L’intera sequenza THE RIBBON – 11 quadri di versi e 6 immagini, con traduzione in inglese di Damiano Abeni – è un omaggio all’opera di Gertrude Moser-Wagner, in particolare ai lavori e ai progetti: Julia macht Geschichte, Global Fence, Polipologo, Solidarity, Melting Plot, Veza Canetti, Soil Sample Series. Il testo è stato ideato e composto per il catalogo Balance, dedicato agli ultimi dieci anni di carriera dell’artista concettuale austriaca e appena uscito per l’editore Schlebrügge, che si ringrazia per aver concesso la ripresa del testo compreso nel volume.
Noterella
Ho conosciuto Gertrude Moser-Wagner una decina di anni fa, a Vienna, grazie a Nanni Balestrini. Eravamo casualmente nella capitale austriaca proprio negli stessi giorni e Nanni mi propose una mattinata al MuseumsQuartier e un pranzo sul terrazzo della Kunsthalle a concludere le visite con due calici di champagne.
(In questi due anni e mezzo che ci separano dalla sua scomparsa, non mi sono mai soffermata su ricordi con NB. Il festeggiamento per G. M-W è forse l’occasione giusta, allegra e indiretta, per farlo).
In quegli stessi giorni Balestrini mi invitò a una vernice pomeridiana alla Galerie Splitter (galleria/casa editrice viennese) e all’opening di una collettiva alla ZS ART Galerie dove ‒ per arrivare al punto ‒ ho conosciuto Gertrude, che collaborava con Nanni già da qualche anno. Non ricordo i dettagli della nostra conversazione di quella sera, che è proseguita fitta-fitta anche a cena. Qualche giorno dopo, G. mi ha accompagnata in una delle mie spedizioni lungo le rive viennesi del Danubio, alla ricerca di oggetti sommersi o dispersi da fotografare. (Gertrude compare col suo nome nella mia Sommersione in ricordo di quella giornata, alla quale seguirono poi altri incontri a Roma e a Vienna, un’intensa corrispondenza e collaborazioni che tutt’ora durano).
Nel tempo G. M-W mi ha coinvolta in alcuni dei suoi lavori collettivi. Ricordo, su tutti, quello austro-italiano Julia macht Geschichte/Giulia fa la storia, nel 2015. Ideato con la fotografa Elisabeth Wörndl, il progetto era articolato in varie fasi e processi e location (interviste-studio a Ventotene e a Vienna, video, installazioni, fotografie, oggetti-sculture in teche di vetro, disposizione di versi tra gli zoccoli della scalinata del Forum Austriaco di Cultura, tra viale Bruno Buozzi e viale delle Belle Arti, con l’ingresso e la rampa che non veniva aperta al pubblico dai tempi di Mussolini) e insisteva intorno alla figura di Julia/Iulia/Giulia e ai suoi lineamenti (l’etrusca Julia Seanti; la Iulia romana figlia dell’imperatore Augusto, confinata a Ventotene; Giulia Farnese, amante di papa Alessandro VI; Giulia moglie di Vicino Orsini, alla quale è dedicato il “Parco dei mostri” di Bomarzo) alla Julia nomeparola ripetuto, alla sua ecolalia.
Solo di recente ho capito che mi ricorda, il viso di Gertrude, quello di un’altra Julia, la Schucht, violinista russa, con le corde dei nervi un poco logore, che fu moglie di Antonio Gramsci. Curioso anche che, in quella ormai lontana prima occasione viennese, nel 2012, conobbi Julia (sì) Dengg, che poi avrebbe tradotto tutto il mio Nel Gasometro in tedesco.
Ma l’aneddoto sarebbe incompleto se non citassi Global Fence, l’opera di G. M-W che fa parte del progetto-Julia confinata a Ventotene, un nastro rosso di isolamento avvolto in forma di mondo, opera ispiratrice dei miei rapidissimi scatti romani dell’estate post-confinamento del 2020 e dei versi che hanno dato l’avvio al Ribbon. Lo stesso nastro rosso che – mentre scrivo questa noterella – sigilla l’area dell’incendio-crollo del ponte di ferro che fronteggia il Gasometro, a chiudere un’era.
S.V., 4 ottobre 2021

THE RIBBON

I. Qui, sopra l’occhio (un fondo umido sotto la fronte) tre linee di gesso interrotte da un punto rosso macerare il destino intrecciando fibre di pensieri-bambù in conversazioni a piedi nudi.

II. Il terreno lungofiume è abitato dalla vegetazione zolle porose, brillanti papiri, calle, germogli di canne soffice ambientazione minerale di gallerie sotterranee Scavano cunicoli verticali i lombrichi non hanno orecchie naso né occhi ma cinque paia di cuori e sangue amaranto (la nostra vita la vita della terra sotto la terra)

III. Qui sopra i confini sono definiti da scogli spunzoni sassi e pali di legno dove si tendono i nastri rossi del confinamento. Stazione di riposo della migrazione degli uccelli e ospizio ventoso per l’esilio domestico. (Una Julia suonava il violino in Russia finché i suoi nervi diventarono corde pizzicate da un pensiero-rompicapo acuti disaccordi i lineamenti del suo viso ricordano un’altra Julia in cattività)
IV. Tutti i suoi tratti in un solo nome lo stesso nome ripetuto lo ripeti lo ripeti lo ripeti lo finché l’inizio e la fine si chiudono in un anello al centro, nel vuoto cade il significato sparisce dopo l’eco senza toccare fondo. Il mondo è ossessivo sulla pista chiusa del nome schianta la consistenza il gioco dei giochi dei dieci anni euforia-terrore gioia sudata discoperta un vuoto assordato dal nome ripetuto (ipnosi pomeridiana macinino della cicala il metronomo Wittner la lancetta dietro il vetro bombato della sveglia le prime due ciliegie dell’estate battono una contro l’altra orecchini carnosi al ritmo di un pendolo)
V. Un certo tipo di gioco un’azione primitiva senza scopo linguaggio sensuale d’incantamento nome senza inizio senza fine le lettere corrono una dietro l’altra si toccano la schiena parlando un nome solo fino allo svenimento di ogni senso (il gioco dell’infinito: l’universo non è contenuto e non contiene) la nuca zuppa di sudore solleticata dall’erbetta gialla esperienza ventosa del suono tra le tempie e lungo la fronte le formiche in mezzo alle gambe la circolazione del sangue batte dietro le scapole la milza che pulsa un delizioso dolore lingua-fitta gioco di illusione e prestigioso da impazzire nel primo pomeriggio dell’estate dei dieci anni. Poi alla fine la convenzione è nuda rilassata quasi stanca il linguaggio zampilla da fontane invisibili è ora di cena.
VI. Poco fuori Vienna due donne camminano lungofiume (così tante cose affondate da scoprire la vita sott’acqua di ombre che annegano e cantano) in lontananza, un’altra Julia è avvolta da un nastro rosso ‒ tessuto forato di materiale plastico seriale, a metro il vestito dell’invalicabile. La vita di Julia nascosta dietro il drappeggio del nastrino bianco dell’esilio.

VII. Gli uccelli migrano quando devono nel lungo tragitto stazionano in isole di riposo raccolgono aghi di pino peli di cane lembi di copertone mettono insieme un covo di protezione. Tempo fa lei ha liberato un polpo nel mare tempo fa lei ha riunito dodici tartarughe tempo fa con un bastone lei ha spostato un alfabeto a terra ora le lettere sono tenute irrisolte selvatiche sparse dentro una teca (cornice di vetro e legno del grande gioco che può essere agitato) Tempo fa lei ha messo delle lingue adesive di parole lunghe, tra un gradino e l’altro (scalinata che non veniva più salita dai tempi di Mussolini)
VIII. Tempo fa e altre volte che verranno (il lavorìo dell’opera nebulosa di particelle) i corpi perdono frammenti di pelle mangime a scaglie che si posa adagio sulla terra sopra le onde galleggia in mezzo all’aria polverina in controluce sale dalle lenzuola ci siamo respirati stiamo continuando a respirare inalandoci

IX. Guarda come il nastro rosso e bianco intanto diventa altro: belva arrotolata a sorveglianza gabbietta affaticata spugna di corallo plastico che non traspira recinzione slacciata tenda di un circo senza pinnacolo a cielo aperto un piccolo spettacolo di erbe selvatiche dritte sui loro trampoli ruvidi (gli spettatori erano distratti anzi del tutto assenti)
X. Tra le giunture del marciapiede in basso ecco il paesaggio venuto dalle crepe intanto un trivello estirpa le radici rovinate dei nervi le idee-erbacce poi il nastro rosso avvolge il selvatico già cosparso di polvere di bitume nera che non si mangia e non si scioglie respirando.

XI. Prende spazio nel cemento allarga, spacca sale senza disegno in compagnia delle erbette in mezzo al vento dai cunicoli verticali della terra sotto la terra particelle minerali digerite dai lombrichi che nutrono le zolle noi-selvatico slacciato il nastro rosso di barriera niente sarà più diviso niente finirà sprecato avremo un corpo piccolissimo e saporito.

In copertina: Gertrud Moser-Wagner, Hineinhören ins Innere (2021 Graz, zu HINEINHÖREN KunstGarten Graz)