Ancora una volta nel nome di Giulia Niccolai si sono create geografie fantastiche. Dapprima interessate a portare la voce della stessa Giulia negli spazi del MAMbo, alla sua scomparsa Caterina Molteni e Allison Grimaldi-Donahue hanno rilanciato con un recupero della sua intera dimensione poetico-umana. Questo percorso al tempo stesso intricato e gioioso – come lo descrivono le curatrici nel booklet della mostra – si è sviluppato secondo due linee portanti: una concreta, fatta di materiali conservati nelle più disparate collezioni, e una spirituale, sostanziata della maniera luminosa che aveva Giulia di toccare le persone che incontrava.
Giulia Niccolai nasce a Milano nel 1934, da madre americana e padre italiano. Come fotografa viaggia in Europa e negli Stati Uniti e tra le altre occasioni letterarie fotografa il primo incontro a Palermo del Gruppo 63 (le foto sono raccolte in Gruppo 63. Il romanzo sperimentale. Col senno di poi). A partire da questa esperienza autobiografica pubblica il suo primo romanzo sperimentale – scritto alla maniera dei Nouveau Roman – intitolato Il grande angolo (Feltrinelli 1966; a cura di Milli Graffi, Oèdipus 2014), nella collana “Le comete” diretta da Nanni Balestrini. Raccontava lei stessa in terza persona: “Agli inizi degli anni Settanta fondò con Spatola la rivista di poesia ‘Tam Tam’. Molto di quanto ha imparato sul fare poesia, l’ha imparato lavorando al suo fianco dal ’68 al ’79, prima a Roma, poi a Mulino di Bazzano (Parma), alla ‘cucina’ di ‘Tam Tam’; leggendo testi, sbrigando la corrispondenza, facendo pacchi e schede critiche. Così cominciò a sentirsi dentro la letteratura e questo fu forse il solo modo possibile, dato che si è sempre considerata elemento di base e non di vertice, cui non è mai stato concesso prendere scorciatoie” (Autodizionario degli scrittori italiani, a cura di Felice Piemontese, Leonardo 1990).

In questi anni escono alcuni tra i più importanti libri di poesia sperimentale verbovocovisiva a sua firma, quali Humpty Dumpty (Geiger 1969) – una plaquette di poesia concreta che reinterpreta testi da “Lewis Carroll, Alice’s Adventures in Wonderland and Through the Looking-Glass, a cura di Martin Gardner, edizione Penguin”, come dichiarato nella primissima pagina –, Greenwich, raccolta di nonsense geografici arricchita dalle illustrazioni dell’amica e sodale Giosetta Fioroni, e Poema & Oggetto (Geiger 1974), composto di collages, riproduzioni, e con interventi manuali sulla pagina che renderanno iconiche alcune delle pagine. A questo ruolo autoriale affianca quello di traduttrice di testi fondamentali, come La storia geografica dell’America di Gertrude Stein (La Tartaruga 1980), e la traduzione rimarrà sempre un elemento centrale del movimento della sua stessa scrittura e una dicitura che spesso anteporrà alle altre (Frisbees della vecchiaia, Campanotto 2012):
Io mi presentavo sempre come
“traduttrice”, se poi mi capitava
di aggiungere: sono anche poeta,
immancabilmente l’interlocutore
mi correggeva: vuoi dire “poetessa”?
La volta successiva, con un’altra persona,
se dicevo: sono anche poetessa,
venivo comunque corretta con un:
vuoi dire “poeta”?
Insomma, una beffa.
Ora sono monaca.
Gli anni Ottanta sono quelli di una riconciliazione con il passato (e le vite passate) e il futuribile, adottando la forma frisbee e l’ordinamento quale monaca buddista. Il pensiero positivo e relazionale, dopo una profonda introspezione attraverso la meditazione e la pratica buddista, prende forma in versi epifanici e giocosi lanciati nel mondo perché continuino a esistere e alimentare letteratura e umanità (Frisbees. Poesie da lanciare, Campanotto 1994).
La prima mostra retrospettiva che le è stata dedicata, dopo la sua morte lo scorso 22 giugno, ha luogo presso il Padiglione de l’Esprit Nouveau, edificio bolognese costruito nel 1977 come replica esatta di quello realizzato da Le Corbusier all’Exposition des Arts Decoratifs et Industriels Modernes, a Parigi nel 1925, riproponendone gli spazi dinamici e sorprendenti; un albero svetta verso il cielo dal cemento, attraversando l’edificio, e gli angoli architettonici sono ammorbiditi da colori tenui. All’ingresso si viene accolti dai suoni della vita di Giulia Niccolai nei suoi anni più tardi; in una sala sono proiettati due documentari che ne ripercorrono la vita e l’esperienza in presa diretta: si susseguono le riprese delle mani sempre giovani di Giulia Niccolai che sfogliano i libri nello sguardo di Sergio Racanati e una serie di interviste alle amiche di sempre tra le quali spiccano i capelli infuocati e la voce inconfondibile di Milli Graffi in un cortometraggio di Bes Bajraktarević.
Lungo il percorso al piano terra si susseguono le teche che raccontano parte della storia artistica di Niccolai, fotografie e lettere (ne spicca una, indirizzata a Pablo Echaurren, in cui si raccontano vicende culinarie oltre che artistiche, firmata con le sole iniziali da A(driano), T(iziano) – Spatola – e, più piccola tra le due, la G di Giulia). Sullo sfondo una riproduzione su parete della famosa poesia composta dalla sola parola “cheese” scritta a forma di ampio sorriso, divisa in due da una colonna. Al piano superiore altre teche raccolgono i prestiti provenienti da archivi nazionali (Salaborsa, Archiginnasio, MAMbo), fondazioni (Fondazione Echaurren Salaris, Fondazione Bonotto) e fondi testimoniali privati (Maurizio Spatola, Mara Cini, Paul Vangelisti).

Particolare spicco ha una piccola sala nella quale si può esplorare l’esperienza di poesia sonora di cui Niccolai è stata autrice e promotrice. Le audiocassette di “Baobab” – che trasponevano su un piano anche sonoro le collaborazioni con “Tam Tam” – sono presenti fisicamente, mentre dagli altoparlanti si ascoltano le registrazioni delle performance sonore e degli esperimenti fonetici; al di là di un’ampia parete a vetri si ascoltano le installazioni sonore anche se è più facile venire distratti dai due lavandini installati alla quarta parete, tra i quali campeggia Poema.

Come scrive Molteni, “l’esposizione è stata pensata come un archivio”, e così ci si muove nello spazio e nel tempo, esplorando la “collezione di lettere, libri, oggetti, fotografie e opere dell’autrice esposti cronologicamente dalla fine degli anni Sessanta ai primi anni Ottanta, con particolare attenzione al periodo che più lega Giulia Niccolai alle arti visive e performative”. Ma per tenere viva la sua memoria e la sua poesia, le curatrici hanno anche organizzato una serie di eventi, per animare lo spazio espositivo, tra i quali una lettura collettiva di testi di Niccolai e a lei dedicati da chi l’ha conosciuta e amata, una performance di Giulia Crispiani (se io fossi in te se tu fossi in me), un laboratorio di scrittura guidato dalla poeta italo-americana Allison Grimaldi Donahue che è un invito a rispondere alla poesia di Niccolai sotto il titolo Facciamo-“Because Because Because”. Si è ancora in tempo a partecipare all’ultima sessione di questo workshop (previa iscrizione) e a visitare la mostra che si concluderà il 5 di giugno con una lettura di Gian Paolo Roffi.
Perché lo faccio perché. La vita poetica di Giulia Niccolai
a cura di Allison Grimaldi Donahue e Caterina Molteni
Bologna, MAMbo, Padiglione de l’Esprit Nouveau
Fino al 5 giugno 2022