Obbligato allo zero

27/07/2022

Da qualche anno in qua (direi dalla grande mostra a Palazzo Reale del 2014) le cose sono cambiate, almeno un po’, ma davvero non pare un caso che un artista in molti sensi profetico, come Piero Manzoni, per troppo tempo non sia stato considerato tale in patria. L’abrasione delle convenzioni “borghesi” – come sprezzante le definiva lui che del resto, di sangue blu com’era, con la borghesia non aveva granché da spartire – rappresentata dalla sua opera, sino allo scandalo assoluto (e persistente) della Merda d’artista, era tanto più urticante – si capisce – nel suo ambiente di provenienza.

E poi, a Manzoni viaggiare è sempre piaciuto. All’estate del ’52 risale un “mitico” vagabondaggio in autostop, tra Belgio e Francia, che a un paio d’anni di distanza viene a lungo rievocato in termini già mitobiografici nelle pagine del Diario (documento fondamentale pubblicato nel 2013, nel cinquantennale della morte, a cura di Gaspare Luigi Marcone da Abscondita). Nel ’60, riprendendo un titolo già di Duchamp e di Bruno Munari, Manzoni curò una mostra di Sculture da viaggio per la galleria Trastevere di Roma. Viaggiava “leggero”, Manzoni. Ma si portava sempre dietro – chissà chi si può incontrare in giro – opere di pronto intervento, tableaux de poche che svolgevano la funzione degli smartphone sovraccarichi di .jpg dai quali non si separano mai i giovani artisti d’oggi. Sulla sua Cinquecento caricava un po’ di scatole, grandi e piccole, si accendeva una sigaretta e via. In quel modo, sul finire degli anni Cinquanta e all’inizio dei Sessanta, Manzoni ha girato tutta Europa: primo artista italiano a muoversi in una dimensione internazionale, global.

Sempre al 2014 risalgono due contributi fondamentali, in questa direzione: Electa pubblica Piero Manzoni e ZERO. Una regione creativa europea di Francesca Pola; e si tiene a Milano una giornata di studi (i cui atti escono tre anni dopo, per l’editore Carlo Cambi, col titolo Piero Manzoni. Nuovi studi) fra i cui interventi c’è quello di Paolo Campiglio dal titolo Piero Manzoni olandese: che è alla base del libro appena uscito da Abscondita, «Caro Hans…». Il carteggio con Hans Sonnenberg (1958-1963) (pp. 173, € 22). Sonnenberg (1928-2017), benestante broker di Rotterdam, è un giovane ma già influente collezionista e gallerista, e Manzoni lo conosce per caso. Nella primavera del ’58 ha appena tenuto la sua prima personale alla Galleria Pater di Milano, dove ha presentato i suoi «quadri bianchi»: gli Achromes che riprendono, radicalizzandola, la poetica monocroma che di recente Yves Klein ha reso celebre. Senza stare troppo a pensarci, appena smonta la mostra milanese, spedisce diciassette quadri in Olanda e salta in macchina con due Achromes più piccoli. Quattro giorni dopo è a Rotterdam ma il direttore della galleria cui l’hanno indirizzato appena disimballa gli Achromes sbianca (è il caso di dire); non solo non pensa neanche a esporli, ma si rifiuta persino di pagare le spese di trasporto. Manzoni non si perde d’animo. Gli dicono che una galleria davvero interessata al nuovo, in città, c’è: è il Rotterdamische Kunstkring. Ci va quello stesso pomeriggio, ma trova chiuso. Viene da pensare all’ultima pagina del Diario, della primavera del ’54: «Mi sento un fallito in pittura, un fallito in tutto». Ma nel frattempo uno dei suoi maestri, Beckett, gli ha insegnato che si può sempre «fallire meglio».  Così, proprio mentre Piero se ne sta allibito davanti a quella porta chiusa, passano lì per caso lo scultore Gust Romijn e la moglie Nelletje, che si offrono di aiutarlo. E organizzano una cena, la sera dopo, con il principale collezionista di Gust: è Hans Sonnenberg, appunto, che resta impressionato dai «quadri bianchi» e propone al direttore del Kunstkring, Ludo Pieters, di fargli una mostra. Da quel momento in poi saranno questi gli amici olandesi di Piero: che si faranno sempre in quattro per lui, e lo accoglieranno festosi le non poche volte che ripasserà da quelle parti (si aggiungeranno presto, al petit comité, l’architetto e designer Martin Visser e la moglie Maria, eredi della sensibilità modernista di De Stijl e a loro volta collezionisti di rilievo; il rapporto di Manzoni con loro è ricostruito, nel volume, da un preciso saggio di Irene Stucchi).

Detto, fatto. La mostra di Rotterdam va in scena il 10 settembre; Manzoni non può essere presente ma c’è anche il sindaco della città, che s’inalbera davanti a quelle «lenzuola bianche». La stampa rincara la dose: «superfici completamente bianche, coperte da grinze. Quindi in realtà non si vede nulla. Va be’, giusto alcune rughe». È il tipico successo di scandalo, di quelli che in patria Manzoni collezionerà in serie. Ma nel frattempo Sonnenberg ha pensato bene di rilanciare. Peters e i Romijn pensano che la sensibilità dell’amico italiano si sposi con la loro, ed è tempo di fare gruppo. Il nome, «Zero», lo inventa Nelletje: la quale probabilmente non sa che già da un paio d’anni due artisti di Düsseldorf, Heinz Mack e Otto Piene, hanno dato vita a un gruppo con lo stesso nome, intitolando «ZERO» (a tutte maiuscole) anche una rivista. Un nome che, spiegheranno, indica il «punto silenzioso e indefinito di trapasso da una concezione vecchia a una nuova, in cui tutto è ancora possibile ma tutto sta per accadere». Piero invece è in contatto anche coi tedeschi, e presto esporrà anche insieme a loro. I quali però non prendono benissimo l’omonimia, e nell’estate del ’59 scrivono a Sonnenberg una letteraccia accusandolo di plagio e intimandogli di cambiare nome al suo gruppo (il quale in effetti si ribattezzerà a un certo punto, palindromo, Orez). Per un po’ Manzoni non si perita di tenere il piede nelle due staffe ma – probabilmente pressato dagli amici tedeschi – nel marzo del ’60 scrive al manager olandese la lettera (che riportiamo qui dalla pubblicazione Abscondita, come le due successive, per la cortesia dell’editore e della Fondazione Piero Manzoni) tentando di smarcarsi. Invano. Perché – scrive Campiglio – Sonnenberg non ha certo le pretese teoriche dei tedeschi: «si rivela nel tempo più mecenate e gallerista che intellettuale engagé, non dando troppa importanza alle questioni di poetica». Risponde infatti «io non amo le teorie, io amo la pittura», «solamente le opere sono interessanti e quindi si deve esporre con 2 Zero, o 12 Zero, o 24 Zero». Per lui, insomma, non c’è problema. E Piero, sollevato, acconsente. Continuerà come se nulla fosse, con piena soddisfazione, installato in quell’eloquente doppio zero al centro dell’Europa.

Lasciando da parte le discussioni di primazia – stucchevoli spesso, nell’aneddotica delle avanguardie, ma particolarmente paradossali in questo caso, avendo a che fare con lo Zero – la coincidenza storica pare in ogni caso eloquente di un clima, di una nuova «zona della sensibilità» (per dirla à la Klein).  Nel ’53 era uscito un saggio capitale nella teoria letteraria del Novecento, Le degré zéro de l’écriture di Roland Barthes: nel quale «scrittura al grado zero» è definita quella in cui «i caratteri sociali o mitici di un linguaggio si annullano a vantaggio di uno stato neutro o inerte della forma». E un orizzonte neutro è appunto quello in cui prende senso un’affermazione come quella assai nota di Manzoni, «non c’è nulla da dire: c’è solo da essere, c’è solo da vivere». Anche agli amici poeti Novissimi – a lungo gli unici, in patria, a prestare a Piero una loro «violenta fiducia» – è familiare quella dimensione. Fra i primi a scrivere di lui c’è il giovane Leo Paolazzi, che non ha ancora preso il nom de plume di Antonio Porta; e che pubblica nel ’63 un poemetto-collage che s’intitola proprio Zero (per poi commentarlo con un saggio dal titolo barthesiano Il grado zero della poesia), al quale conferisce un «senso del tragico».

Ed è proprio questo l’implicito retrogusto hilarotragico del risus purus di Manzoni. Sempre nelle pagine del Diario, il 12 aprile 1954, in una specie di flusso di coscienza aveva scritto: «Voglio fare qualcosa… […] sono un raffinato signore niente… sono, … siamo tutti merda». Non c’è solo, fragorosa, l’anticipazione del succès de scandale per antonomasia di sette anni dopo. C’è soprattutto l’ambivalenza di quello spazio aperto potenzialmente illimitato, che però è segno pure di una riduzione nichilista che può destare tanto un’allegria istericamente neodada (come nel Manifesto contro niente per l’esposizione universale di niente firmato da un congruo numero di artisti Zero svizzeri italiani e tedeschi, fra i quali anche Manzoni: «Vendita di niente, numerato e firmato. La lista dei prezzi è a disposizione del pubblico. All’inaugurazione non prenderà la parola nessuno. Su questo catalogo non è riprodotto niente». La mostra fantasma è annunciata per il 1° aprile, naturalmente, del 1960) che un sentimento più indefinibile d’angoscia, più vicino a quello che un altro cattolico refoulé come Porta chiamava, s’è visto, «senso del tragico».

Nell’estate del ’62 Sonnenberg gli dice che al Kunstkring si sta organizzando una mostra sul mare, e all’amico olandese Manzoni risponde con un progetto sinora del tutto inedito (ricordato dal gallerista nel suo diario, riportato da Campiglio): «Piero ha anche proposto per questa mostra di posizionare un grande pezzo di vetro e di versarvi sopra bottiglie di acqua di mare». È la stessa idea che cinque anni dopo avrà un altro che il cielo aveva caro, Pino Pascali, coi suoi 32 mq di mare circa. Va un’ultima volta a trovare gli amici di Rotterdam, il 1 ° febbraio del ’63, e discute con Sonnenberg l’idea di fare con loro un suo catalogo generale – gesto anche questo provocatorio, se si vuole, per un artista ancora ventinovenne. Ma Manzoni non farà in tempo a vederli: né quel libro né quel mare. Appena cinque giorni dopo, non era più di questa terra.

Andrea Cortellessa

Busta della lettera di Piero Manzoni, 29 agosto 1959
© Museum Boijmans Van Beuningen, Rotterdam

Milano, 31 marzo 1960 [timbro postale]

Caro Hans,

sono molto in imbarazzo: tu sai, credo, che c’è in Germania una rivista che si chiama ZERO. Questa è la rivista dei pittori monocromi, acromi ecc. quindi è una pubblicazione con la quale io sono obbligato per natura a collaborare.

Capisci dunque che non posso lavorare con due ZERO contemporaneamente: non sarebbe serio e creerebbe molta confusione.

Quindi non posso più far parte del gruppo ZERO, in particolare per quanto riguarda le mostre in Germania, perché questo potrebbe generare veramente molta confusione e sarebbe gettare cattiva luce sia sul gruppo Zero, sia sulla rivista Zero, sia su me stesso.

Mi dispiace veramente molto, perché ho collaborato con il gruppo Zero con tutto il mio entusiasmo e l’ho trovato davvero un ottimo gruppo. In tutto questo sono sempre disposto a trovare con te la soluzione migliore che non danneggi gli interessi del gruppo.

Credo tu capisca la mia situazione: scrivimi, dunque, e scusami per il nuovo fastidio che ti sto arrecando; in tutto ciò spero di passare da Rotterdam all’inizio di luglio per incontrarvi.

A presto
Piero Manzoni

Ecco alcuni indirizzi di giovani pittori che potrebbero prendere il mio posto in alcune mostre in cui non potrò esserci:
Carena, c/o Notizie, piazza Cesare Augusto 1, Torino
Verga, via Melzo 11, Milano
M. Massironi, via Dante 4, Padova
A. Vermi, Bar Giamaica, via Brera 32, Milano
C. Guenzi, via Solferino 28, Milano
Ettore Sordini, «La Salita», salita S. Sebastianello 16 c, ROMA
Samonà, piazza S. Callisto 9, ROMA

Copertina del catalogo della mostra Zero, Galleria Appia Antica, Roma, 1959

Rotterdam, 8 aprile 1960

Caro Piero,

ho ricevuto la sua lettera del 31 marzo. Mi scrive che ha paura che la sua collaborazione a due Zero genererebbe molta confusione. Io non lo credo affatto! Confusione nei confronti di chi?

Nessuno è interessato all’arte dei nostri tempi. E la piccola cerchia degli interessati è ben informata che il gruppo Zero è un gruppo che esporrà stili diversi, mentre la rivista Zero è una rivista di pittori monocromi e acromi ecc. Chiaro, ma non abbastanza per concludere la sua collaborazione.

La sua lettera è stata scritta basandosi su una teoria!! Io non amo le teorie, io amo la pittura. Amo le opere espressioniste e le pitture acrome e monocrome di Dahmen e Manzoni. Me ne frego dei proclami, dei cataloghi e dei manifesti di poetica. Rido di tutto quello che si dice e si scrive sull’arte.

Io colleziono. Solamente le opere sono interessanti e quindi si deve esporre con 2 Zero, o 12 Zero, o 24 Zero. E soprattutto ho già preso accordi preliminari con lei per Eindhoven e Colonia. Ho avuto molte difficoltà per essere introdotto in quei musei e non voglio disturbare i loro direttori con delle sciocchezze. Mi scusi se non capisco la sua situazione!!

Sarò molto contento di vederla qui a inizio luglio: le mostrerò la mia nuova galleria a L’Aia.

A presto, con amicizia

Hans

P.S. È possibile riuscire ad avere qualche opera di Fontana per Orez??
Si ricordi del francobollo. Grazie!

Una delle pagine dedicate al gruppo Zero nella rivista “Azimuth”, 1959

Milano [18 aprile 1960]

Caro Hans,

grazie della tua lettera: hai ragione, ma comunque a me non piacerebbe esporre a Colonia (ma alla fine fa’ come vuoi). Cerca di capirmi, io sono un pittore, non un outsider, perciò amo le teorie, le mie teorie! (Ma resto con il gruppo.) Congratulazioni per la tua galleria: è una cosa formidabile! Køpcke mi ha chiesto di fare una mostra a Copenhagen: vorrei portarci due quadri di quelli che sono da te perché non ho più nulla di quel tipo di opere. Se c’è qualcuno che va a Copenhagen e può portare una o due opere mie, mi farebbe un gran piacere, ma comunque non vorrei disturbarti: non è una cosa importante. Spero di passare per Rotterdam a luglio: a ogni modo ti aspetto sempre qui in Italia, a Milano!

A presto, con amicizia

P.S. Bohemen è riuscito a organizzare qualcosa in Italia? Per avere le opere di Fontana bisogna scrivere alla Galleria Blu. L’ultimo francobollo era danneggiato: te ne mando un altro che avevo conservato.

P.S. Dahmen fa dei monocromi?

Mia e Martin Visser, Nizza, agosto 1964. Foto Ad Petersen, courtesy Thea Houweling

Piero Manzoni
Caro Hans… Il carteggio con Hans Sonnenberg (1958-1963)
A cura di Paolo Campiglio
Abscondita, 2022
pp.173, € 22

Per i testi di Piero Manzoni: © Fondazione Piero Manzoni, Milano.
Per i testi di Hans Sonnenberg: © Peter van Beveren, L’Aia.

In copertina: Piero Manzoni, Achrome, 1958-1959 © Fondazione Piero Manzoni, Milano

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