È in uscita nella collana «Caratteri» di Valigie rosse, dopo la prima del 2011, una nuova edizione rivista e ampliata di Commiato da Andromeda di Andrea Inglese. Anche se pubblicato, ieri e oggi, da una sigla minore (ma ormai ben affermata, presso il pubblico della poesia), si tratta già di un piccolo classico del nostro tempo: se è vero che ha già conosciuto una profonda rielaborazione, da parte dell’autore, nella sezione centrale del suo ragguardevole esordio narrativo, Parigi è un desiderio (Ponte alle Grazie 2016). Di entrambe le forme, poetica e narrativa, innesco figurale è l’ekphrasis di un dipinto persecutorio conservato al Louvre, La liberazione di Andromeda di Pietro di Cosimo, che fa da palinsesto a una storia d’amore durata nove anni. L’infinito intrattenimento su quell’immagine – così almeno s’illude il narratore – può servire da «chiave di lettura, lanterna provvidenziale per uscire dalla caligine amorosa»; ma la sua si rivelerà, alla fine, «un’esegesi fallita». Nell’ulteriore “forma” in versi il fantasma di Andromeda, e quello della donna “reale” che le è succeduta, Hélène, paiono prendere maggiore consistenza: ed è forse questo l’unico modo per liberarle, una buona volta, dal Mostro che dice Io. Per la cortesia di autore, prefatore ed editore si propone qui un estratto dal testo, seguito da quello della bandella firmata dal direttore di collana, Paolo Maccari.
A.C.
Io, queste donne, Andromeda ed Hélène,
che ovviamente non si equiparano – sono due mondi
remoti – anche se poi, l’una e l’altra, vivono
sullo stesso pianeta, nelle stesse ore,
queste donne avrei voluto
che fossero davvero qui, nella loro massima
concretezza, non vorrei mai,
per un rispetto nei loro confronti, e anche nei miei,
che fossero delle figure troppo cartacee,
vaghe, fatte di parole allusive, senza i segni distintivi
della vita materiale, della loro classe, del secolo,
ma anche semplicemente della piccola ansa
geografica, in cui i loro corpi, come il mio,
trascorrono. Voglio che davvero siano percepite
come donne reali, del loro tempo,
con le creme che usano per le mani
– il barattolo blu della Nivea – ma non è questo,
mi rendo conto, che scioglie ogni dubbio. Di loro
manca tutto: non sono stato capace
di riportarne i discorsi, non ho descritto
il loro abbigliamento, né evocato la particolare
– e diversa per ognuna – ironia di cui fanno
prova, quando un piano semplice va storto,
e quali sono le loro idee politiche sul mondo,
i partiti presi metafisici, e che ne pensano
di matrimonio, morte, malattie,
di atleti tatuati, di centri commerciali,
dei soldi, di come li guadagnano, e spendono,
o perdono. Di tutto questo, ne sono consapevole,
nulla è stato detto: il suolo storico su cui poggiano
i loro piedi, lo sfondo e il primo piano, ciò che permette
di leggere un’epoca attraverso dei gesti quotidiani,
come il modo di salutare i vicini di casa, il barista,
la cassiera del supermercato, questo intreccio
manca, Hélène ed Andromeda volteggiano,
in incognito, dentro queste frasi, trascinate
da un punto all’altro del discorso, come ostaggi,
sagome avvolte da coperte, corpi sequestrati
che sfilano di notte, clandestini, e non devono
essere visti, salvo il volto, o una mano, che appaiono
su un fondale astratto, affinché non si possa risalire
al luogo vero, geograficamente determinato,
in cui sono custodite.
Io che le ho viste ridere e sorridere,
lavarsi i denti in piedi, con la bocca bianca di schiuma,
o allo specchio, lottare con i capelli,
e nude nella vasca, aspettando la temperatura giusta
del getto, e piegarsi a terra, per chiudere i sacchi della spazzatura,
e cercare i soldi nel portafoglio, per comprare un biglietto
al cinema, io che le ho viste parcheggiare, con la testa
tutta girata all’indietro, mentre la macchina scivolava
in retromarcia, io che le ho viste sfilarsi gonna e mutande,
io che ho assistito, senza doveri più impellenti,
alla loro masticazione di carni e verdure, e che so
esattamente come afferrano il sapone, quando devono
lavarsi le mani: io che ho scoperto
come prendono sonno, come riescono
a scivolare in silenzio nel sogno
senza gemere e gridare, forse
persino sorridendo, perché a volte
anche loro, nei sogni, non devono scappare,
o calarsi in sottoscala fradici,
ma semplicemente camminano lente
a piedi nudi nella polvere scintillante
di una casa dai soffitti alti, e le finestre aperte
sul parco tutto intorno.
*
Nei dieci anni che sono passati dalla prima edizione di questo libro – insignito del Premio Ciampi nel 2011 e da tempo, a dimostrazione del successo riscosso, andato esaurito – il profilo autoriale di Andrea Inglese si è arricchito e, per così dire, espanso: se fino ai qualche anno fa il nome di Inglese era associabile a uno dei nostri migliori e più inventivi poeti, a partire dal 2016 (anno di pubblicazione di Parigi è un desiderio, a cui seguirà nel 2021 La vita degli adulti, entrambi usciti da Ponte alle Grazie) la sua opera ha incluso anche la scrittura romanzesca.
E proprio in Parigi è un desiderio i lettori di Inglese hanno ritrovato una parte cospicua di Commiato da Andromeda, che viene dunque ad assumere il carattere di testo-cerniera, se non di prefigurazione, ed è probabile che chi studierà i libri di Inglese trarrà speciale profitto da questo testo; un testo estremamente formalizzato e tuttavia arreso a un’incandescente urgenza biografica, lirico e analitico, in versi e in prosa, dove il verso, per felice paradosso, interviene «per frenare e raffreddare la furia della prosa» (secondo l’indicazione dell’autore). Ma al di là dell’utilità per i critici presenti e futuri, ci ha naturalmente spinto a proporre all’autore questa nuova edizione l’alta qualità di queste pagine, a cui dedicammo la nota critica che oggi si ripropone invariata, il valore conoscitivo che si libera dalla resa dei conti con il sentimento amoroso, l’ottica lucida e straniata con cui si smette di credere e si crede ancora alla plausibilità di un legame.
Si aggiunga che la presente edizione è corretta e ampliata, munita pertanto di caratteri di novità che la rendono assai più che una semplice riedizione; basti pensare che nuovi sono l’inizio e la fine: la poesia finale che allarga e rimedita la fine originaria; l’introduzione, dove Inglese rilegge Commiato da Andromeda «come un’esemplificazione di tutto ciò che di provvisorio può caratterizzare un’impresa letteraria» per concludere augurandosi che possa servire «da contributo alla (auto)analisi della figura maschile e dei fantasmi di cui è culturalmente stipata». Un auspicio che porta a consapevolezza ciò che già era operante nei righi e nei versi scritti a suo tempo.
Paolo Maccari
In copertina: Piero di Cosimo, Perseo libera Andromeda, 1510-1515