I’m too sad to tell you

I’m too sad to tell you è, anche, un titolo perfetto. Esorbitante, ed esatto.

L. ha detto che rispetta il mio dolore. Sono parole elementari, precise, quasi epiche; tenta di essere empatico, riconoscere l’abisso, o l’inferno, negli occhi di un amico. Ci riesce. Vorrei ringraziarlo, ci abbracciamo come meglio possiamo – come maschi.

«The reason for his sadness was never stated»: tutto qui.

Stai ballando, hai un brandello di carta igienica attaccato alla suola della scarpa, non te ne accorgi. Perdi ogni possibilità di fornicazione. Sei un esemplare ridicolo, nella fase determinante del corteggiamento. Più tardi, rincasando, ti sentirai devastato.

Death is elsewhere (A. Dumbadze, 2015).

M. piange per i figli che non avrebbe mai avuto, per quelli che non avrebbe mai dato. I pensieri prendono la struttura metrica di una preghiera, un atto di dolore domestico, una lode blasfema. L’idea – così la chiama – non consiste nel disperare per una prole che comunque ora non desidera, ma per l’impossibilità di realizzazione, per l’assenza dell’ipotesi, per il progetto abortito – è il caso di dirlo, riflette. Razionalmente considera: i figli non sono un obbligo da soddisfare. Eppure, rappresentano evidentemente una capacità, un certo grado di sviluppo delle forze procreatrici alle quali corrispondere. L’attraversa un dolore indicibile. Telefonerà alla madre, non comprenderà davvero.

Bas Jan Ader aveva un taglio di capelli stupendo.

Attende l’alba per andare a dormire. Legge qualche pagina, fuma un paio di sigarette, non di più. Resiste alla tentazione dello Xanax: sa che compromette le erezioni, accelera la calvizie, danneggia il cuore. Non puoi permetterti di pregiudicare le erezioni, né perdere i capelli. Se hai resistito a Tinder, puoi farlo anche allo Xanax.

«There was a true reason for sadness, but that is not shared with us» (J. Roberts, C. Schorr, 1994).

Assisti per la prima volta alla proiezione, un uomo in lacrime sullo schermo, l’aula magna in silenzio. Dalla tua postazione intercetti lo sguardo di V. Abbassi la testa, ti ha già detto che ripugni. Monta un dolore indicibile, sapere della morte di Ader ti consola – consola almeno lui, pensi. Scriverai una poesia orrenda, forse avrai detto qualcosa.

In copertina: un frame dal cortometraggio di Bas Jan Ader I’m too sad to tell you, 1970-71

Samir Galal Mohamed

(Sassocorvaro, 1989) ha esordito con la silloge “Fino a che sangue non separi”, contenuta in «Poesia Contemporanea. Dodicesimo Quaderno Italiano» (Marcos y Marcos, 2015). Il suo primo libro, “Damnatio Memoriae”, è incluso nella collana di poesia “Lyra Giovani” (Interlinea Edizioni, 2020). Suoi testi e interventi appaiono regolarmente in riviste cartacee e online, italiane e straniere. Attualmente vive a Milano, dove insegna filosofia e storia nelle scuole superiori.

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