A tendere bene l’orecchio. Fuga di morte, Paul Celan

La registrazione della poesia Fuga di morte di Paul Celan nella traduzione di Anna Ruchat è stata realizzata a Palermo il 23 novembre 2021. La voce è di Domenico Brancale, gli effetti acustici di Odd One Out, il duo di musica elettroacustica formato da Manfredi Clemente e Giuseppe Lomeo. La registrazione è ascoltabile cliccando qui sotto:

Fuga di morte

Nero latte dell’alba noi lo beviamo la sera
lo beviamo a mezzogiorno e al mattino lo beviamo la notte
noi beviamo e beviamo
scaviamo una fossa nell’aria là non si sta stretti
Nella casa abita un uomo e gioca con i serpenti e scrive
scrive in Germania quando vien buio i tuoi capelli d’oro Margarete
scrive ed esce davanti a casa e lampeggiano le stelle
chiama con un fischio i suoi segugi
fa uscire con un fischio i suoi ebrei fa scavare una fossa nella terra
ci ordina ora suonate alla danza

Nero latte dell’alba noi ti beviamo la notte
ti beviamo al mattino e a mezzogiorno ti beviamo la sera
noi beviamo e beviamo
Nella casa abita un uomo e gioca con i serpenti e scrive
scrive in Germania quando vien buio i tuoi capelli d’oro Margarete
i tuoi capelli di cenere Sulamith scaviamo una fossa nell’aria là non si sta stretti

Lui grida infilzate più a fondo la terra voialtri e voi cantate e suonate
prende il ferro nella cintura lo brandisce azzurri sono i suoi occhi
infilzate più a fondo le vanghe voialtri e voi continuate a suonare alla danza

Nero latte dell’alba noi ti beviamo la notte
ti beviamo a mezzogiorno e al mattino ti beviamo la sera
noi beviamo e beviamo
nella casa abita un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete
i tuoi capelli di cenere Sulamith e gioca con i serpenti

Lui grida suonate più dolce la morte la morte è maestra in Germania
lui grida traete un suono più cupo ai violini salite come fumo nell’aria
poi avrete una fossa nelle nuvole là non si sta stretti

Nero latte dell’alba noi ti beviamo la notte
ti beviamo a mezzogiorno la morte è maestra in Germania
ti beviamo la sera e al mattino beviamo e beviamo
la morte è maestra in Germania azzurri sono i suoi occhi
ti colpisce con palla di piombo ti colpisce preciso
nella casa abita un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete
ci aizza contro i segugi ci regala una fossa nell’aria
e gioca con i serpenti e sogna la morte è maestra in Germania

i tuoi capelli d’oro Margarete
i tuoi capelli di cenere Sulamith

Scritta fine 1944-inizio 1945 a Czernowitz o pochi mesi dopo a Bucarest. Prima pubblicazione 1948 (Papavero e memoria).

Todesfuge

Schwarze Milch der Frühe wir trinken sie abends
wir trinken sie mittags und morgens wir trinken sie nachts
wir trinken und trinken
wir schaufeln ein Grab in den Lüften da liegt man nicht eng
Ein Mann wohnt im Haus der spielt mit den Schlangen der schreibt
der schreibt wenn es dunkelt nach Deutschland dein goldenes Haar Margarete
er schreibt es und tritt vor das Haus und es blitzen die Sterne
er pfeift seine Rüden herbei
er pfeift seine Juden hervor läßt schaufeln ein Grab in der Erde
er befiehlt uns spielt auf nun zum Tanz

Schwarze Milch der Frühe wir trinken dich nachts
wir trinken dich morgens und mittags wir trinken dich abends
wir trinken und trinken
Ein Mann wohnt im Haus der spielt mit den Schlangen der schreibt
der schreibt wenn es dunkelt nach Deutschland dein goldenes Haar Margarete
Dein aschenes Haar Sulamith wir schaufeln ein Grab in den Lüften
da liegt man nicht eng

Er ruft stecht tiefer ins Erdreich ihr einen ihr andern singet und spielt
er greift nach dem Eisen im Gurt er schwingts seine Augen sind blau
stecht tiefer die Spaten ihr einen ihr andern spielt weiter zum Tanz auf

Schwarze Milch der Frühe wir trinken dich nachts
wir trinken dich mittags und morgens wir trinken dich abends
wir trinken und trinken
ein Mann wohnt im Haus dein goldenes Haar Margarete
dein aschenes Haar Sulamith er spielt mit den Schlangen

Er ruft spielt süßer den Tod der Tod ist ein Meister aus Deutschland
er ruft streicht dunkler die Geigen dann steigt ihr als Rauch in die Luft
dann habt ihr ein Grab in den Wolken da liegt man nicht eng

Schwarze Milch der Frühe wir trinken dich nachts
wir trinken dich mittags der Tod ist ein Meister aus Deutschland
wir trinken dich abends und morgens wir trinken und trinken
der Tod ist ein Meister aus Deutschland sein Auge ist blau
er trifft dich mit bleierner Kugel er trifft dich genau
ein Mann wohnt im Haus dein goldenes Haar Margarete
er hetzt seine Rüden auf uns er schenkt uns ein Grab in der Luft
er spielt mit den Schlangen und träumet der Tod ist ein Meisteraus Deutschland

dein goldenes Haar Margarete
dein aschenes Haar Sulamith

A tendere bene l’orecchio si odono quattro voci: quella di Paul Celan che legge la sua Todesfuge, quella di Anna Ruchat che ne offre la propria, originale versione in italiano, quella di Domenico Brancale che dice la Fuga di morte – e la voce, altrettanto necessaria, del silenzio. Anzi, è quest’ultima (il silenzio dell’indicibile che, pure, va in qualche modo detto, il silenzio del dolore, il silenzio dell’abisso, quello del buio, quello dell’attonita attenzione) la voce che, accogliendo le altre tre, consente loro di venire a esistere.

La lettura di Celan è ricca di variazioni della dizione, di rallentamenti e di accelerazioni, possiede una pronuncia estremamente chiara dei suoni del tedesco, una capacità di differenziare i passaggi del testo perfettamente accordando tra di loro suoni, pronuncia, pause e contenuti; la lingua dei persecutori e degli assassini, pur amata al punto da essere scelta dal poeta per salvarla e redimerla dal nazismo che l’aveva usata (e abusata) trasformandola nella lingua dello sterminio, si apre per virtù di poesia ad accogliere il nome della Sulamita e se la nominazione è una delle virtù precipue della poesia, ebbene il “nero latte”, “i serpenti”, “i suoi segugi”, “i suoi ebrei”, “il ferro nella cintura” nominano la realtà concreta e irredimibile del campo di concentramento e di annientamento, i due nomi femminili (Margarete e Sulamith) nominano l’essenza dell’amore e della nostalgia, della lontananza e dell’assenza.

La traduzione in italiano di Anna Ruchat (che in ordine di tempo viene dopo quelle di Gilda Musa, di Moshe Kahn e Marcella Bagnasco, di Giuseppe Bevilacqua, di Dario Borso) accetta tutti i rischi connessi a un testo in apparenza perfettamente intelligibile, ma insidioso nella resa ritmica e lessicale: e Anna realizza almeno tre passaggi del testo di straordinaria efficacia e novità (infilzate più a fondo le vanghe voialtri) (traete un suono più cupo ai violini) (la morte è maestra in Germania) rivelando quanto la “partitura fissa” della Todesfuge possa continuare a diramarsi in molteplici direzioni già soltanto nelle sue versioni italiane – “der Tod ist ein Meister aus Deutschland” con quel genere maschile della parola “Tod / morte” che richiama necessariamente il “Meister” che è anche l’ufficiale sterminatore dagli occhi azzurri che scrive alla sua amata quando si fa sera e che viene “aus Deutschland / dalla Germania” diventa, nella versione di Anna, la morte (femminile in italiano) “maestra in Germania” ed è efficace, sorprendente, originalissimo questo fedele tradimento della lettera (un complemento d’origine trasformato in un complemento di stato in luogo) e che fa di ogni luogo toccato dallo sterminio una Germania che insegna la morte.

La voce leggermente nasale di Domenico Brancale, le sue “o” aperte secondo la più classica pronuncia meridionale, la natura stessa della lingua italiana (suoni chiari e quasi sempre vocalizzati, maggioranza di vocaboli polisillabi e piani, ampiezza del ritmo) danno vita a una lettura che, parallela a quella celaniana, da questa originando, torna ad attuare la poetica brancaliana dell’orecchio “trovato per terra”, vale a dire dell’ascolto del mondo, della storia e della parola poetica possibile soltanto dopo un trauma, dopo una ferita, dopo uno scollamento violento dal mondo stesso, così che solo il paradosso, l’ossimoro, l’antinomia rendono possibile l’impossibile: parlare il silenzio, udire l’inudibile e l’inudito, vedere nel buio, toccare il vuoto.

E il silenzio che precede e segue la lettura di Domenico ha voce di musica, affidata a Manfredi Clemente e Giuseppe Lomeo. È la musica solenne e tragica di questa cadenza di morte e di memoria; il suono (ed esso ha forma anche di musica) è il silenzio che, nel proprio manifestarsi, si rivela musica, s’affratella alla voce umana, fa piazza pulita di ogni retorica, impedisce l’estetizzazione della Shoah, accusa quest’ultima, non lo si dimentichi, che aveva profondamente e irreversibilmente ferito Celan e che si dimostra, se ce ne fosse bisogno, definitivamente priva di ogni fondamento: musica e dizione rinnovano memoria e dolore, consapevolezza e l’irredimibile ferita.

C’è una fedeltà al testo di Celan anche nella congiunzione tra la traduzione di Anna Ruchat e la lettura di Domenico Brancale che accade per affinità elettiva e per commozione etica e, anche, perché l’idea celaniana d’ispirazione musicale della fuga deve farsi suono della voce, doppia voce (scritta e orale), doppio silenzio (quello di prima e di dopo la dizione e quello, necessario, che contrappunta la dizione mentre questa accade).

C’è un voler raccogliere il testimone da far transitare nel futuro attraverso il presente se tutto ha inizio dalla voce di Paul Celan che continua a dire mentre Brancale dice la traduzione di Ruchat traendo la voce dai suoi polmoni, dalla sua gola, piegandola a cadenze e a pause perché la poesia non esiste se non si fa respiro e voce attraverso il corpo di un essere umano.

Contrappunti alla cenere

dein goldenes Haar Margarete
dein aschenes Haar Sulamith

Contrappunto alla poesia

E saccheggiare tutti i bicchieri dell’assenza.
Arsa nei forni la poesia si rapprende osso calcinato – e il nulla attorno.
Un nevicare silenzioso di parole a disarticolarsi. Un cristallo di respiro a infrangersi.

Contrappunto alla voce

È una corsa nei labirinti dei polmoni, un avvitarsi dell’aria che si strozza nei bronchi
dell’angoscia.
È un bisbiglio è un annottare è una soglia tra dire e il silenzio.
Faglie rovinanti del dire.

Contrappunto a una traduzione

La morte è maestra in Germania
der Tod ist ein Meister aus Deutschland

Questo trasportare con mente non leggera, questo farsi carico del dover violare
soglie – per varcare.
Questo non restare nella voce tedesca – andare e penetrare dentro altra lingua.
Cani rabbiosi e serpenti scatenati da una lingua all’altra, da un tempo all’altro, da
una casa negata a una casa scavata nel fumo esalato dai forni.

Contrappunto alla memoria

Ricordare e avere gli occhi di pietra ricordare e sapere la distanza irredenta ricordare
e sentire lo spazio tra le costole divaricarsi fino a uccidere il respiro.
Il succo del papavero non è soccorso, ma più acuta lacerazione. Il respiro ucciso
non conosce il virare della parola.

Contrappunto all’amarezza

Il passaggio dei treni, l’ordine indubitato degli orari, la precisione scandita binario
dopo binario. Occhi azzurri che calcolano.
Gli avambracci destinati all’inchiostro dell’annientamento. Le dita all’archetto del
violino. Musica di sterminio.

Contrappunto alla notte

Nella strettoia del buio lampeggiano stelle, neve – e rasoi da barbiere. Il colore del
latte dice sciagurate mungiture.
Danzare alla morte, scavare.
E saccheggiare tutti i bicchieri dell’assenza.

Immagine di copertina: Anselm Kiefer, Morgenthau Plan, 2012

Le altre fotografie che accompagnano l’articolo sono state scattate alla mostra Anselm Kiefer. Pour Paul Celan, Grand Palais Éphémère, Paris (17.12.2021 – 11.01.2022).

di origine salentina, cura gli spazi personali "Via Lepsius" e "Via Lepsius Asemic"; ha pubblicato "Sentieri. Saggi e racconti sul corpo della scrittura" (Fallone Editore).

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