domande: quando si è concepita questa mostra? E in futuro la si potrà vedere altrove?
PV: La prima idea è stata concepita nel 2017, durante la mostra che ho curato con Damarice Amao su Éli Lotar. Hai ragione a dire che la biografia delle persone spiega a volte molte delle loro scelte: da giovane ero appassionata di biologia marina. È un universo che amo molto; trovo sia più facile conoscere il mondo vegetale rispetto a quello sottomarino e questo ne aumenta il fascino. In autunno la mostra verrà allestita al Fotomuseum di Winterthur, in Svizzera, poi al Point du Jour di Cherbourg, e probabilmente altrove.
MB: Sarebbe bello se approdasse in Italia
PV: Certo. Painlevé ha lavorato anche a Napoli, alla stazione zoologica Anton Dohrn, dove a suo tempo aveva lavorato anche Marey…

Jean Painlevé. Les pieds dans l’eau
a cura di Pia Vewing
Parigi, Jeu de Paume
fino al 18 settembre 2022
La mostra è organizzata in collaborazione con Brigitte Berg, direttrice dei Documents Cinématographiques / Archives Jean Painlevé; verrà ripresa dal 28 ottobre al 12 febbraio 2023 al Fotomuseum Winterthur.
In copertina: Jean Painlevé, Étoile de mer, c.1930, épreuve gélatino-argentique contrecollée sur carton Centre Pompidou, Paris – musée national d’art moderne / Centre de création industrielle© Les Documents Cinématographiques / Archives Jean Painlevé