Non è facile trovare, all’interno del panorama editoriale italiano odierno, libri che siano capaci di tenere insieme uno spirito divulgativo e una reale attenzione alla complessità dell’oggetto di cui trattano. Il serpente e la croce di Paolo Riberi è uno dei rari casi in cui il lettore è accompagnato attraverso i duemila anni di storia del fenomeno religioso denominato “gnosi” senza mai avere l’impressione di trovarsi di fronte a una semplificazione. Si percepisce che Riberi padroneggia completamente la storia del pensiero gnostico ed è capace, di conseguenza, di mostrarne le sopravvivenze e le differenze nel passaggio da un’epoca all’altra. Si diventa, così, protagonisti di una sorta di viaggio panoramico, di secolo in secolo, e di eresia in eresia, che ci mette a contatto con il momento genetico dei vangeli gnostici nei primi secoli dopo Cristo per poi farci trapassare nella tarda antichità, in compagnia di Mani, Ermete Trismegisto, il neoplatonismo e i mistici della Merkavah fino ai bogomili e i catari, gli ismailiti e la magia rinascimentale di Ficino e Pico della Mirandola.
È un viaggio di estremo fascino che rintraccia le metamorfosi del dualismo gnostico tra un dio abissale, prima di ogni creazione, e un dio malvagio, un funesto Demiurgo, come lo chiamerà Cioran, che è artefice del mondo materiale e del nostro patire intrappolati nel destino mortale di ogni cosa. È anche, naturalmente, la storia dell’esperienza del male e di una ricerca di salvezza, di una possibilità di liberazione della scintilla divina contenuta nell’umano, alla volta di un ricongiungimento con la pura luce o energia del dio abissale, di cui nulla può essere detto. Salvezza che avverrà attraverso una serie di passaggi a ritroso tra i diversi stadi di emanazione e degradazione della purezza primigenia (di cui le sĕfirōt cabalistiche sono forse la più alta formalizzazione) e una altrettanto complessa serie di prove che permetteranno alla scintilla, non solo di ricongiungersi a dio, ma di diventare dio, rientrando e fondendosi nell’Abisso primordiale. C’è un che di vertiginoso e inebriante nel ripercorrere le innumerevoli declinazioni di questo archetipico viaggio di ritrovamento del vero sé, fino alla dissoluzione del sé in un’entità al di là di ogni attributo e soggettività possibile.
Riberi mostra, con grande abilità, come questo mito persista nelle diverse civiltà, nonostante le infinite persecuzioni messe in atto contro gli gnostici, e riappaia, sotto sempre nuove spoglie, lungo il mutare delle forme storiche.
In questa storia delle migrazioni gnostiche, rivestono un particolare interesse anche gli ultimi capitoli, orientati all’analisi della modernità e della postmodernità, dalle varie stesure del Faust al Libro rosso di Jung, passando attraverso i romanzi visionari di Philip K. Dick per arrivare fino alla cultura pop dei supereroi del multiverso della DC Comics, e poi a film come Matrix, The Truman Show, Fight Club o serie come The OA, Dark e Black Mirror, per fare solo alcuni esempi.
Quel che colpisce è come oggi la visionarietà gnostica si manifesti dentro lo spazio di una nuova visualità gnostica, che sviluppa e amplifica, certo anche, spesso, semplificandola, se non irrozzendola, tutta quella massa iconologica straordinaria che va dalle visioni dei manoscritti di Nag Hammadi, ritrovati nel 1945, fino all’Immaginazione romantica ed esplicitamente gnostica di William Blake.
In questo senso, il libro di Riberi (che qui solo accenna a temi più diffusamente toccati nel suo Pillola Rossa o Loggia Nera? Messaggi gnostici nel cinema) è un invito a ripensare, non solo la portata storica della gnosi nella storia dell’Occidente, ma anche a percepirne l’attualità, cioè, la presenza vivente nel modo odierno.
Non è facile comprendere quanto queste nuove fenomenologie, in senso hegeliano, dello Spirito gnostico siano oggi divenute caricaturali o siano, invece, portatrici di istanze immobili dell’essere umano. Viene alla mente un libro magnifico di Harold Bloom, forse il suo più bello, Visioni profetiche. Angeli, sogni e resurrezione. Libro nel quale Bloom, il più forte dei critici letterari del secondo novecento, espone la sua fede gnostica mettendola alla prova della paccottiglia New Age millenarista.
Senza alcuna indulgenza e cedimento, credo che oggi si ponga, per la gnosi, come per ogni altra tradizione millenaria, l’esigenza di verificare, come fece Harold Bloom in quel libro esemplare, quel che ancora vivo c’è e quel che è, invece, divenuto caricatura, canzone da organetto. Senza, però, lasciarsi trarre in inganno dalla propria intelligenza storicizzante, senza lasciarsi prendere da una sorta di furore filologico e archivistico che tutto relativizza e uccide fissandolo con l’ago dell’entomologo.
A volte, anche nella più infima delle pubblicità, sopravvive l’immagine del divino. Warburg ce l’ha mostrato in modo definitivo. Come ebbe a dire, “il buon dio è nei dettagli” (ed è forse un segno di vitalità della dualità gnostica che sia, invece, passata, tramite vulgata, l’idea che il vecchio Aby abbia detto “il diavolo è nei dettagli”).
Guardare l’immaginario attuale, anche quello che più pare distante, rintracciando arconti, angeli, demoni, eoni, scintille divine, saggezze luminose e illuminanti è forse un modo, non per abbandonare la ragione, ma per portare la ragione oltre i limiti angusti del solo intelletto calcolante. Forse, oggi, iniziamo ad intuire sempre più, come già avevano intuito i pitagorici, che al fondo della tecnica cibernetica appare l’Abisso, l’incalcolabile, l’incommensurabile principio da cui tutto proviene e a cui, forse, tramite la conoscenza, una conoscenza ancora a venire e da immaginare in tutta la sua portata, tutto ritornerà.
Paolo Riberi
Il serpente e la croce
Lindau, 2021, pp. 336, € 24
In copertina: Agnolo Bronzino, Adorazione del serpente di bronzo, ca.1542-43, Firenze, Palazzo Vecchio, Cappella Eleonora da Toledo (particolare)