Pifanìa, bifanìa, befania, befana sono termini derivati da deformazioni e corruzioni di Epifania (dal greco ἐπιϕάνεια). Nell’immaginario popolare l’esperienza epifanica vissuta dai re magi, ovvero l’apparizione della stella cometa che li ha guidati fino alla culla di Gesù, si è sdoppiata divenendo anche un mitico personaggio che viene dall’alto e porta doni. Perché l’altra personificazione dell’Epifania è una anziana benefica, che vola in cielo su una scopa e di notte scende per la cappa del camino e lascia doni e dolciumi nelle scarpe o nelle calze dei bambini buoni, e pezzi di carbone in quelle dei cattivi, mantenendo una sorta di retaggio legato all’immagine della cometa e della sua scia? L’epifania, ovvero la manifestazione della divinità, nel corso del tempo ha innescato anche una bi-fanìa, nel senso di una doppia apparizione. Questa presenza misterica “altra” si è materializzata in una donna anziana. Nell’antica Roma, tra la fine e l’inizio dell’anno, si usava porre sulla porta di casa una scopa a protezione dagli spiriti maligni. Quali sono i doni che porta la bi-fanìa? E perché alla anziana befana viene attribuita la facoltà di portare doni?
La dodicesima notte dopo la nascita del sole (il solstizio invernale e nella tradizione cristiana il Natale) si festeggiava la festa di Strenua, Diana, Bona, Perchta e di dee con altri nomi secondo il luogo geografico e la tradizione locale. Il carbone e la cenere, intesi come doni dell’anno vecchio (l’antenata Dea Madre o la dea dai tanti nomi soppressa dalla Chiesa cattolica) all’anno nuovo, venivano sparsi sui campi. Strenua (identificabile con la Salute romana) era la dea che “strinava” i campi, ovvero che li ‘purificava’ col fuoco proprio nelle notti dopo il solstizio d’inverno per salutare l’anno vecchio. Nelle campagne e nella tradizione contadina, il culto di questa dea pagana legato alla fertilità dei campi era molto diffuso anche nel periodo dominato dalla Chiesa, difficile da sradicare, tanto che il cristianesimo dovette accettare la tradizione di una vecchia che distribuiva doni tra la fine dell’anno vecchio e qualche giorno dopo l’inizio di quello nuovo, lasciando che in questo culto convogliassero il culto della divinità e la tradizione delle strenne dei Saturnalia.

Il termine strenna (dal latino strēna, vocabolo di probabile origine sabina, con il significato di “regalo di buon augurio”) deriva dall’usanza di scambiarsi doni nell’antica Roma durante le feste dei Saturnalia – che si svolgevano dal 17 al 23 dicembre in onore del dio Saturno, e precedevano il giorno del Sol Invictus – con il significato simbolico di buon auspicio per il nuovo ciclo del tempo.
L’associazione della Befana con Strenna, Strenia o Strenua è dovuta al fatto che l’antichissima divinità italica presiedeva ai doni per il nuovo anno, come testimoniato dallo storico Varrone, secondo cui i doni erano chiamati sigillaria, costituiti dai sigilla, ovvero statuine di terracotta a cui si accompagnavano dolci vari, che venivano offerti ai bambini. Nel medioevo fu inventata la storia della vecchia che i Magi incontrarono e che in seguito andava cercando il Bambino per portargli qualche dono pure lei.
A me sembra molto curioso anche il fatto che venga ricordata una immagine della dea Madre o dell’adepta di Diana (strega anziana che vola sulla scopa del sabba) proprio nel giorno della apparizione del divino e della cometa. È inoltre interessante il risultato del telefono senza fili che ha trasformato il termine greco epifania in pifanía/ bifanía/ befania/ befana, mantenendo ugualmente un significato profondo legato alla doppia manifestazione del divino. E in questo spostamento di termini corrotti ha preso forma un’altra possibilità del divino. Inoltre è accaduta una fanìa misteriosa: come se lo spirito della dea Madre fosse risorto dalla terra dove era stata sotterrata dal nuovo credo religioso del potere patriarcale in Occidente. La Befana allora è l’anno vecchio che lascia il posto a quello nuovo, mettendo in azione il fecondo ciclo della fertilità. Ecco perché prodotti dell’anno passato venivano bruciati così da spargere la loro cenere sui campi in attesa della rinascita in primavera.
Certe idee e determinati culti connaturati alla terra erano difficili da estirpare. Spesso si sono intrufolati nella tradizione del doppio festeggiamento, uno alto e uno popolare. La befana che vola con la scopa è un retaggio di certe immagini simili a quelle delle streghe in volo che il Maestro de’ Le champion des dames (1441-1442) ha miniato nel testo di Martin Le Franc[1], nell’esemplare custodito a Parigi nella Biblioteca Nazionale. Quando il Cristianesimo è diventato religione di stato e dell’impero romano, ad Efeso nel 431 hanno deciso di sostituire Diana e le dee madri con l’immagine della Madre di Cristo, e successivamente hanno supportato il culto della Madonna. Per i contadini era molto più semplice continuare ad adorare una Madre col suo bambino piuttosto che una trinità costituita da presenze maschili (Padre, Figlio e Spirito santo), poco avvezzi al significato della fertilità della terra. Ma grazie a questo sincretismo e a questa elasticità tra repressione e tolleranza di culti pagani, la Chiesa cristiana è riuscita a proliferare e a imporsi dappertutto durando due millenni fino a ora.

La presenza di una regina fra i tre re magi nel dipinto di Lorenzo Monaco potrebbe collegarsi a tutti i significati che ho ricordato precedentemente, o rimandare ai racconti e alle scene che i Padri della Chiesa associarono all’Adorazione dei Magi, ovvero alla regina di Saba che porta doni a Salomone, o evocare la Sibilla Tiburtina che mostra all’imperatore Augusto la Vergine col Bambino in cielo. Alcuni artisti, attraverso analessi e prolessi visuali, raccordano Antico e Nuovo testamento in una stessa rappresentazione, sovrapponendo le due narrazioni per alludere anche ai loro legami e significati. In due vetrate della cattedrale di Colonia realizzate attorno al 1260 sono state connesse le scene della Regina di Saba e dell’Adorazione dei Magi.

Sempre nella cattedrale di Colonia, nella grande vetrata del 1507, la regina con due altre donne nobili porgono coppe in dono a Salomone, seduto in trono. L’accostamento tra una scena dell’Antico testamento e una del Nuovo segue un rapporto analogico caro all’interpretazione tipologica (nella lingua greca “typós” significa “prototipo”) della Bibbia, la quale presuppone che ci sia un’unità salvifica tra i due Testamenti. Il Nuovo Testamento viene letto come adempimento della profezia dell’Antico Testamento, così che le persone e gli eventi dell’Antica Alleanza (i tipi, o prefigurazioni) siano legati a Cristo e agli eventi di redenzione della Nuova Alleanza (antitipi). Gli artisti erano a conoscenza di queste letture, e ognuno poi interpretava personalmente e con il proprio stile, declinando i temi e i rimandi dentro la trama della traduzione in forma di messaggi religiosi.

Nel dipinto di Lorenzo Monaco, la regina con l’aureola si inginocchia davanti al piccolo dio appena nato e porta il suo dono. Il nome non è stato tramandato o perlomeno non è ancora giunto fino al nostro tempo. È la donna antenata, la maga[2], detentrice delle conoscenze acquisite dai culti matriarcali? Ella torna quando è freddo e porta doni vitalistici ai piccoli appena nati, porta conforto a coloro che dovranno superare l’inverno per sbocciare in primavera? La critica tradizionale ha individuato in questa figura un riferimento all’età giovane dell’uomo. Ma nel dipinto i suoi abiti, i lineamenti e le mani affusolate sono inequivocabilmente femminili. Per la lettura iconografica è determinante un dettaglio: la cintura di stoffa è portata dalla regina poco sotto il seno. Il frate che ha dipinto una regina in questa scena cosa voleva suggerire, visto che l’adorazione dei magi è collocata alla dodicesima notte dopo il solstizio invernale, quando nel mondo antico si celebrava la morte e la rinascita della natura?

Anche Jacopo di Cione, nella sua Adorazione dei Magi (1370-71), ora conservata a Londra, nella National Gallery, ha fatto in modo che la Sacra famiglia e uno dei re magi (tra l’altro evoca anche la figura di Cristo adulto in atto benedicente) rivolgano i loro sguardi verso il re giovane inginocchiato, che ha i tratti del volto volutamente femminili. Anche qui non è improbabile che l’artista abbia inteso sovrapporre la storia della regina di Saba con quella dell’adorazione dei magi, per sancire un atto del dono che lega l’Antico al Nuovo testamento, e al contempo lasciare trasparire in controluce la presenza della befana matriarcale (e della bi-fanìa).

E se arretriamo ulteriormente nel tempo troviamo anche altri due indizi iconografici, che sembrerebbero confermare la storia di una regina tra i magi: mi riferisco alla figura scolpita da Giovanni Pisano nella scena del Sogno dei re magi (1301), visibile nel pulpito del Duomo di Pisa, raffigurata con il sottogola, un capo del vestiario solitamente utilizzato dalle donne, e al giovane regale presente nell’Adorazione dei Magi (1350 circa), nella Holy Trinity Church, Long Melford, a Suffolk. E quale dono porta la regina maga a Gesù bambino? Probabilmente la mirra, pianta e medicina sacra, da cui si trae un potente analgesico, qualcosa che dovrà lenire simbolicamente il dolore nel momento in cui Gesù deciderà di essere crocifisso per salvare l’umanità dalla morte eterna, per compiere il disegno del Padre. Maria conserverà con cura la mirra in un sacchetto, che porterà sempre sul cuore. Dopo aver ricevuto i doni, la Sacra famiglia segue il consiglio dei Re Magi e parte per l’Egitto, per scappare dal pericoloso Erode, deciso a uccidere colui che è stato definito il Re dei re.
[1] Si veda: Martin Le France, Le champion des dames (1451) , Paris, Bibliothèque nationale de France, MS. Fr. 12476, fol. 105v.
[2] Nella terra dei caldei e dei persiani c’erano ovviamente anche maghe. Non venivano chiamate allo stesso modo dei sacerdoti maschi dello zoroastrismo.
In copertina: Lorenzo Monaco, Adorazione dei Magi, 1422 ca., Firenze, Uffizi