Le rispettive posizioni sono stabilite – a priori:
A. non ripudia l’umano, ma neanche concede privilegi catastali.
Io, d’altro canto, non amo affatto le cose; questo non mi rende più umano.
Concordiamo sul fatto che le opere stanno, tuttavia, divergiamo sul come:
le opere stanno per ingerenza, in via del tutto accidentale – dice.
Questo, e soltanto questo, le rende più umane.
Non come l’opera è, è il cinico, ma che essa è, di troppo.
Dopo l’oggetto, l’umano non esiste. Il primo resta, e il secondo si dissolve:
se non fosse questo, a svanire, l’opera ne manterrebbe il ricordo.
L’oggetto non è complice né accorda simpatie, è al servizio esclusivo di sé;
la storia dell’arte è fatta di cose. Meglio, è fatta da cose.

Ogni teoria “peregrina” è seducente almeno quanto l’oggetto che pretende
di annichilire. La verità dell’arte è quella del «mondo».
Tautologica, o contraddittoria, si mostra quando non c’è possibilità di dire,
dire nulla. In assenza, totale, di umanità.

Immagine di copertina: Sara Ambrosini e Giorgia Marchetti, Metafisica dell’occasione – opera esposta all’interno della quinta Biennale d’arte Smach.2021, per gentile concessione delle artiste

(Sassocorvaro, 1989) ha esordito con la silloge “Fino a che sangue non separi”, contenuta in «Poesia Contemporanea. Dodicesimo Quaderno Italiano» (Marcos y Marcos, 2015). Il suo primo libro, “Damnatio Memoriae”, è incluso nella collana di poesia “Lyra Giovani” (Interlinea Edizioni, 2020). Suoi testi e interventi appaiono regolarmente in riviste cartacee e online, italiane e straniere. Attualmente vive a Milano, dove insegna filosofia e storia nelle scuole superiori.

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