Pasolini acquatico e felice

Nella città che al nativo Sandro Penna ha dedicato una biblioteca di quartiere, impavesando gigantografie di versi sceltissimi – tra i pochi a non esplicitare il tema ossessivo della pederastia (“Sempre fanciulli nelle mie poesie! / Ma io non so parlare d’altre cose. / Le altre cose son tutte noiose. / Io non posso cantarvi Opere Pie”) si affacciano dalla vetrina di una biblio-galleria del centro 38 quadretti fotografici ritraenti un Pasolini “acquatico e felice”, giusta la titolazione della piccola mostra.

Nella disadorna solarità di una domenica – è da crederlo – anni Cinquanta[1] sulle sponde del Tevere, Pier Paolo non dà l’idea di frequentare l’elemento liquido, come invece certi “angioletti” del sodale perugino (“Dormiva …? / Poi si tolse e si stirò. / Guardò con occhi lenti l’acqua. Un guizzo / il suo corpo. / Così lasciò la terra”), incline piuttosto a fornire del fiume una statuaria allegoria. Dal corpo asciutto, cui l’adipe non attecchirà, non stilla goccia, eppure il visitatore non si sognerebbe di riconoscere nel ritratto uno “della razza di chi rimane a terra”.

Compagno di questa gita a fiume il pittore, e poeta,[2] Toti Scialoja che realizza sotto il ponte, insieme a Gabriella Drudi, un reportage romano dal sapore bonariamente neorealista. Gli scatti del rullino “sei per sei”, provenienti dagli archivi della Fondazione intitolata all’artista romano, paiono davvero raccontare di un Pasolini “felice”, benché “acquatico” forse solo per metonimia. Non come Genesio, ragazzo di vita che nell’altro fiume, l’Aniene, annega; non come Accattone che da ponte Sant’Angelo si butta – “Vojo morì co’ tutto l’oro addosso!” – e sopra un altro ponte, quello di Testaccio, passa a miglior vita – “Ah! Mo sto bene” –: l’atletico modello, fasciato da un perizoma vagamente masaccesco ma audacemente all’altezza dei tempi e della moda, offre qui allo sguardo quasi il “positivo” dei funebri, voyeuristici nudi di Chia, “rubati” da Pedriali alla vigilia dell’aggressione all’idroscalo.

Non è il “fanciullo” dei versi di Penna citati nel titolo della mostra (“Ecco il fanciullo acquatico e felice. / Ecco il fanciullo gravido di luce / più limpido del verso che lo dice. / Dolce stagione di silenzio e sole / e questa festa di parole in me”), questo trentenne già consapevole della dimensione pubblica di un corpo esposto alla sevizia, ma nel suo sguardo, in grado ancora di godere della luminescente ghirlanda delle lucciole, un che di festivo, se non “felice”, Scialoja e Drudi devono pur aver intercettato, nel chiarore meridiano di quella giornata tiberina. D’altra parte, l’imperizia tecnica dello scrittore-cineasta, a sua volta impegnato dietro la macchina come fotografo della domenica, non impedisce di riconoscere, nella sfocata immagine della coppia di amici, i segni di un’intima intesa.

Molta acqua è passata sotto i ponti di Roma da quella “domenica”, ma sotto Ponte Sant’Angelo, dove posa Pier Paolo, passava allora la miglior parte della cultura visiva del secondo dopoguerra, mercé della zattera del “ciriola”, vera e propria galleria galleggiante escogitata da Emilio Villa per permettere a Mimmo Rotella, nell’aprile del ’55, di esporre i suoi primi décollages, e agli altri sei pittori del “gruppo del Tevere” di smaltire “le pigrizie postume della cultura figurativa postbellica”[3]. Secondo il pungente parere di Milton Gendel “The group had coherency in reflecting the taste and judgement of one man”, leggasi di Villa stesso, del quale peraltro il fotografo e critico d’arte newyorkese in più di un’occasione parve condividere sia il giudizio che il gusto[4].

È proprio all’altezza del 1954, probabile data degli scatti, che Scialoja andava maturando una conversione ai modi dell’astrattismo informale, dopo aver fornito prove figurative e paesaggistiche, en plein air, di cui è rimasta forse una labile traccia ecfrastica nella prosa gaddiana del Pasticciaccio[5]. Ed è proprio su quel barcone, set fotografico per un Pasolini fiumarolo, che Accattone si strafoga prima del tuffo che suppone letale. Location provvidenziale, a giudicare da quel “penchant for saving people from drowning” che Gendel attribuiva “to the munificence of a Roman personality called Rodolfo il Ciriola” elettricista e, alla bisogna, mecenate tiberino delle Arti.

Pasolini acquatico e felice
a cura di Edicola 518
Perugia, Corso Cavour 9
fino al 16 giugno 2022


[1] Il gruppo di fotografie non datate è fatto risalire dai curatori della mostra alla prima metà degli anni Cinquanta, più probabilmente al 1954.

[2] Tra il 1953 e il ’55 Pasolini propose, invano, una recensione de I segni della corda, esordio poetico di Scialoja, a varie riviste, tra le quali Paragone e, tramite Sciascia, Galleria.

[3] Così Villa nel testo affidato al catalogo della mostra i sette pittori sul tevere a ponte santangelo (Roma, Edizioni Palma, 1955).

[4] Cfr. Barbara Drudi, Milton Gendel, Un fotografo, critico d’arte e scrittore tra avanguardia e tradizione (1949-1962), tesi di dottorato, Università della Tuscia, 28 novembre 2014.

[5] Mi permetto di rimandare al mio Pasticciaccio con figure, in Ugo Fracassa, Il testo visibile. Lo spazio dell’interpretazione tra parola e immagine, Roma, Perrone, 2022, pp. 11-36 (20-22).

insegna Teoria e Critica della letteratura a Roma Tre. Ha pubblicato, tra l’altro, “Sconfinamenti d’autore. Episodi di letteratura giovanile presso gli scrittori italiani contemporanei” (Giardini 2002), “Patria e lettere. Per una critica della letteratura postcoloniale e migrante in Italia” (Perrone 2012), “Per Emilio Villa. 5 referti tardivi” (Lithos 2016). Ha curato “Mezzo secolo di Bufera”, fascicolo monografico della rivista «Trasparenze» dedicato alle “47 poesie” di Eugenio Montale (San Marco dei Giustiniani 2007). È del 2020, presso Morellini, “Moti di imitazione. Teorie della mimesi e letteratura”, pure a sua cura.

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