In metamorfosi, di nome e di fatto, è il nuovo progetto di Marta Roberti curato da Cecilia Canziani e ospitato sino al 15 febbraio dalla galleria Z2O di Marta Zanin, a Roma. Perché i suoi singolarissimi disegni, ispirati alle numerose figure metamorfiche della Commedia ma realizzati ibridando tecniche e materiali occidentali a quelli in uso in Cina e in India, sono stati pensati ed eseguiti in vista di una loro trasposizione in forma di arazzo e ricamo, progettata per il centenario dantesco all’Istituto italiano di cultura di New Delhi, ma a più riprese rinviata per il congelamento dei viaggi dovuto alla pandemia. Un inferno di matrice in parte nuova e sconosciuta si è così sostituito a quello, raffigurato nei lavori, che fa invece così profondamente parte della nostra memoria culturale. Succede allora che il disegno stesso, «struttura che vuol essere altra struttura» per dirla con un dantesco Pasolini, imprevedibilmente si accampa come opera autosufficiente che serba però memoria, per così dire, della propria natura intrinsecamente mutevole e instabile: presentandosi a noi, insomma, nel bel mezzo della sua metamorfosi. Un po’ come il personaggio tormentoso di Aracne, che Dante preleva dal Sesto libro delle Metamorfosi di Ovidio e raffigura nel XII canto del Purgatorio, istoriandolo nei bassorilievi che ornano il pavimento della Cornice dei Superbi: artista umana punita da Atena per aver sfidato la Dea nell’arte della tessitura, la figlia del tintore della Lidia viene orribilmente trasformata in ragno ma dal «visibile parlare» del poeta si trova effigiata quando è ancora solo «mezza ragna, trista in su li stracci / de l’opera che mal per te si fé». Cosicché l’orrore della punizione, come già in Ovidio del resto, si trasforma a sua volta in meraviglia nostra e compiacimento dell’artefice: il quale sa bene d’essere colpevole del medesimo peccato dal quale in tal modo ammonisce sé stesso, stavolta, insieme a noi. Per la cortesia dell’autrice, dell’artista e della gallerista, presentiamo qui il testo curatoriale di Cecilia Canziani.
Andrea Cortellessa
In metamorfosi raccoglie due serie di lavori realizzate nell’ultimo anno e altre opere recenti riconfigurate per questa mostra, secondo un principio di scomposizione e ricombinazione che attraversa tutta la ricerca di Marta Roberti.
I suoi disegni sono sempre ottenuti attraverso l’uso della carta copiativa dalla quale, come nell’incisione, viene grattato via il colore: l’immagine si forma contemporaneamente come negativo sulla carta carbone, mentre il residuo di colore ad essa sottratto si imprime sul foglio sottostante. Questa tecnica, che in origine per l’artista era funzionale alla riproduzione dello stesso disegno in più fotogrammi da rimontare come animazione, è diventata nel tempo una modalità di intervenire sul foglio in maniera indiretta. La carta copiativa è allora la matrice o il corpo stesso dell’opera e genera sempre un disegno e il suo doppio. Le diverse carte possono essere poi montate e rimontate aprendo a una possibilità di combinazioni e interpolazioni tra le immagini: la ricerca di Marta Roberti ha radice nella molteplicità, nella fiducia nella trasformazione che è anche moltiplicazione e crescita.

Kashmir, con tecnica rielaborata del ricamo tradizionale a punto catenella, in collaborazione con Paola Manfredi e Asia Crafts, 170x132cm, edizione unica, 2021
In questo senso è anche possibile leggere i diversi cicli a cui si è dedicata nel corso degli anni in relazione e in continuità l’uno con l’altro: l’autoritratto, la natura come espressione vitale di cui il corpo umano partecipa, l’animale come forma a cui tendere sono temi che attraversano l’arco di tutta la ricerca dell’artista e che si sovrappongono continuamente. Disegni inquieti, perché possono essere ricombinati ad libitum. Lo stesso limite dell’immagine non è mai definito una volta per sempre: è l’immagine a travalicare un corpus di opere – o una singola carta – e ridefinirsi all’interno di un nuovo ciclo, ma anche a decidere l’estensione del suo supporto e non viceversa.

Così in questa mostra le due nuove serie S’io mi intuassi come tu t’inmii e Lotus goddesses richiamano a sé opere precedenti e appartenenti a cicli diversi: gli autoritratti realizzati durante il periodo di isolamento della primavera 2020 in cui l’artista si era raffigurata mentre eseguiva figure dello Yoga con una capigliatura che riprendeva la corazza del pangolino; la serie degli Asana ispirati a posture di animali, che comparivano come spiriti guida al suo fianco (2019); i grandi autoritratti in cui il corpo si espandeva oltre i propri confini ibridandosi con il mondo vegetale (2018). S’io mi intuassi come tu t’inmii e Lotus goddesses diventano anche il fulcro attorno a cui organizzare nuovi innesti tra figure di uccelli e fiori e un unico disegno tratto da Blind Herbarium, una serie in cui il profilo di una pianta viene tracciato sulla carta copiativa più volte senza guardare, restituendo il soggetto come molteplicità ed è in questo contesto quasi una mise en abyme del lavoro di Marta Roberti.
Realizzati su carta dello Yunnan, i disegni della serie S’io mi intuassi come tu t’inmii compongono una galleria al femminile di creature mitologiche e zoomorfe tratte dalla Divina Commedia, la cui iconografia viene ripensata dall’artista a partire da sé e ibridata con forme tratte da fonti diverse come codici miniati, pittura vascolare greca, affreschi etruschi.

Già precedentemente Marta Roberti aveva realizzato un gruppo di opere a partire dal testo dantesco, elaborando una serie di grandi incisioni su carta carbone, una controparte o quasi un negativo del ciclo in mostra di cui riprende alcune figure e altre ne aggiunge. «Il titolo è un verso tratto dalla Commedia di Dante (Paradiso IX, 81) che potrebbe essere tradotto con: se io potessi penetrare in te, capire te, percepire te con la stessa empatia che ti fa penetrare in me. Questa frase meravigliosa mi è sembrata esprimere poeticamente l’idea di metamorfosi che è al centro di tutti i lavori. Ho preso alla lettera l’insegnamento darwiniano, comprendendo lo statuto metafisico della sua teoria dell’evoluzione: la vita non è altro che un processo di metamorfosi intraspecifica dove ogni specie è la metamorfosi della precedente. Ogni creatura, portando in sé tutte le altre, è dunque una specie di zoo mobile», dice l’artista.
La Ladra, la Centaura, la Minotaura, Lucifera, le Arpie, gli stessi corpi che appaiono tra le radici delle mangrovie (pianta anfibia, già soggetto di numerosi disegni dell’artista) che qui compongono la selva impenetrabile dei suicidi, sono ibridazioni tra l’animale e l’umano, e rivelano, nell’incarnazione in un corpo di donna, la disponibilità – o vocazione – al mutamento, ovvero al travalicare i limiti del sé per incontrare l’altro, che è propria del femminile.

L’idea di metamorfosi interspecifica e di interazione tra l’umano e l’animale caratterizza anche Lotus goddesses, il secondo gruppo di opere realizzate per la mostra: reinvenzioni di divinità femminili induiste, figure terribili e potenti, Durga, Sitala, Dhumavati, Maheshwari, possono portare distruzione o amministrare la cura, provocano il caos, ma anche la sua ricomposizione. In mostra sono affiancate da figure di vahana, animali a loro volta simbolici, ambigui e metamorfici che hanno la funzione di trasportare la divinità o di evocarla, come nel caso del pavone viola, attributo di Kaumari, manifestazione di Durga.
Il mito è punto di partenza e di congiunzione tra le serie: «Ho letto da qualche parte questa frase dello scrittore latino Sallustio, che amo: “I miti sono storie che non sono mai accadute ma che sono sempre”. C’è qualcosa di forte nelle storie che si connette con alcune parti dell’interiorità, è qualcosa di potente e che può dare libertà». Il mito ci riconsegna anche il femminile come depositario di una conoscenza che è trasformativa e trasformatrice, fluida, metamorfica.
Il fatto che entrambi questi gruppi di disegni siano stati affidati alle mani di ricamatori e di tessitori, i quali li trasformeranno a loro volta – come Marta Roberti si è impossessata con delicatezza e con delicatezza ha tradotto le figure del mito e del rito – non può allora che essere interpretato come un passaggio naturale, una ulteriore moltiplicazione di un’immagine. Una smisurata fiducia nella sua possibilità metamorfiche.
Marta Roberti. In metamorfosi
a cura di Cecilia Canziani
Z20 Sara Zanin Gallery
Via della Vetrina 21, Roma
fino al 15 febbraio
In copertina: Marta Roberti, Pavone viola (Kaumari), 2021, oil pastel on Yunnan paper, cm 135 x 70