Io sono vecchio, mi sento molto più vicino a Baudelaire, che non a Tarantino. Per fare un solo esempio, come tradurre in italiano La servante au grand coeur, una delle più laceranti poesie della modernità? Ascoltatene i versi su You Tube nell’interpretazione di Léo Ferré. Ebbene “servante” significa balia, donna di servizio, colf, nutrice (in Omero), njanja (nella letteratura russa), ma nella mia infanzia fu solo e soltanto “tata”, ossia una vice-madre.
E non è tutto, in quanto, come se non bastasse, l’immagine che sto commentando non rappresenta la mia, di “tata”, bensì quella che lavorava dai miei zii; insomma, una specie di vice-vice-madre, dato che ogni famiglia, anche minimamente agiata, poteva assumerne una.
Era una donna allegra, solare, generosa, grandissima fumatrice, quella di cui ho ritrovato una vecchia foto – cartolina arrivata da un passato remoto, baudelairiano, per l’appunto. Ma vengo al nodo della questione: al di là del mio prevedibile affetto, il motivo della scelta resta infatti un altro, non tanto sorprendente, quanto, almeno per me, sconvolgente. Per quali mai reconditi percorsi, Silvana, amata tata di mia cugino Sandro, si è trasformata in uno dei più mirabili autoritratti di Rembrandt?