Per Mariangela Gualtieri scrivere per il teatro è stato l’impulso originario e per il Teatro Valdoca (da lei fondato insieme al regista Cesare Ronconi nel 1983) i suoi testi sono, reciprocamente, le fondamenta. Da questa relazione fra poesia e teatro, inscindibile unità fra testo e spettacolo (il cui rapporto segna sempre una vitale contraddizione) si evince che la poesia, prima di essere testo scritto sulla pagina, è oralità: come per gli antichi aedi, poggia sulla presenza viva del corpo voce che la proferisce. E questo è il tratto teatrale della scrittura di Mariangela Gualtieri, che porta in prima persona i suoi testi al cospetto di spettatori-ascoltatori, non affidandoli alla sola pagina scritta. Da questa pratica dell’evento live nascono i suoi testi destinati al teatro e anche L’incanto fonico, un saggio poetico sul dire la poesia: libretto di istruzioni in cui in dodici paragrafi l’autrice distilla la sua riflessione sul dire la poesia come patrimonio di Arte Orale: «Un’arte misconosciuta, oggi poco praticata e invece antica quanto la poesia, la quale nasce appunto come evento sonoro, recitata a memoria, cantata». Questo testo agile e intimo, un dire rivolto a una persona di famiglia con affetto e autenticità, è come un prontuario: manifesta il tono diretto ed essenziale di una militanza poetica che si esercita da quaranta anni, una pratica che è in sé un inno alla poesia, vissuta nell’ascolto collettivo di chi la proferisce di fronte a tante persone, non in solitudine e in silenzio dalle pagine di un libro.
Come tutti i prontuari contiene dei lemmi (Il silenzio, Sulla poesia, Il metro, La voce, Come mettersi lì, A memoria, by heart, par Coeur, Tecnologia sacra, La paura, Il respiro, Il pianto, L’attenzione) che fondano una poetica agile come un conversare e tutta volta al fare. Come definire la poesia, quali i suoi elementi costitutivi? Risponde Mariangela Gualtieri: «gli elementi fondanti dell’oralità sono la voce, l’orecchio, la parola, il respiro: ha ritmica, ha melodia, timbro. Musica. Tutti i poteri della musica. Tutti li ha». E quando la poesia non segue le regole metriche, quando il verso è libero, quali nuove forme di armonia “dissonante” si compongono per tenere insieme i versi? Fondamentale poi la domanda: in che senso la poesia esercita un’azione efficace in chi la pratica ascoltandola? Ecco la risposta: «Esortazione. Illuminazione. Cortocircuiti. Svelamento. Scioglimento di ghiacci interiori. Potenza di affratellamento, comprensione e compassione, risveglio della pietà. Rivolta. Profezia. Eversione». Ma per svolgere queste sue funzioni, avverte l’autrice, bisogna «strapparla alla letteratura e farne natura, suono che agisce e trasforma. Canto». E insomma far sì che la poesia diventi ascolto collettivo.
Questo prontuario poetico è anche una guida spirituale, un breviario: perché indica una via, offre un’etica di vita e di comportamento. Sono pensieri che fecondano da tempo i testi di Mariangela Gualtieri e gli spettacoli del Teatro Valdoca, come nell’ultimo ENIGMA. Requiem per Pinocchio (in prima a maggio dell’anno scorso) dove l’autrice – presente in scena – affida alla figura della fata dai capelli turchini (Chiara Bersani), cui dà voce lei stessa, l’esortazione di lasciarsi governare dalla lentezza, di affidarsi all’amore, accogliere l’altro ed essere accolti, e non obbedire alle norme che depotenziano le energie vitali: perché tutto quello che gli umani hanno fatto, comprese l’arte e la scienza, non rende la specie umana migliore: «Ebbrezza tu hai. Tu hai contentezza di fuga solitaria. Balla. Balla. Lascia perdere l’abbecedario», è l’invito che rivolge a Pinocchio.
I testi scritti da Mariangela Gualtieri per gli spettacoli del Teatro Valdoca sono proferiti dagli attori secondo particolari strategie che obbediscono alle regole della poesia e non a quelle del dialogo drammatico (fra cui l’uso della strumentazione fonica e la deformazione della voce): non c’è interpretazione di personaggi. Il testo della trilogia Paesaggio con fratello rotto[1]nasce dall’esperienza del Male, dalla sua presenza inevitabile e inaccettabile; ma nello stesso tempo indaga sul divino che è nell’uomo, sulla nostra anima prostituita e violata che «non scalpita più»; e mette in luce la valenza tragica di una visione dell’umano che si stempera nei testi più recenti). La prima parte della trilogia, Fango che diventa luce, si snoda come una cerimonia; evoca lo strazio, pronuncia la parola «amore» e parla della gioia; la seconda, Canto di ferro, esorta; la terza, A chi esita (titolo che cita una poesia di Brecht), interroga: è un viaggio iniziatico fra inferno e paradiso. Con gesti e urla straziate, parole gridate e sussurrate, l’attore, che non è mai personaggio se non nell’apparenza esteriore di un uccello, un macellaio o una geisha, lancia una preghiera verso gli spettatori. Il testo – lo spettacolo –dipinge l’orrore e nel contempo la pietà. Rappresenta il male, la mutilazione, ma in esso l’abiezione diviene splendore, la ferita dei corpi si fa luce dorata, l’orrore della vita diviene vita purissima e intensissima. Come Francis Bacon dipinge l’uomo sofferente, il dolore umano verso il quale prova pietà, in Canto di Ferro la figura del macellaio identifica la carne macellata con la crocifissione e con ciascuno di noi spettatori[2]. Dall’Oracolo, con voce impedita da un elastico che ostruisce la bocca, arriva l’impossibile profezia sul futuro di un universo umano, «mai stato così lontano da ciò che lo tiene in vita».

In Paesaggio con fratello rotto il lettore-spettatore si trova coinvolto in una lotta fra luce e tenebre, in cui a tratti queste prendono il sopravvento facendoci precipitare in densi baratri, e altrove si respira invece una solarità abbacinante. La misura tragicamente inconciliabile risiede nell’urlare la gioia come se fosse dolore e nel godere del dolore come se fosse gioia, nello scoprire l’estasi nel pathos, nel far scontrare i valori del disadorno con quelli dell’armonioso, del canto e della luce, nel comprendere il sorriso e la smorfia. In questa ambivalenza originaria che il Dio impersona si rispecchia il doppio volto, crudele e dolce, di Mariangela Gualtieri e del Teatro Valdoca: che, come nella dottrina misterica della tragedia, contempera sia il male per la separazione dall’Uno che la speranza di una rigenerazione dell’intero attraverso l’arte.
Si è detto che scrivere per Mariangela Gualtieri è un fare che poggia sull’oralità della pratica teatrale; per cui leggere i testi che sono confluiti in uno spettacolo e assistere allo spettacolo omonimo è un’attitudine complementare e integrata (dalla quale l’imperativo della scrittura scenica, negli ultimi decenni del secolo scorso, ci aveva allontanato). Questa solidale composizione, che salda il testo poetico in una messa in scena e lo propone attraverso un ascolto collettivo drammatizzato e apparecchiato con “attanti” musica luci oggetti e colori, fa sì che il testo poetico passi attraverso una cerimonia che è quella del teatro rinvigorito dalla vitalità trasformativa della poesia.
Mariangela Gualtieri
L’incanto fonico. L’arte di dire la poesia
Einaudi, 2022, pp. XIV-148, € 14
Mariangela Gualtieri
Paesaggio con fratello rotto
con una nota di Ferdinando Taviani
Einaudi, 2021, pp. X-73, € 10
Teatro Valdoca
ENIGMA. Requiem per Pinocchio
Cesena, Teatro Bonci, 14-15 maggio 2021; Roma, Teatro India, 19-27 marzo 2022
In copertina: Paesaggio con fratello rotto. Fango che diventa luce (Silvia Calderoni, la Giraffa Marianna Andrigo, l’Orso Muna Mussie, il Furetto), Cesena Teatro Bonci, 2005. Foto di Rolando Paolo Guerzoni
[1] Paesaggio con fratello rotto (2005) Tre tappe spettacolari ideate e dirette da Cesare Ronconi per tre animali, un macellaio, un oracolo, un cantore; con Marianna Andrigo, Silvia Calderoni, Leonardo Delogu, Elisabetta Ferrari, Dario Giovannini e Muna Mussie; musiche dal vivo di Dario Giovannini; campionamenti di Aidoru; scene di Stefano Cortesi; costumi di Patrizia Izzo; organizzazione di Morena Cecchetti ed Emanuela Dallagiovanna. Ai tre spettacoli Canto di ferro (2005), Fango che diventa luce (2006), A chi esita (2005) è seguita la pubblicazione della trilogia nel 2007 presso Luca Sossella. Il video del primo allestimento dello spettacolo è disponibile in rete.
[2] Riportiamo alcune parole dell’Oracolo, una delle figure – insieme a Un Macellaio, Tre Animali (Giraffa, Orso, Furetto), Un Organista – che abitano la scena di Fango che diventa luce: «abbiamo fame di una scossa / che dalla radice ci sbranchi / e dica che la vita / è più misteriosa di questo poco // Siamo stanchi di questa luce spenta / stanchi di un credo modesto che ci tiene al palo // Salute a te, bellezza intuita e tradita / a te nostro cuore mortale / voglia di intesa con l’animale».