La polvere e il profumo. “Luca Vitone – D’après (de Pisis – Paolini)”

05/04/2022

Uno e bino, mentre metafisico dialoga con Filippo de Pisis e Giulio Paolini al Museo del Novecento di Firenze – come ci riferisce qui Guido Mannucci  – in uno degli allestimenti più audaci e riusciti della stagione (ci torneremo), Luca Vitone inaugura pure alla Galerie Rolando Anselmi a Roma (sino al 3 giugno) quella che si può chiamare una post-mostra o auto-d’après, uno spin-off insomma della grande Io, Villa Adriana andata in scena l’anno scorso, una e bina a sua volta: al MAXXI e nella sua sede ideale di Villa Adriana a Tivoli. Se sono a tutti gli effetti dei segnatempo quelli che chiama «autoritratti di paesaggio» (certo memori delle Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar) realizzati esponendo grandi tele all’esterno, dove seguendo i capricci di Tyche s’impregnano delle polveri circolanti nel clinamen, lo sono a ben vedere anche i sottili détournements dei paesaggi e dei Capricci, appunto, di Piranesi (la cui «mente nera» proprio Yourcenar memorabile una volta ha scandagliato): nei quali dalle incisioni sublimi di maestose vestigia d’antan esalano, aeree e misteriose, note musicali forse oltremondane. Perché tutto ciò che è solido svanisce nell’aria; e polvere, presto, ritorneremo.

Andrea Cortellessa

La polvere è tempo che si deposita su uno spazio, è una certezza che non si inclina, indistruttibile: parla di intrecci tra tempi e spazi, di ritmi larghi e di latenze, di lentezze e di eternità; è il residuo che lo spazio, qualsiasi spazio, produce con le persone che lo abitano, che lo vivono, con l’aria che lo attraversa, le finestre aperte, le strade, le macchine e poi le piante, i pollini, le correnti d’aria e le cose, i mobili, le carte, i libri, i vestiti.

Siamo abituati a sentire la polvere come qualcosa che ci parla di abbandono, di noncuranza, di un passato da emendare e cancellare a ogni costo, eppure in quel residuo c’è la testimonianza della vita, la nostalgia della vita, la vita che ci sopravvive, la vita dentro la morte. Forse è proprio per questo che la modernità ci ha insegnato a eliminarla ancor prima che si depositi e a ingaggiare con essa una lotta perenne persa già in partenza.

Quanto tempo si può aspettare la polvere? E chissà quanto tempo aveva la polvere dello studio di Giulio Paolini quando Luca Vitone l’ha raccolta per creare “Stanze. (Studio Giulio Paolini, Torino)”. Curiosamente è forse il ritratto più fedele che si possa produrre: Vitone crea un acquerello di polvere monocromo, ferma la polvere in un pigmento non-pittorico e la fissa spandendola sulla carta. Il risultato è il ritratto di uno spazio e della sua storia.

Guardare quest’opera è spaesante perché di fronte al solito meccanismo di rimandi iconografici che si innesca davanti a un’immagine, ai giochi di somiglianze cromatiche e tematiche, questa immagine non si lascia decifrare, rimane integra, potente nella sua delicatezza, enigmatica, impenetrabile. Sembra ci sia qualcosa che vibra debolmente ma incessantemente, come a volte accade quando si ha la sensazione di essersi avvicinati al centro, all’osso, al nucleo di qualcosa o come quando ci si trova di fronte a ciò che rimane, al resto di un’azione o di un’operazione, all’apparizione di una lontananza che trattiene un alone auratico.

L’opera Stanze. (Studio Giulio Paolini, Torino) è parte della personale di Luca Vitone intitolata D’aprés. (de Pisis – Paolini) in corso al Museo Novecento di Firenze. De Pisis – Vitone – Paolini: tre mostre, tre artisti e tre generazioni. Tre mostre separate ma interconnesse nelle quali Vitone è l’interlocutore centrale, colui a cui spetta gettare ponti e creare legami, omaggiare i due maestri e, contemporaneamente, rinnovare, affermare la propria specificità, autonomia. I d’aprés sono storicamente le riproduzioni o le elaborazioni dell’opera di un artista da parte di un altro artista.

Vitone, Alter-ego (Coincidenze), 2022 (vista dell’installazione al Museo del Novecento, Firenze) ©photo ElaBialkowska OKNOstudio

Luca Vitone va oltre la copia, oltre l’omaggio: si percepisce da un lato la riconoscenza ai maestri, dall’altro lo strappo, l’invenzione. C’è una delicatezza estrema nei quattro interventi di Vitone dislocati nel museo, una vivida polisemia che si crea nel cuore stesso del fare artistico di Paolini e de Pisis e che, contemporaneamente, porta altrove, parla diversamente, come quando matrice e calco non sono perfettamente coincidenti e proprio in quella differance si crea spazio, si fa spazio.

Emblematica è una delle tre opere in cui Vitone dialoga con de Pisis, con un quadro particolare di de Pisis Il gladiolo fulminato: un vaso di fiori ritratti nella loro massima apertura, maturazione, nel principio del loro disfarsi, mossi, per un attimo, da una leggera folata di vento. Il quadro, però, non è presente nella stanza totalmente vuota e non sarà presente nemmeno nella sezione dedicata a de Pisis.

Filippo de Pisis, Il gladiolo fulminato, 1930

Vitone fa sparire l’immagine ma ne sentiamo l’odore: collaborando con la maître parfumeur Maria Candida Gentile, naso tra i più vitali e potenti nel panorama della profumeria artistica internazionale, crea una scultura olfattiva che catapulta nell’immagine, anche se assente.

La piramide olfattiva della fragranza accennata nella didascalia recita: accordo di fiori e gambi, garofano, burro di iris, galbano, accordo di vento. Il risultato è un profumo corposo, avvolgente che privilegia anche la parte verde dei fiori; una fragranza che trasporta altrove, all’indietro, che evoca l’immagine di de Pisis e, al tempo stesso, la frammenta nei ricordi di ciascuno, richiamando primavere, stanze profumate e assolate, la brezza marina su giardini fioriti al mattino.

Anche qui Vitone sceglie di lavorare sull’ineffabile, sulla memoria e la testimonianza: il tempo sembra non incidere sui ricordi derivanti dagli stimoli olfattivi, il profumo si dice sempre al presente anche se porta indietro, regala squarci di immediatezza, invasioni improvvise della memoria di ricordi. I profumi creano un’architettura della memoria complessa e fragile, sicuramente la meno filtrata, la più diretta, coinvolgente. Il profumo crea spazi poetici e fisici, agisce in modo fulmineo creando atmosfere mnestiche in cui reale e immaginato, vissuto e sognato, si mescolano estaticamente. Qui non c’è nostalgia dell’immagine: a volte i profumi riescono a essere strutture di rinvio ancor più potenti delle immagini; i profumi sono sopravvivenze indistruttibili, di là dalla singolarità di ogni vissuto a cui si annodano. Per questo avvicinano, affratellano.

Luca Vitone, Io, Villa Adriana (Veduta del Canopo da due finestre), 2021 ph. Sebastiano Luciano

Cosa significa lavorare con l’aria? Se è vero, come sostiene Hans Belting, che il primo medium, prima ancora di qualsiasi strumento o tecnica, è il nostro corpo, mezzo attraverso cui esperiamo il mondo, è pur vero che l’aria, ancor prima e nonostante noi, si rivela essere il medium per eccellenza. Invisibile, ineffabile, impalpabile, è ciò che permette ogni visibilità, ogni palpabilità, ogni esistenza; è ciò che si lascia attraversare dai suoni, dai colori, dagli odori, dalle voci. È l’invisibile nel cuore della visibilità, il continuo ritrarsi per lasciar, le cose, essere.

Lavorare con l’aria significa sentire la forza di questa trasparenza al centro di ogni cosa, significa dipingere con la polvere, scolpire coi profumi, lavorare con l’invisibile, con ciò che si deposita, con il quasi niente, riconoscendo in quel quasi il limine dove il mondo si fa, si crea. Luca Vitone riesce a lavorare su questa soglia, su questa superficie sottilissima del quasi prima del niente ed è proprio da lì che il suo lavoro trae la sua forza, la sua potenza poetica, la sua riconoscibilità e il suo porsi come anello di congiunzione, di continuità con ciò che lo ha preceduto e con ciò che verrà.

Luca Vitone, Capricci (Veduta degli Avanzi della Circonferenza delle antiche Fabbriche di una delle Piazze della Villa Adriana oggidì chiamata Piazza d’oro disegnato da Giovanni Battista Piranesi), 1776-2021, intervento a inchiostro su acquaforte

Luca Vitone. D’après (de Pisis – Paolini)
a cura di Eva Francioli e Stefania Rispoli
Museo del Novecento, Firenze
fino al 7 settembre 2022

Luca Vitone. Ancora su Villa Adriana
Galerie Rolando Anselmi
Roma
fino al 3 giugno 2022

In copertina: Luca Vitone, Alter-ego (Coincidenze), 2022

Guido Mannucci

Nato ad Atri (TE) nel 1988, attualmente lavora e studia a Milano.
Si laurea in Filosofia presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna, si specializza in seguito in Estetica e Teorie dell’Immagine presso l’Università Statale di Milano. È attualmente studente del corso “Visual Studies” presso l’Accademia di Belle Arti di Brera.
È regista teatrale, dramaturg, musicista e sound designer. La sua ricerca nel performativo si concentra sulle modalità di costruzione dell’immagine nell’ambito delle arti performative, sull’interazione transmediale del visivo e sui meccanismi interni alla relazione tra immagine e canone dello sguardo. Nel 2016 è tra i fondatori di Compagnia La Lucina, realtà attiva nelle arti performative, nel teatro e nella danza contemporanea.

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