Presentiamo qui la traduzione italiana, a cura di Rinaldo Censi, del testo di Jean-Claude Lebensztejn, la cui versione francese appare pressoché in contemporanea in Les Cahiers du Mnam, n. 158, Hiver 2021/2022. (pp.35-39). Ringraziamo, per la gentile concessione, l’autore e Jean-Pierre Criqui.
Per mettere a nudo La Lettrice di Vermeer, la Pinacoteca di Dresda ne ha da poco staccato delicatamente il muro con un bisturi, per far riemergere quell’Amore nudo che ritroviamo altrove nelle opere del pittore – mai completamente visibile –, con o senza maschere sul pavimento (una gamba e una maschera drizzata si colgono in penombra dietro alla Giovane donna assopita del Metropolitan). Tra l’Amore nudo e il muro nudo che lo ricopriva[1], è stato trovato un allevamento di polvere agglomerata, un sottile strato di sudiciume, a layer of dirt[2] –, traccia di un tempo indefinito che separa l’Amore dal suo muro. Proprio questo strato intermedio ha convinto il museo, a lungo esitante, a staccare il muro per far riapparire l’Amore che era rimasto fino a quel momento sepolto. Alcuni, preferendo l’ampio muro nudo, protesteranno senza dubbio.
Il dipinto cela diverse alterazioni. Vermeer, ci informa Wheelock, ha modificato la posizione della donna e il suo profilo; il grande tendaggio verde in trompe-l’oeil è un’idea successiva, che nasconde un grande vetro Römer. Associato all’Amore dipinto, crea una disposizione spaziale a triplo strato: la tenda e la sua asta aprono su un interno che include la giovane donna con la testa china sulla lettera di fronte a una finestra aperta, una sedia all’incrocio di due pareti, e a mo’ di repoussoir una natura morta di frutta inclinata sulla tovaglia, mezza pesca in primo piano; poi, sul fondo, il quadro dell’Amore, più grande del vero, con due maschere ai suoi piedi, e la sua cornice nera. La tenda (a cui risponde a sinistra un’altra tenda rossa sospesa alla finestra, parte della stanza) stabilisce la scena d’interno come un dipinto, che apre a sua volta su un dipinto: l’Amore nudo che abbraccia in parte il sipario verde, concatenando così i tre spazi.

A sinistra prima del restauro (83 x 64,5 cm), a destra dopo il restauro (77,5 x 60 cm)
Nel dipinto restaurato, l’asta e la cascata della tenda toccano i bordi superiore e inferiore della tela. La mano sconosciuta che ha ricoperto l’Amore nudo, probabilmente nel XVIII secolo, ha ridipinto su due o tre centimetri i quattro bordi della tela, accentuando l’effetto di trompe-l’oeil: un cliché dell’arte olandese, lo testimoniano la Sacra Famiglia di Rembrandt a Cassel, l’Uomo che fuma la pipa di Gérard Dou, l’Oude Kerk con tendaggio di Houckgeest. Ponendo l’asta all’estremo limite della tela, Vermeer aveva attenuato questo effetto, arrivando poi a renderlo indecidibile nella Lettera di Dublino, dove non comprendiamo a quale spazio appartenga il grande tendaggio verde che percorre tutto il dipinto a sinistra. Alla fine della sua carriera, Vermeer si divertiva a sperimentare il doppio gioco dell’immagine, come nell’Allegoria della Fede Cattolica, contemporaneamente allegoria e modella che posa. Si tratta di un dipinto che non piace quasi a nessuno (fatta eccezione per Claudel, e Arasse che tenta di giustificarlo come una «allegoria reale» legata a un culto praticato nelle «chiese nascoste»): il solo errore di Vermeer, nota Wheelock; certo non indimenticabile, a parere di Gowing; «grande ma assai sgradevole», lo considerava Bredius, che lo acquistò per una cifra irrisoria nel 1899.[3] Un artificio davvero bizzarro. Nulla di simile si ritrova in altri artisti di prestigio, nemmeno in Caravaggio, Velázquez o Manet, prima del Giovane uomo con teschio di Cézanne – o, nel genere farsesco, della Donna preistorica di Tissot che gli è contemporaneo.

Vermeer condivide con Caravaggio la preoccupazione di realizzare l’ordine dell’allegoria e del mito. Il culmine di questa esecuzione si trova nell’Arte della pittura a Vienna, una messa in scena alla Velázquez, un tour de force che confonde e unifica gli aspetti estremi della rappresentazione. Ma nell’Allegoria della Fede, di cui E. de Jongh ha specificato l’iconografia cattolica, tutto si disfa e si scompone, con il pretesto di unirsi: «nulla funziona più… Nell’Allegoria della Fede non manca nulla e tutto è svanito» (Gilles Aillaud). Il grande tendaggio istoriato e gli emblemi, la corona di spine che graffia il libro, la sfera di vetro appesa al soffitto con un lungo nastro azzurro, il serpente schiacciato dalla pietra con il suo sangue sparso sul pavimento di marmo, sono implacabilmente dipinti come cose, ma l’atmosfera è fredda, nonostante il tocco burroso (i riflessi sulla palla di vetro, le parole del libro mastro sacro trattate in aplat grigio). L’aura di tenerezza, tanto ammirata da Schefer, che in Vermeer avvolgeva il profilo della lettrice e molte altre sue giovani donne, si è dissipata, e la signora appare talmente agghindata e teatralizzata – «un’attrice lacrimevole», sosteneva Jan Veth – che è impossibile accettare ciò che lei pretende di farci credere; bisogna essere subdoli e ciechi come l’extra-lucido Claudel per non volervi cogliere il doppio gioco. Gli altri, che rifiutano questa allegoria, hanno perfettamente ragione, perché questo Vermeer, come ha notato Edward Snow («si ha l’impressione di un fallimento volontario»), è sorprendentemente perverso: e, per quel mi riguarda, io l’adoro: un’adorazione ben poco cattolica.
Catalogo Johannes Vermeer, Washington, National Gallery of Art – L’Aia, Mauritshuis, 1995-1996
Gilles Aillaud, «Voir sans être vu»: Gilles Aillaud, Albert Blankert, John Michael Montias, Vermeer, Parigi, Hazan, 1986/2004, p. 8
Daniel Arasse, L’Ambizione di Vermeer, Torino, Einaudi, 2006, pp. 25-26
Piero Bianconi, documentazione e notizie in L’opera completa di Vermeer, Milano, Rizzoli, 1967
Abraham Bredius, 1907: catalogo Johannes Vermeer, pp. 194-195
Paul Claudel, «Introduction à la peinture hollandaise» (1935); La Peinture hollandaise et autres écrits, Parigi, Gallimard, 1967, pp. 45-47
Lawrence Gowing, Vermeer, Londra, DLM, 1952/1997, p. 154
Eddy de Jongh, «Pearls of Virtue and Pearls of Vice», Simiolus, 8/2, 1975-6, p. 67-97
Jean Louis Schefer, Carré de ciel, Parigi, P.O.L., 2019, p. 80-82
Christoph Schölzel, «Zur Restaurierung und Maltechnik des Gemäldes Brieflesendes Mädchen am offenen Fenster von Johannes Vermeer», catalogo Johannes Vermeer. Vom Innehalten (trad. ingl. Johannes Vermeer. On Reflection), Dresda, Sandstein, 2021, p. 201-227 (ed. inglese, p. 195-221)
Edward Snow, A Study of Vermeer, Berkeley-Los Angeles, University of California Press, 1979/1994, p. 135
Jan Veth,«Gemälde von Johannes Vermeer in niederländischen Sammlungen», Kunst und Künstler, VIII, Berlino, Cassirer, 1910, p. 114: Bianconi, p. 89.
Arthur K. Wheelock, Jr., Jan Vermeer, New York, Abrams, 1981, pp. 30-32, 76, 148
[1] Nel Concerto interrotto della collezione Frick, l’Amore nudo era stato ricoperto in maniera grossolana da un violino e un archetto.
[2] Martin Bailey, The Art Newspaper, 28 maggio 2019; Kathryn van der Berg, Dutch Review, 1 settembre 2021; Christoph Schölzel, p. 203.
[3] In precedenza era appartenuto a Dimitri Schukin, uno dei fratelli di Sergei.
In copertina: Jan Vermeer, Donna che legge una lettera davanti alla finestra, 1657-59 ca.(particolare)