Gastone Novelli, viaggio al termine del fumetto

01/11/2021

La nuova edizione dei Viaggi di Brek, promossa dalla Fondazione Echaurren Salaris in collaborazione con l’Archivio Gastone Novelli, rimette finalmente in circolazione il gustoso fumetto del 1967 – strappando agli studioli dei collezionisti il monopolio della prima edizione, stampata da Bruno Alfieri e disponibile sulle piattaforme di distribuzione per il modico obolo di duecento euro.

Le venticinque tavole dei Viaggi di Brek erano state esposte per la prima volta alla Libreria dell’Oca nel 1967, in occasione dell’omonima personale di Gastone Novelli. Come ricorda la curatrice Raffaella Perna, questo eccentrico antesignano del graphic novel esce due anni prima del più fortunato Poema a fumetti di Dino Buzzati (1969), forse l’unico fumetto a essere entrato finora nel consorzio ufficiale del canone novecentesco. Entrambe le opere condividono alcuni funzionamenti generali, di ordine stilistico e più strettamente tematico – a cominciare da un elevato grado di sessualizzazione del corpo femminile, in bilico tra ossessioni mediate dai freudismi generazionali e reminiscenze dirette dai coevi fumetti erotico-noir («Sadik», «Messalina», «Valentina», «Venus», e così via).  Al contrario delle sensuali eroine di Buzzati, modellate sul prototipo delle nuove Muse dei Mass Media e sull’estetica glamour di Crepax, la protagonista femminile di Novelli esibisce un’inconsueta silhouette primordiale, ben lontana dalla mitografia generazionale delle pin-up. L’«Angelica Marchesa-Beat degli Angeli» (un’intrigante crasi tra il Marchese de Sade, Ariosto e gli Angeli di Hell’s Angels) assomiglia piuttosto alla Venere di Willendorf, una «Grande Madre preistorica» senza volto e con un corpo appena stilizzato. Una simile femminilità arcaica è forse riconducibile a quella «tensione verso l’Originario e il Primordiale» che Pia Vivarelli ricollegava alla conoscenza del magnetico Emilio Villa, frequentato in Brasile nel 1951[1].

La quête[2]erotica si trasforma presto in un viaggio ai confini dell’«iconosfera» e dei suoi feticci visuali. A ciascuna ‘stazione’ geografica e narrativa sembra corrispondere un setting strappato alla società dei consumi. I deserti del Texas attraversati in sella a una motocicletta vengono esplicitamente paragonati alle ambientazioni di Tex Willer: la sesta tavola ospita addirittura alcune vignette ritagliate e incollate di peso dal fumetto western, in una ostensione trasparente delle fonti visive che ricorda alcuni procedimenti citazionistici tipici della Pop Art:

E proprio a un combine painting assomiglierà la nona tavola, in cui il viaggio di Brek a New York viene sponsorizzato come se si trattasse di un collage americano su cui vengono giustapposti alcuni ritagli fotografici irrelati – in particolare, un boccale di birra, un fotogramma da Nosferatu il vampiro di Murnau (1922) e un frammento della locandina di But Charlie, I Never Played Volleyball!, il breve film osé ambientato in una colonia di nudisti e diretto da David F. Friedman nel 1966. Ai tasselli cinematografici vengono accostate alcune scritte («popstars nude», «OP», «POP chiken», e così via) che amplificano l’impressione di trovarsi di fronte a una superficie polisemantica di area squisitamente pop:

Il viaggio di Brek assume progressivamente le sembianze di un itinerarium mentis in film, con l’arrivo finale al festival di Venezia, in corrispondenza della ventitreesima tavola, in cui, come sottolinea Perna, compaiono in versione «liberamente rivisitata» e storpiata alcuni titoli di celebri pellicole italiane – ad esempio, La Cina è vicina di Bellocchio (La Cina è lontana) e La terra trema di Visconti (La spiaggia trema):

I generi di consumo in voga negli anni Sessanta (dall’erotico al poliziesco-thriller) vengono ‘proiettati’ dalla matita di Novelli mentre, dalle poltroncine numerate del pubblico, i balloons isolano visivamente alcuni commenti apparentemente estemporanei. In realtà, a un’analisi più attenta, neppure le iscrizioni accolte in queste nuvolette si rivelano casuali. In particolare «Ho nostalgia di essere incinta, se no che faccio?» è una frase pronunciata da Leslie Caron nel Padre di famiglia, un film diretto da Nanni Loy nel 1967 con Ugo Tognazzi e Nino Manfredi. L’espressione «La famiglia? Gravidanze incrociate», invece, verrà riutilizzata da Novelli l’anno successivo in un’incisione intitolata, per l’appunto, La famiglia: gravidanze incrociate (65 x 50 cm, 1968) – secondo una prassi di insistita autotestualità efficacemente messa in luce dal commento di Perna attraverso gli strumenti affilati della filologia visiva.

Oltre alle autocitazioni disegnative provenienti da un repertorio di Leitmotive visivi altamente formalizzati, bisognerà interrogarsi sul valore delle citazioni propriamente letterarie che cadenzano I viaggi di Brek costruendo una fitta rete di discorsi riportati, travestimenti e furti verbali. In generale, la critica letteraria troppo spesso trascura l’incidenza del dato letterario all’interno delle scritture disegnate dagli artisti, sul supporto del foglio o della tela, negli anni Sessanta e Settanta (e, in questo senso, il caso di Novelli è esemplare al pari, ad esempio, dei lavori di Gianfranco Baruchello).

Prendiamo in considerazione le tavole 11 e 12 in cui Brek presenta ad Angelica il personaggio dal nome parlante di «Manga», un polipo-retore che prova a circuire la donna stordendola a suon di oratoria:

Le frasi che pronuncia («trista disapprovazione», «retore deliziosissimo», «assaggiare altre parole», «bizzarro e minatorio» e così via) non sono inventate da Novelli ma fedelmente trascritte da un intervento, per l’appunto, di Giorgio Manganelli, intitolato Quale sarà il compito di una moderna e pertinente retorica e pubblicato sul «Giorno» il 13 settembre del 1967, in cui si legge:

Forse è il caso di vedere se non sia giunto il momento di adibire questa parola di trista disapprovazione ad un uso meno sgarbato e virtuoso; se si dia un modo così ingegnoso di far frullare e rimbalzare questa vecchia moneta, cavarne un suono meno ingrato. Ma forse qui occorre allargare un poco il nostro discorso, ed assaggiare altre parole in qualche modo affini […].

Sul Palazzi, la parola «retorico, agg.» («vuoto, ampolloso, magniloquente») si insinua tra «retoricume» e «retoricastro» […] Ma se guardiamo un poco oltre, ecco un altro esempio, tratto fuori dalle Vite dei Santi Padri volgarizzate dal Cavalcanti, retore deliziosissimo; che, a proposito di un qualche eremita bizzarro e minatorio, scrive: «Non si curava di parlare per rettorica … ma come uomo pieno di Spirito Santo, correggeva i peccatori». Nella sua scarna innocenza, questa svelta proposizione preannuncia secoli di polemiche. Scrivere secondo retorica, o secondo lo Spirito Santo? […] A questo punto, possiamo legittimamente sospettare una clandestina alleanza, magari amori morganatici, s’intende, non fosse altro per la disparità di età e di rango, tra la nobile, arcaica retorica, e questo francioso ‘cerebrale’: giacché l’una e l’altro pare abbiano in dispitto lo scrivere per traboccamento del cuore. […] Conosciamo molti modi per frustrare l’ispirazione; per secoli le si tenne testa con ingegnose macchinazioni metriche, trame verbali, corrispondenze foniche, clandestini acrostici.[3]

Accanto alle illustrazioni per gli scrittori (e Novelli realizzerà una serie di ben ventitré tavole proprio sull’Hilarotragoedia)[4], bisognerebbe interrogarsi sulle citazioni dagli scrittori che Novelli cannibalizza giustapponendole ai residui linguistici sottratti al mondo dei consumi, delle pubblicità o dei fumetti. Nei Viaggi di Brek, ad esempio, farà capolino anche George Bataille: nell’ottava tavola, infatti, si legge «je le sais. Je mourrai dans des conditions déshonorantes» – un segmento prelevato direttamente da Le bleu du ciel di George Bataille (1957), tradotto in italiano da Oreste del Buono nel 1962:

Che si tratti di sentenze prese a prestito dagli amici romani oppure dai maestri d’oltralpe, quello che conta è l’immissione spregiudicata di tessere letterarie che vengono a sostituire le interiezioni tipiche dei fumetti di consumo. Al «Bang!» di Topolino subentra una locuzione di George Bataille, in una ri-semantizzazione del messaggio veicolato dai nuovi media che sembra prefigurare le versioni più avanzate di fumetto d’avanguardia. La dicotomia tra vignette di consumo e vignette d’autore viene abbondantemente tassonomizzata in Italia, fin dai tempi di Eco, per giustificare ideologicamente una certa fruizione ‘positiva’ e progressista dei balloons anche da parte degli intellettuali e degli operatori culturali. Nel caso di Novelli, invece, il medium fumettistico funziona come un novissimo archetipo del presente, da prendere in prestito e abitare attraverso una costante ‘riqualificazione’ dei messaggi.

Di fronte a un palinsesto di codici espressivi entro cui il rischio di perdersi minaccia tanto il lettore comune quanto il critico monodisciplinare (unilateralmente qualificato, nell’aut aut dell’attuale specialismo, in letteratura contemporanea o in storia dell’arte), Raffaella Perna è riuscita, infatti, a confezionare una serie di compendi interdisciplinari – informativi ma, al contempo, solidamente interpretativi – in grado di restituire l’arte di Gastone Novelli al proprio tempo. Un tempo che, a differenza del nostro presente, affondava endemicamente le proprie radici nell’interdisciplinarità. Perna offre, in particolare, un primo affondo relativo alla cronistoria italiana delle bandes dessinées, ricostruendo la querelle di matrice etico-sociologica che vide scontrarsi i propri ‘apocalittici’ (si pensi al celebre giudizio espresso da Nilde Iotti sulle pagine di «Rinascita», nel 1951-1952) e ‘integrati’ (Umberto Eco e Carlo Della Corte, per citare i nomi degli alfieri dei balloons maggiormente canonizzati).

La pericolosità del fumetto, sortilegio di quel faustiano demonio storicamente identificabile nell’imperialismo americano, diventa prassi di lavoro nell’esperienza artistica del gruppo «Crack» (1960), raccoltosi attorno alla figura del poeta e critico d’arte Cesare Vivaldi – la cui opera di management culturale viene troppo spesso dimenticata o marginalizzata nei resoconti sugli anni Sessanta. Nell’ambito di una programmatica attenzione per l’iconosfera massmediale promossa sulle pagine di «Crack», un artista come Fabio Mauri comincia a interrogarsi sulla possibilità di importare la parole fumettistica all’interno del repertorio consolidato della langue figurativa, inaugurando quella prassi di quella «cartoon painting»[5] – come la definirà Bruno Alfieri – a cui si potranno ricondurre anche alcuni esperimenti coevi di Novelli.

Al di là dei matrimoni combinati a tavolino tra le poetiche degli artisti italiani e i parenti internazionalmente più quotati (Jasper Johns, Robert Rauschenberg e Roy Lichtenstein), è importante riconoscere il ruolo propulsivo che ebbero i Mass Media e il comic strip nel dibattito italiano (e forse troppo italiano) sui rapporti tra «neo-volgare» e arte ‘alta’ (si pensi alla connivenza con il nemico-fumetto rivendicata da scrittori come Dino Buzzati, Adriano Spatola, Edoardo Sanguineti e Andrea Zanzotto). Essere scrittori d’avanguardia significava anche preferire Superman (e il suo amorale consumismo made in U.S.A.) al poetese tardo-ermetico, anteporre le interiezioni fumettistiche alle sonorità ritmiche compitate dalla tradizione. Nel saccheggiare questo nuovo bacino mitografico, il poeta collabora fattivamente con il pittore d’avanguardia – che, a sua volta, ne cannibalizza spesso il linguaggio per compattarlo all’interno delle proprie nuvolette d’artista.

Il paragrafo successivo di Perna offre al lettore un compendio di quei particolari iconotesti fumettistici (spesso a quattro mani, o meglio a due mani e una penna) pubblicati sulle pagine di «Grammatica», la rivista dal breve respiro editoriale (cinque soli numeri pubblicati tra il novembre del 1964 e il maggio del 1976) coordinata da un direttivo multidisciplinare (Giuliani, Manganelli, Perilli e lo stesso Novelli). Attraverso le tavole di Nel cieco spazio (1964)e dell’Acqua alle piante (Storie di Eva) (1967), realizzate da Novelli a partire dalle «poesie per il teatro» di Alfredo Giuliani (ed entrambe riprodotte nel ricco apparato illustrativo di questa edizione), Perna delinea alcune costanti operazionali del come lavorava Novelli funzionali a introdurre la sezione conclusiva che prende di petto la materialità stessa delle venticinque tavole raccolte nel libro.  

L’esauriente commento di Perna, insomma, fornisce al lettore il biglietto cumulativo per seguire i diversi viaggi disciplinari di Brek, dal fumetto alle arti figurative, dall’esoeditoria al maoismo. Al viaggiatore-critico non resta che scegliere una mèta dai tabelloni di quell’«aeroporto intercontinentale della pittura»[6] che è stata la città di Roma tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Settanta, e imbarcarsi in una delle avventure tematiche che il denso apparato promette al turista curioso. Per il viaggiatore esperto le mappe serviranno, invece, come solida base di partenza per disegnare nuove cartografie – che potranno tornare a proclamarsi specialistiche soltanto dopo aver accettato il patto originario dell’intermedialità.

Gastone Novelli
I viaggi di Brek
a cura di Raffaella Perna
Postmedia, 2021, pp. 72, € 24


[1] Pia Vivarelli Gli universi linguistici di Gastone Novelli, in Gastone Novelli. Catalogo generale 1. Pittura e scultura, a cura di Paola Bonani, Marco Rinaldi e Alessandra Tiddia, Cinisello Balsamo, Silvana, 2011, pp. 15-23: 15.

[2] Sul tema del viaggio e del nomadismo nella produzione di Novelli si legga il saggio di Marco Rinaldi, Il viaggio della farfalla. Temi e immagini della pittura di Novelli, ivi, pp. 47-67. I Viaggi di Brek vengono spesso paragonati al quasi coevo (e al quasi omografico) Viaggio di Grog (tecnica mista su tela, 280 x 160 cm, 1966); sul margine sinistro di quest’opera, peraltro, si scorge l’immagine di una donna nuda dalle gambe divaricate – che ricorda L’origine du monde di Gustave Courbet (1866) ma che sembra anticipare anche la terza tavola di Brek, in cui Angelica compare nella stessa posizione come proiezione onirica del protagonista.

[3] Giorgio Manganelli, Quale sarà il compito di una moderna e pertinente retorica [1967], in Id., Il rumore sottile della prosa, a cura di Paola Italia, Milano, Adelphi, 2004, pp. 158-159 e 161.

[4] Le tavole sono state pubblicate in Gastone Novelli, Histoire de l’œil-Il viaggio in Grecia-Hilarotragoedia, nota introduttiva di Achille Perilli, Milano, Baldini & Castoldi, 1999, pp. 101-125. Per un’analisi puntuale di queste illustrazioni, cfr. Piergiovanni Castagnoli, Tra pittura e parola, ivi, pp. 146-149; Ada De Pirro, Giorgio Manganelli e Gastone Novelli. Parole alle immagini e immagini alle parole, «Tèchne», dicembre 2012; Ead. Le regole del gioco permettono infinite partite. Giochi linguistici, magie verbali e lingue inventate nelle opere su carta di Gastone Novelli. Studio delle fonti e del contesto (Roma, Università «La Sapienza», 2012); Andrea Cortellessa, Illustrazioni per libri inesistenti, in Id., Il libro è altrove. Ventisei piccole monografie su Giorgio Manganelli, Milano, Luca Sossella, 2020, pp. 198-210.

[5] Bruno Alfieri, La cartoon painting di Perilli, «Metro», 3, novembre 1961, pp. 94-95.

[6] Alberto Arbasino, L’aeroporto intercontinentale della pittura, «Il Giorno», 26 gennaio 1966.

Chiara Portesine

(Genova, 1994) Sta svolgendo un dottorato di ricerca presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, con un progetto intitolato "Il problema dell’ekphrasis nella poesia sperimentale del secondo Novecento: definizioni e proposte per un’antologia digitale".
Si è occupata, in particolare, di Emilio Villa, Corrado Costa, Edoardo Sanguineti e Andrea Zanzotto, mentre i suoi attuali interessi di ricerca riguardano il rapporto tra letteratura, arte e fotografia, e l’impatto dei nuovi media sulle riflessioni teoriche e sulla prassi poetica del Gruppo 63.

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