Nel saggio Filosofia e letteratura Italo Calvino tentò di definire il rapporto conflittuale che intercorre tra filosofia e letteratura. Secondo lui il ragionamento filosofico nasce dalla volontà di trascendere l’opacità del reale, per mettere in luce la fitta rete di relazioni sulle quali si costituisce “la varietà dell’esistente”. Allegoricamente Calvino immaginava una scacchiera in cui il filosofo fissa le regole che consentono, a un numero finito di pedine, movimenti potenzialmente infiniti. Gli scrittori tramutano le pedine in re, regine, streghe, stregoni, cavalli e guerrieri con nomi e attributi specifici. La scacchiera diventa così campo di battaglia, foresta, castello. La disputa è pressoché infinita: i filosofi polemicamente ribatteranno che i personaggi ideati dagli scrittori non sono altro che, mascherati dalla fantasia narrativa, i concetti da loro elaborati.
Qualche pensiero apocalittico deciderà che questa disputa è finalmente conclusa: non perché un contendente abbia prevalso sull’altro bensì per una particolare “selezione darwiniana”, culturale anziché biologica, per cui filosofia e letteratura non sono adattabili a un ambiente, come quello odierno, dominato dal progresso tecnologico e da media che hanno votato la filosofia e la letteratura all’estinzione. Volendoci smarcare da questo catastrofismo si potrebbe invece ragionare su come i media attuali si siano collocati in questa infinita disputa, chi siano oggi i nuovi protagonisti e su quale campo di battaglia si muovano. Se la tradizionale filosofia accademica rimane affezionata alla scacchiera coi suoi pezzi, lo stesso non si può dire per i narratori di oggi che, grazie alla continua evoluzione della tecnica, sperimentano nuove possibilità del processo creativo. I personaggi degli scrittori, irrequieti e incontentabili, sembrano ancora alla ricerca della forma che più loro si addice.

È l’osservazione che propone Daniele Pomilio nel suo saggio La règle du jeu. I videogiochi tra cultura e design, e la sfida che lancia potrebbe essere la seguente: se la disputa coi filosofi la ingaggiassero oggigiorno i protagonisti dei videogiochi? Se al posto di re, streghe e cavalieri ci fossero idraulici baffuti, poliziotti ammazza-zombie o gialle creature sferiche che mangiano punti disseminati in un labirinto scappando da fantasmini colorati? Non si vuole forzare il parallelismo di Calvino, che specificava come lo scontro tra filosofia e letteratura nascesse con l’ambizione d’entrambe le parti di voler compiere un passo in avanti per la conquista della verità, una disputa che non si può paragonare colle regole del mercato videoludico; inoltre tanto la filosofia che la letteratura ingaggiano la loro disputa con le medesime armi, le parole, mentre il videogioco fa uso di altri mezzi espressivi.
Lungo tutto il suo saggio Pomilio ragiona sul fatto che, per mezzo delle tecnologie audiovisive, i programmatori (agli antipodi dei tradizionali narratori) sviluppano un vero e proprio processo creativo curato sotto ogni punto di vista: dalla coerenza tematica tra ambiente e protagonista fino alla convergenza tra interattività e intreccio narrativo, in modo da garantire al giocatore un’esperienza di senso compiuto. Senza dilungarci sulla fondatezza delle proposizioni di McLuhan, qui davvero il medium è il messaggio: l’esperienza sublime coincide con l’esperienza videoludica, e scopo del programmatore è quello di motivare il giocatore ad andare a vedere “come finisce” la partita.

In questo che è a tutti gli effetti un trattato filosofico sull’esperienza videoludica, sia sul piano etico che estetico, Pomilio più volte si sofferma sul carattere partecipativo della narrazione, per cui accettare la sfida proposta dal gioco significa entrare a far parte del processo narrativo del videogioco. La struttura del videogioco si poggia in primo luogo sulla predisposizione umana ad appassionarsi; e coinvolgere il giocatore nel processo narrativo permette un’esperienza di vita oltre l’ordinario. In altre parole, il giocatore è dominato dalla sensazione di essere lui il protagonista. Nel videogioco le mosse del protagonista coincidono con le intenzionalità del giocatore: questo e il protagonista combaciano perfettamente, e senza questa sovrapposizione la narrazione non può procedere. L’immersione che il medium videoludico consente e anzi impone attenua la divisione mentale tra il sé reale del giocatore e il protagonista del videogioco: sino ad assottigliare incredibilmente il confine tra finzione e realtà. Tanto la letteratura che il videogioco dilatano i confini del mondo reale, estendendo l’esperienza sensoriale in una dimensione che il reale faticherebbe a restituire. La riuscita dell’esperienza ludica, secondo Pomilio, dipende dalla relazione simmetrica tra il carattere decisionale del giocatore e il sistema videoludico con cui interagisce.
L’interattività è un aspetto centrale nell’esperienza videoludica, nell’implicare l’attuazione di una o più strategie da parte del giocatore: dunque maggiore complessità e possibilità di scelta, ed esiti potenzialmente imprevedibili. Il gioco è fondato sulla sequenza azione-risultato preimpostate dal programmatore ma l’atto videoludico garantisce al protagonista-giocatore un movimento apparentemente libero. all’interno di una rigida struttura di sistema che Pomilio chiama, riprendendo una vasta teoria psicologica, cerchio magico, ossia lo spazio d’azione entro il quale si svolge la trama del gioco e dove il giocatore esprime le sue intenzionalità: uno spazio ovviamente delimitato da un sistema di regole per far sì che la sfida assuma consistenza e credibilità. Ragionando in senso letterario si potrebbe dire che, proprio come la funzione videoludica, anche il processo narrativo-letterario si sviluppa tramite specifici parametri ordinati dall’autore; pertanto il perimetro d’azione dei personaggi letterari può essere multiplo e finito all’interno della struttura narrativa. Più che dire che la letteratura vanta il suo cerchio magico, si dovrà dire che ogni intento narrativo non può prescindere da un campo che delimita l’azione.

Eppure limitarsi alla sovrapposizione letteratura-videogioco rischierebbe di ridurre il senso e la portata della funzione videoludica, e in generale del fascino che il gioco suscita sulla psicologia umana. Il saggio di Pomilio tocca diversi livelli di discorso (tanto da proporsi anche come manuale-guida per potenziali programmatori-autori), invitando a riflettere su quanto il fattore gioco rappresenti una questione esistenziale. Trovarsi nella condizione di consentire il trionfo del “bene” sul “male” è un piacere egotistico che oltrepassa il mero intrattenimento. Lo si vede dalla teoria dei giochi: il giocatore è propenso a scegliere una strategia calcolata sull’ottimizzazione di costi e benefici, ma nessuna partita concreta è solo un esercizio razionale, perché ogni decisione è vincolata da un carico emotivo legato al “vincere” e al “perdere”. Vero imperativo del giocatore è la risoluzione del conflitto, dalla quale l’esperienza vuole trarre un arricchimento: stimolare nella mente del giocatore un processo logico risolutore provoca in lui un senso di appagamento e soddisfazione. Secondo Pomilio il coinvolgimento narrativo amplifica il livello di concentrazione del giocatore, rendendo attraenti gli obiettivi da raggiungere. Solo così l’esperienza ludica assume senso.
Ma la portata del valore trascendentale del videogioco si capisce solo riconoscendovi l’illusione di vincere la caducità della vita. Nell’attività videoludica l’insopportabile percezione di finitezza e di fallimento connaturate all’esistenza; nel gioco non esistono sconfitta e morte, o meglio, l’insuccesso non reca danno all’esperienza. La reiterazione, il poter attentare all’obiettivo più volte rimanendo illesi, anestetizza la paura di perdere. Nel gioco tutti possono vincere.
Il videogioco rappresenta un’esperienza, quindi, tanto sublime che esistenziale. Confrontarlo con la letteratura non vuole certo alludere a una sostituibilità dell’una con l’altro; semmai è affascinante notare come l’evoluzione tecnica permetta di praticare funzioni tradizionalmente appartenenti alla letteratura, appropriandosi di tecniche come l’intreccio, la caratterizzazione di protagonista e antagonista, il coinvolgimento emotivo del fruitore. Non si dovrà nemmeno considerare il videogioco una simulazione veritiera della vita, solo perché permette di replicare comportamenti e tendenze umane. Nel mondo fattuale non esiste l’opzione “salva”, dopo nessun “game over” si può ricominciare la partita senza scontare gli errori commessi. Il valore dell’esperienza videoludica è quello di una parentesi temporale e consolatoria in cui ci si rifugia per vivere altre vite: mondi che vorremmo conoscere ma che non saranno mai i nostri.
Daniele Pomilio
La règle du jeu. I videogiochi tra cultura e design
Mimesis, 2022, pp. 238, € 22
In copertina: Super Mario Bros, Nintendo